Primavera araba, un anno dopo. Foto di Di Dietrich Steinmetz
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Cagliari (ITALIA)

Primavera araba, un anno dopo, un dibattito pubblico con molti spunti da sviluppare.

A Cagliari il 12 maggio 2012, organizzato dal circolo Sel Sergio Atzeni, si è svolto il dibattito sulla Primavera araba, ospite Giuliana Sgrena, giornalista de Il Manifesto. Tra i relatori anche Filippo Petrucci, ricercatore e consigliere comunale del movimento “Meglio di prima non ci basta”, i dottori di ricerca in storia dell’Africa Marisa Fois e Michele Carboni dell’Università di Cagliari.

Ci sarebbero voluti molti giorni per parlare di Africa, di Mediterraneo, di colonialismo e decolonialismo, di sfruttamento economico, di disagio sociale, di islamizzazione del mondo arabo, di cultura dell’indipendenza della società contemporanea, di sottomissione delle donne, di diritto di famiglia, di Arabia saudita, petrolio, Palestina. Insomma, molta carne al fuoco.
La sala si è comunque animata di un piacevole dibattito su questioni che apparentemente fanno parte dell’ambito accademico o prettamente giornalistico. Si, perché vivere in Sardegna, al centro del Mediterraneo dovrebbe far pensare che quello che succede nella sponda sud, non è così lontano da noi. Non solo per quanto riguarda i km, ma anche dal punto di vista sociale e culturale.

Sono stati chiariti comunque alcuni punti fondamentali sulle rivolte del 2010/2011.

Le rivolte iniziano dopo molti anni di sopportazione, erano proteste a cui è bastata una scintilla per scoppiare.

Le rivolte non solo di natura religiosa, ne politica, neanche solo delle classi più povere. Sono rivolte che vengono appoggiate anche dalla cosiddetta “classe borghese”, o per meglio dire gli aspiranti ad entrare in quella classe. Ci spiega benissimo Michele Carboni, “il numero di laureati in Tunisia era altissimo, il fatto di non trovare un lavoro qualificato e la difficoltà di emigrazione, imposta dal regime di Ben Ali, ha fatto esplodere tutta la frustrazione per una condizione insopportabile”. Quindi è una rivolta sociale, provocata dalla mancanza di lavoro, dalla corruzione esagerata, dal controllo totale del paese da parte della famiglia del dittatore.

Le rivolte non sono legate all’Islam, non sono spinte dal potere teocratico, almeno nella fase iniziale. Sono sostenute dalla televisione del Qatar Al Jazeera, che cercava di spingere e giustificare le proteste stesse. Ma come dice giustamente Giuliana Sgrena “il Qatar non fa niente per niente, la costruzione di un mega complesso alberghiero in Tunisia, è una prova”. La giornalista dissente dal ricercatore cagliaritano sulla considerazione dell’importanza della religione, ossia l’islam è molto più importante di quello che si crede. “In Tunisia, ma soprattutto in Egitto, dove i Salafiti possono veramente fare la differenza in parlamento e dove possono cambiare radicalmente la costituzione e introdurre la Sharia”.

L’interesse economico da parte di molti paesi del mondo sulla zona dell’Africa occidentale. Le politiche estere degli stati della Nato in primis, ma anche la Cina che punta allo sfruttamento del traffico commerciale via mare, ad acquistare i porti più importanti e gestire il commercio su base planetaria. Il petrolio, certo, rimane uno dei fattori più importanti.

L’importanza della rete per creare massa critica, una volta liberata dalla censura tunisina ed egiziana poi. La rete che però “rimane uno strumento per diffondere un significato, un messaggio che già esisteva. La rete da sola non serve a nulla”, ribadisce la Sgrena.

È stato molto interessante l’intervento di un uditore palestinese, che spiegava che prima di tutto “c’è l’interesse dell’America sulla zona. Che nulla succede senza il permesso della Nato. La nostra paura dell’Islam è ingiustificata, non è il problema. Il problema è la mancanza di possibilità di sviluppo economico, che viene soffocato, appunto dagli Stati Uniti che vogliono mantenere la povertà attuale. Se ci preoccupiamo dell’ascesa dei Fratelli musulmani in Egitto, allora a maggior ragione dovremo preoccuparci della gestione teocratica dell’Arabia saudita”, che a suo dire si identifica col male.

Un bel dibattito che prosegue una stagione interessante per il confronto politico internazionale nella città di Cagliari.

Prossimo appuntamento 24 maggio 2012 con “La Ex Jugoslavia vent’anni dopo la guerra”

 

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