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Nel secondo anno del mandato da Direttrice Artistica della Biennale Musica di Venezia, che vedrà la compositrice Lucia Ronchetti impegnata in questo ruolo per il quadriennio 2021-2024, si conferma pienamente inserita nella 66sima edizione del Festival Internazionale di Musica Contemporanea, conclusasi lo scorso 25 settembre. Si prosegue l’intenzione di porre la città di Venezia come centro pulsante della tradizione musicale attraverso una serie di concerti, installazioni sonore, happening, incontri, conferenze e performance sperimentali disseminati in diversi siti storici della città, dai teatri alla Basilica Marciana e agli Istituti di formazione.

Se nel 2021 il fulcro del Festival era l’esplorazione delle potenzialità drammaturgiche della voce, quest’anno è stato posto il focus sul teatro musicale sperimentale, offrendo un significativo ventaglio di esperienze provenienti dal vasto panorama della ricerca contemporanea. Il Festival ha presentato nuovi lavori di teatro musicale sperimentale commissionati a Simon Steen-Andersen, Helena Tulve, Michel van der Aa, Thierry Coduys, Paolo Buonvino e Annelies Van Parys, oltre a prime italiane di nuovi progetti di Alexander Schubert, Rino Murakami e Ondřej Adámek prodotti in collaborazione con altre istituzioni europee. Di Giorgio Battistelli, Leone d’Oro alla carriera 2022, è stata realizzata una nuova produzione di Jules Verne eseguita dai performer di Ars Ludi, Leone d’Argento 2022, nella serata inaugurale del Festival al Teatro La Fenice.

In programma anche alcuni classici del “teatro strumentale” di Mauricio Kagel e di Georges Aperghis, insieme a lavori di compositori riconosciuti in questo ambito come Carola Bauckholt e François Sarhan. Il sottotitolo dell’edizione 2022, Out of Stage, si riferisce ai lavori concepiti per luoghi e situazioni al di fuori del palcoscenico tradizionale, tratteggiando una larga prospettiva del teatro musicale contemporaneo e del ruolo delle nuove tecnologie e della multimedialità, inclusa la realtà virtuale applicata al suono, secondo forme e generi nuovi, codificati dai compositori coinvolti nel Festival. Tracciamo un bilancio del Festival con la direttrice Lucia Ronchetti.

Qual è il legame del tema di quest’anno con la città di Venezia?

“Il legame della Biennale Musica con la città di Venezia è forte e profondo e penso che ogni festival dedicato alla contemporaneità debba relazionarsi con la storia e la specificità della città in cui si svolge e non debba essere un programma astratto e avulso dalla realtà cittadina e dagli spazi che la città offre. Nel caso di un festival dedicato al teatro musicale sperimentale, la relazione con la storia musicale della città che ospita il festival è fondamentale e nella programmazione sono stati messi in evidenza, attraverso le nuove produzioni, tanti diversi possibili collegamenti tra la contemporaneità presentata a Venezia e la storia veneziana, dalla nascita del teatro per musica pubblico nel 1637 alle diverse forme e drammaturgie del teatro musicale delle origini”.

Visiones di Helena Tulve. Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

Perché ha voluto privilegiare la commissione, espressamente per la Biennale, di opere originali?

“La Biennale Musica ha come vocazione e missione fondamentale quella di stimolare la creazione di nuovi progetti e, volendo enfatizzare il legame e la continuità della sperimentazione del teatro musicale a Venezia, era importante realizzare nuovi lavori con intenzioni definite, concepiti appositamente per alcuni dei luoghi storici veneziani coinvolti nel festival come la Basilica di San Marco e la Sala Capitolare della Scuola Grande di San Rocco”.

Notwehr di Annelies van Parys. Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

Out of stage sono anche gli ultimi portati della realtà virtuale e della multimedialità. Che ruolo giocano nel teatro musicale contemporaneo e nell’ultima edizione della Biennale?

“Le nuove tecnologie legate agli aspetti visivi, alla diffusione e al trattamento del suono, alla trasformazione degli spazi in realtà acustiche virtuali e aumentate, sono scelte dai diversi compositori coinvolti. Ogni compositore ha utilizzato le risorse tecnologiche disponibili per creare la complessità drammaturgica che desiderava, senza essere influenzato dalla direzione artistica. Ritengo infatti fondamentale, soprattutto nell’ambito della creatività legata al teatro musicale, che ogni compositore sviluppi le sue idee ricorrendo a mezzi tradizionali o tecnicamente innovativi. Ogni progetto di teatro musicale ha una sua unicità che deve essere rispettata. Nell’ambito delle scelte fatte dai compositori e performer coinvolti nella Biennale Musica 2022, come l’utilizzo della realtà virtuale e realtà aumentata e delle diverse scene visive pre-montate e modificate live, mi è sembrato che gli artisti avessero una grande competenza e che ogni risorsa sia stata usata con cognizione di causa e mai in modo ossessivo o dimostrativo e questo vuol dire che il teatro musicale contemporaneo può integrare la ricerca avanguardistica tecnologica ed elaborare nuove strategie drammaturgiche generate da nuovi mezzi”.

Experimentum Mundi di Giorgio Battistelli. Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

Nella maggior parte dei progetti proposti, si assiste a un recupero della tradizione. Esiste una continuità nel filone operistico italiano tale da farne ancora un fiore all’occhiello nel mondo?

“Esiste sicuramente una continuità nel filone operistico italiano, anche se in Italia non viene percepita, né dal pubblico, né dalla critica e tanto meno dai direttori artistici. In Europa tutti parlano di Opera italiana contemporanea perché intuiscono e sentono affinità di ricerca e di linguaggio tra i compositori italiani attivi. In Italia questi compositori hanno così poche occasioni che il giudizio sulle loro opere rimane vago e impreciso. Da ascoltatore, posso dire che le produzioni che ho visto in Europa di opere di Dallapiccola, Nono, Bussotti, Sciarrino, Francesconi, Battistelli, Filidei, rappresentano la naturale prosecuzione della stagione operistica che ha visto il successo di Verdi, Puccini, Boito e Zandonai. Anche se ogni compositore realizza progetti particolari nella sua aura stilistica, c’è una unità di fondo che è legata alla storia musicale italiana. Il recupero della tradizione nell’ambito del festival della Biennale Musica non è stato un recupero stilistico ma un’integrazione nei lavori commissionati di eco e riflessioni sul passato musicale veneziano. Si tratta quindi di lavori molto lontani dalla tradizione operistica contemporanea, lavori che utilizzano aspetti della musica antica e barocca come un linguaggio nel linguaggio, con molto discernimento e qualche esagerazione”.

Orazi e Curiazi di Giorgio Battistelli con Ars Ludi. Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

Come considera la scena contemporanea di compositori, performer e sound-artist del teatro musicale? C’è fermento in Italia e nel mondo?

“Considero questa scena la più vivente, vivace, divertente e sorprendente nell’ambito della produzione musicale, una scena che si rivolge a tutti i pubblici possibili e soprattutto al grande pubblico dei non addetti ai lavori. Per questo ho cercato di esplorare questa scena nel festival Out of stage, proprio per cercare di riconquistare la fiducia del pubblico veneziano, convincere le persone che un nuovo progetto di teatro musicale contemporaneo può arricchire e divertire senza essere noioso o punitivo!”.

Anche quest’anno si sceglie la dislocazione degli eventi in vari luoghi storici dedicati alla musica. Sono congeniali alla creatività sperimentale contemporanea?

“Penso che tutti i luoghi veneziani dove si è fatta musica nel passato e dove sono conservati i manoscritti ci parlino e trasmettano a tutti una sorta di “rumore di fondo” necessario e piacevole, una “armonia delle sfere” terrestre data dalla fertilità delle idee che si tramandano attraverso le partiture scritte che continuano ad essere riscoperte ed eseguite. La creatività sperimentale deve sempre essere confortata dal passato e deve sempre specchiarsi nel passato, un passato naturalmente elettivo, selettivo, personale per ogni compositore”.

Diaphanous sound di Paul Hauptmeier. Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

A proposito, è ancora possibile, e su quale versante, sperimentare nel teatro musicale?

“Sì, è possibile e lo abbiamo visto, sdraiati nei lettini con i visori di Alexander Schubert, attraversando i muri sonori di Paul Hauptmeier o semplicemente ascoltando i cori dentro San Marco, con le cascate e riverberi sonori composti da Helena Tulve, tutto questo, con mezzi diversi era comunque sperimentale”.

Pensa che nel tempo l’audiovisivo finirà per sostituire le scene tradizionali o potranno convivere com’è accaduto a Venezia?

“Penso che sempre tutto conviva, scena reale, scena filmica, scena virtuale, suono acustico e suono digitale, sono colori diversi di una tavolozza sempre in evoluzione. Il blu di Giotto, il blu di Vermeer, il blu di Klein, il blu digitale di Ray Caesar sono sempre dei blu e li riconosciamo”.

Ancora una volta viene dato uno spazio adeguato alle compositrici. Si recupera terreno musicale, rispetto al passato, in tema di parità?

“La presenza delle compositrici e delle performer alla Biennale Musica non è il frutto di una decisione presa a priori, ma il risultato naturale di scelte obiettive basate sul valore artistico compositivo delle opere. Quando non ci sono preclusioni o tabù, è un risultato normale dato che tante compositrici e performer sono attive sulla scena mondiale e alcune sono molto riconosciute e premiate. Per me il lavoro più riuscito del festival, nel rispetto di tante tendenze stilistiche presentate, è stato quello di Tania Cortés, giovane compositrice e performer digitale ecuadoregna, selezionata nella Biennale College Musica. È stata una bella sorpresa, che con il genere della compositrice non ha nulla a che fare, ma che allo stesso tempo regala serenità sulla possibilità delle donne di crescere e riuscire”.

Verità a Venezia di Gemma Ragués. Courtesy La Biennale di Venezia / ph. Andrea Avezzù

Spazio anche ai giovani, con l’esperienza della Biennale College e con la seconda edizione del “Premio della Giuria degli studenti dei Conservatori italiani”. Quanto è importante incoraggiare i giovani talenti e offrire loro nuove opportunità?

“Penso piuttosto che siano i giovani ad offrirci opportunità, ad insegnarci, a farci capire quanto la nostra visione del mondo musicale sia deviata e consumata dai tanti compromessi e dalle tante tante speranze perdute: i giovani sono necessari in quanto pubblico diretto e franco, in quanto giuria entusiastica e determinata, come insegnanti e come testimoni, senza di loro non potrebbe esserci un festival vero e vitale e le opportunità sono generate dalla loro stessa presenza e coinvolgimento”.

Non è mancato il tributo ai grandi compositori italiani: Leone d’Oro alla carriera a Giorgio Battistelli. Qual è stato il suo contributo all’edizione di quest’anno della Biennale?

“Battistelli con le sue opere giovanili ha portato un grande pubblico alla Biennale Musica, l’inaugurazione alla Fenice e la chiusura alle Tese erano sold out con pubblico entusiasta e tante recensioni positive, e questo era il più importante dei contributi possibili, quello che ha ratificato la scelta di premiarlo con il Leone d’oro. Ora il suo Experimentum Mundi è presentato alla Deutsche Oper a Berlino e questo conferma la vitalità e l’importanza di un lavoro che ha 40 anni e non smette di stupire”.

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