La cernitrice - romanzo minerario
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Anna Carboni è una cernitrice che lavora ogni giorno duramente nella laveria di una miniera del Sulcis. Anche suo marito Carlo e i suoi figli, Dario e Giacomo, lavorano per la società mineraria. Le loro vite ruotano intorno alla miniera, al villaggio e naturalmente al dopolavoro.

Andrea Sassu con “La Cernitrice”, romanzo minerario come egli stesso lo definisce e lo sottotitola, ci racconta la vita di questo nucleo familiare. Una vita fatta di grandi fatiche e profonde sofferenze, ma anche della semplicità e delle gioie regalate dalle piccole cose quotidiane che rendono sopportabile perfino la dura vita dei minatori del Sulcis nei primi decenni del secolo scorso.

Sfondo delle vicende di cui sono protagonisti Anna e i suoi familiari è, come detto, la miniera, industria che sfama migliaia di famiglie, ma talvolta al duro costo della vita.
Le condizioni di lavoro sono terribili, e Andrea Sassu, profondo conoscitore della storia mineraria, ce le racconta con dovizia di particolari.
Gli incidenti sono all’ordine del giorno, la morte è sempre dietro l’angolo, ma anche una semplice ferita o un’improvvisa malattia possono decretare irrimediabilmente la perdita del salario e molto spesso del lavoro.

Anche le donne sono impiegate in miniera, sono prevalentemente cernitrici come Anna, si occupano di lavare e separare il minerale.
Si tratta certo di un lavoro meno pesante di quello svolto dai minatori all’interno dei pozzi, ma l’autore, con alcune splendide e sofferte descrizioni delle ore lavorative di Anna, ci dimostra come anche le donne soffrissero per le dure condizioni dell’ambiente di lavoro.
In piedi per tutta la giornata, separavano il materiale in mezzo alle polveri e in qualsiasi condizione climatica. Talvolta il lavoro doveva essere svolto con i piedi nudi a mollo nell’acqua gelata che scorreva per sottoporre ad un primo lavaggio il minerale grezzo.

Condizioni di lavoro durissime dunque, incidenti frequenti e alta incidenza delle malattie professionali per chi riusciva a concludere la propria vita in miniera e sperava di godersi i pochi anni di vecchiaia rimasti. Nonostante ciò, la più grande paura di Anna e dei suoi familiari è la disoccupazione, incubo che talvolta diventa realtà anche negli anni più gloriosi della miniera, disoccupazione che condanna le famiglie coinvolte alla fame.
La perdita del lavoro è determinata talvolta dalle gravi conseguenze di un incidente sul lavoro, per cui gli operai colpiti diventavano inservibili in miniera e, privi di alcuna protezione sociale, venivano semplicemente licenziati. Altre volte può essere dettata da improvvisi tagli del personale determinati dai cambiamenti tecnologici apportati in miniera o dalla crescita dei costi di produzione.

Tra le vicende narrate nel romanzo trovano spazio anche alcuni avvenimenti storici, come ad esempio il racconto della tragedia che avvenne a Montevecchio il 4 marzo 1871, quando una enorme cisterna d’acqua collocata accanto al dormitorio femminile si ruppe e il contenuto si rovesciò violentemente sull’edificio causando la morte di undici lavoratrici.

Sul finire del racconto un’amara riflessione sullo stato di abbandono in cui si trovano attualmente le miniere o ciò che resta di esse nel Sulcis e nell’Oristanese. Un lucido sguardo sulla natura violentata per inseguire i profitti ottenuti all’altissimo costo di tante vite umane e di un territorio deturpato e abbandonato.
Un territorio che oggi ancora una volta vive il dramma profondo della disoccupazione, un incubo che accomuna le generazioni di ieri a quelle di oggi senza trovare soluzione.
Ieri le miniere, oggi le industrie lasciano a casa migliaia di lavoratori facendo piombare la Sardegna nel baratro della povertà e lasciando le impronte indelebili degli sfregi compiuti su un’Isola in ginocchio.

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