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La città di Trani è particolarmente famosa per la cattedrale romanica, i cui lavori hanno avuto inizio nel 1099 ed hanno avuto fine nel 1200, il suo castello svevo, edificato nel 1233 per volere di Federico II di Svevia, la roccia sedimentaria detta appunto pietra di Trani con le sue cave estrattive ed il Moscato di Trani. La storia e la cultura che hanno attraversato questo superbo borgo e che tutt’ora intridono le sue mura assieme alla salsedine del Mare Adriatico ci porta in epoche lontane: Trani deve il suo nome, almeno a partire dal IV secolo, a Tirreno, figlio di Diomede e suo fondatore ed indicata successivamente col nome di Turenum nella Tavola Peutingeriana.

Trani era uno dei più importanti porti della Puglia sin dal Medioevo ed ancor prima crocevia di genti e culture mediterranee, considerata una città cerniera che collegava grazie al mare l’Oriente con l’Occidente e pertanto ricchissima per scambi commerciali e sapere, oltre che per i palazzi e le chiese in cui si sono sedimentate arte ed architettura, epoca dopo epoca. Si sostiene che gli Ordinamenta et Consuetudo Maris edita per Consules Civitatis Trani, noti anche come Statuti Marittimi, promulgati in lingua volgare per volere del conte normanno Pietro di Trani, abbiano rappresentato il primo codice marittimo d’Occidente in epoca medievale.

Ebbene, così come la terra tranese è stata baciata dal mare e grazie ad esso abbia visto la sua fioritura, anche le viti di Moscato di Trani crescono sotto il benevolo effetto marino, accarezzate dalla sua brezza e dal sole del Sud Italia, benedizione questa che per non tramutarsi in piaga necessita della mano accorta ed esperta dell’uomo per fugare i rischi di cui la salsedine ed altre asperità sono foriere. Tale lavoro è condotto in maniera letteralmente religiosa da Franco DI Filippo il quale in questo vitigno ha trovato la sua vocazione nella misura in cui il vitigno in lui ha trovato sua degna traduzione per varietale, territorio ed andamento vendemmiale.

L’Estasi in Ascesa Moscato di Trani del 2018 ondeggia nel calice come velluto liquido dal biondo dorato, lasciando tracce di buona densità. I suoi profumi ammalianti danno aspettativa di dolcezza nelle sue note di uva spina e fiori di arancio, albicocca matura, mela champagne e guayaba con rintocchi di salvia essiccata ed una scia finale di crema pasticcera, ma al palato giunge da subito il disinganno: una tensione sapida che primeggia sulla freschezza, quest’ultima a rendere succoso il sorso, avviluppate in voluttuosa rotondità. In retro olfattiva a rendere ancora più godurioso il sorso si riconfermano i ricordi primari del grappolo, le note d’agrume, ora candito, e di crema pasticcera che all’unisono estendono la persistenza aromatica intensa. Un vino che può dare ancora per i prossimi sei mesi almeno e che starebbe d’incanto coi tortelli di zucca con amaretti e mostarda.

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