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Cagliari – L’ex presidente del Consiglio, Massimo D’ Alema, ha partecipato il 1 Febbraio, al “V Meeting internazionale delle politiche del Mediterraneo”. L’evento, svoltosi sotto forma di un coinvolgente dibattito, si è tenuto nella sala Castello, presso l’hotel Regina Margherita ed è stato organizzato dall’Associazione Assadakah Sardegna, patrocinato dalla Camera di Cooperazione italo-araba. Il tema principale dell’evento ha riguardato le politiche internazionali da effettuare per convivere con una delle grandi realtà contemporanee: l’ondata di flussi migratori delle popolazioni richiedenti asilo politico, delle comunità di rifugiati e sfollati che, in seguito alla globalizzazione e alle recenti guerre del 2014 e 2015 in Siria, Libia, Ucraina, Nigeria e Somalia, si trovano costrette a lasciare il proprio paese. Oltre al fenomeno delle migrazioni, durante il dibattito, si sono affrontati anche altri temi, direttamente collegati all’argomento principale, come ad esempio quali saranno le conseguenze della presidenza di Donald Trump e del suo “Muslim Ban”, la lista che comprende i sette paesi musulmani a cui è vietato varcare il confine degli Stati Uniti. Inoltre, si è preso in esame il ritrovato dialogo tra Stati Uniti e Russia che si era andato ad indebolire sempre di più durante il governo Obama. Infine, sono stati trattati temi come la lotta al terrorismo ed è stato messo in rilievo il negoziato di Astana del 23 e 24 gennaio e la conseguente dichiarazione congiunta da parte di Russia, Iran e Turchia in cui le parti hanno annunciato una tregua.

Alessandro Aramu, giornalista e moderatore dell’evento, ha diretto il dibattito al quale sono intervenute personalità di spicco del panorama internazionale, oltre al già citato Massimo D’Alema, hanno preso parte alla discussione anche Raimondo Schiavone, presidente dell’ Associazione Assadakah Sardegna, che ha ragguagliato la platea sulle prime insofferenze da parte della popolazione sarda, dovute alla convivenza forzata con i migranti sbarcati in Sardegna. Schiavone ha citato diversi episodi, tra cui l’incendio doloso di un centro di accoglienza destinato proprio ai profughi giunti nell’isola. La manifestazione di questi atti intimidatori rende ancora più evidente il bisogno di attuare delle politiche che mirino alla sicurezza, ma, ancora prima, che pongano le basi per una sana coesistenza tra popoli di diverse culture, costretti a convivere in questa nuova realtà che ha colto cittadini e politici impreparati, come dichiarato più volte nel corso del dibattito. Tuttavia tali tematiche non sono state discusse solo a livello regionale o nazionale, la visione d’insieme è stata ben più ampia, a tal proposito è utile riportare l’intervento del giornalista Ilario Piagnerelli, inviato della redazione esteri di RaiNews24, che ha saputo fare luce sulla rotta dei Balcani, ovvero sulla chiusura del confine sloveno al passaggio dei migranti e sulle sue terribili conseguenze. Attraverso l’innalzamento di un muro che ha portato alla dispersione di intere famiglie di migranti, separate da barriere ormai divenute fisiche e, inoltre, Piagnerelli ha dichiarato quanto fosse forte l’immagine di un muro sorto all’interno dell’Europa stessa.

Nell’ analizzare la complessità dei fatti è stata adottata una prospettiva storico-cronologica con cui lo stesso Massimo D’Alema, tirando le somme del dibattito, è andato a sondare le cause del malcontento dovuto ai flussi migratori e ai fenomeni di portata internazionale come il terrorismo di matrice fondamentalista-islamico. Durante il suo intervento, risulta lapalissiano che ci siano stati diversi errori nella gestione dell’esodo di intere popolazioni in fuga dalle guerre del proprio paese, si tratta di errori che hanno le loro radici nel lontano colonialismo europeo e che si sono concretizzati sia nell’attentato dell’11 Settembre 2001, che nel conseguente attacco degli Stati Uniti per esportare la democrazia nei paesi arabi. Inoltre, a questo panorama instabile, si è aggiunta una gestione superficiale e improvvisata di quelle che sono state le primavere arabe e la nascita dello Stato Islamico, oggi noto come “Isis”.

Tutti gli ospiti, compresi i partecipanti non ancora citati come: Samir Al Kassir, l’ex vice segretario generale della lega araba, Lassad El Asmi, rettore dell’Università di Cartagine e Antonello Cabras, presidente della Fondazione Sardegna, si sono trovati d’accordo nell’intervento conclusivo dell’ex presidente del consiglio, il quale ha sottolineato l’urgenza dell’adozione di nuove politiche internazionali che mirino alla sicurezza dell’Europa e alla cooperazione tra stati. Per Massimo D’Alema la sicurezza dell’Europa al tempo della Globalizzazione passa necessariamente attraverso un’ accettazione e una convivenza con la politica islamica non fondamentalista che, contrariamente alle intenzioni del neo-presidente Trump, non deve essere emarginata e allontanata, dato che questo porterebbe solo ad una maggiore facilità da parte dell’Isis di attirare nuove reclute. All’interno del dibattito, la violenza viene sempre condannata in qualsiasi sua forma: questa non può essere una risposta alla crisi che il mondo sta vivendo, sia perché si dimostrerebbe inutile, ad oggi, infatti, i cosiddetti Foreign Fighters, posseggono la cittadinanza europea e vivono regolarmente nel Vecchio Continente, sia perché già in passato è risultata fallimentare anche se mascherata dal tentativo di esportare una democrazia di stampo occidentale, totalmente inappropriata e inapplicabile ai paesi arabi.
Alla fine del dibattito si fa appello ad una strategia di cui l’Europa ha bisogno, una strategia dove non sia contemplato un modello di democrazia da esportare, ma che alla base abbia solide conoscenze sulla storia dei paesi arabi dove coesistono popoli dalla più diverse sfaccettature culturali e religiose.

Una strategia che non dimentichi di integrare la politica islamica nel proprio panorama di azione perché solo cooperando si può raggiungere la sicurezza e la pace. E ci si auspica che l’adozione di tali politiche che mirano alla collaborazione pacifica tra stati e all’integrazione, possa influenzare anche gli Stati Uniti, perché l’esclusione genera scissioni e rancore, mentre la cooperazione è il primo passo verso l’unità.

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