Avrei potuto sbraitare, fare il diavolo a quattro, avrei potuto fare la prima cosa stupida che mi fosse passata per la testa. E poi mi sarei pentita, come è sempre successo. Ho imparato a contare fino a 10, se non basta a 100, a 1000, a respirare a fondo cercando di placare l’affanno e quel desiderio di violenza che sale improvvisamente nel mio cervello e mi impedisce di pensare lucidamente. Ci deve essere una spiegazione razionale, non è possibile che lui mi tradisca. Le cose vanno bene fra noi, lui dice di amarmi. Quel messaggio è sicuramente finito per sbaglio nella tasca della sua giacca, non c’è altra soluzione. Si dai, adesso mi calmo, mi faccio la solita tisana rilassante e non ci penso più…
Adesso che ci penso da qualche tempo si è stranito, fa sempre tardi e spesso si rinchiude in bagno troppo a lungo. Per non parlare del suo telefono. “Il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile”… Mi ha detto di aver problemi alla batteria che non regge e fa spegnere il cellulare in continuazione, ma a questo punto tutto mi sembra una prova della sua malafede.
Cosa diceva il biglietto? “Per quella questione Piccante, ti aspetto mercoledì al solito posto. Non farmi aspettare”. La grafia era sicuramente femminile ed era firmata M. Più ci penso e più mi convinco che non si tratta di un errore. Ma perché? Fra una settimana festeggeremo il nostro anniversario. Cinque anni di matrimonio. Io sto così bene e lui sembra felice, mi riempie di regali, mi tratta da regina… Che dietro quest’immagine da perfetto marito si nasconda una serpe? che si trastulli davvero con un’altra? E io che ci volevo pure fare un figlio con questo stronzo…
No, ci deve essere una spiegazione logica, e io la scoprirò. Stasera, mentre farà la doccia, gli controllerò il cellulare e, se nasconde qualcosa, troverò le tracce. Devo essere brava a non fargli capire nulla, a celare questo senso di angoscia che non riesco a scrollami di dosso. Vorrei parlarne con Marisa, ma non me la sento ancora. Tanto lei mi direbbe che si tratta di un errore, che sicuramente esiste una spiegazione. Lei stravede per lui. Stavolta non la coinvolgerò e gestirò da sola la questione. Anche perché se si trattasse di un errore mi dispiacerebbe aver pensato male di lui, non aver avuto fiducia.
Nel telefono niente, nessun messaggio, nessuna telefonata strana. Solo i soliti amici e l’ufficio. Ma se è furbo come penso, non lascerebbe mai le prove del tradimento. Però mercoledì è vicino. Che faccio? Più passa il tempo e più l’ansia aumenta. Ormai sono convinta che mi tradisce. Lo seguirò. Devo vedere coi miei occhi che razza di verme è e soprattutto chi è questa famigerata Emme dei miei stivali. Li coglierò in fragrante e lui non potrà dire niente. Io ci esco di testa per questa questione, non sopporto l’idea che qualcuna oltre me possa toccarlo, farci sesso. Lui è mio e non ho nessuna intenzione di dividerlo con nessuna. Piuttosto mi uccido, anzi lo uccido e uccido pure lei. Lo so, sto esagerando, devo calmarmi, magari è davvero tutto un malinteso. Ma le immagini di lui a letto con un’altra, che magari le dice di amarla come fa con me. Li vedo ridere di me, prendersi gioco di me che da buona mogliettina sto a casa. Non ci devo pensare, non ci devo pensare… Lui che le sorride mentre la bacia, che le promette che si libererà di me e che finalmente staranno insieme. E io? la beffa degli amici e delle amiche, i genitori, tutti quelli che ci conoscono. Che vergogna. Non potrò più mettere piede fuori di casa senza essere additata come una cornuta. E diranno “Certo che la tradiva… Hai visto l’altra che sventola?”. E io passerò il resto dei miei giorni sola come un cane, umiliata e senza possibilità di rifarmi una vita. Io senza di lui non vivo. Piuttosto mi uccido! O lo uccido! Come farei a rifarmela sapendo che lui se la spassa con un’altra? che ama un’altra?
Mi sveglio all’alba, ho come una strana sensazione addosso. Oggi è il giorno designato, non riesco a prendere sonno, mi sento soffocare, ho lo stomaco stretto, non respiro… Mi alzo e lo attendo in cucina. Lui si sveglia, sento scrosciare l’acqua della doccia, lo sento fischiettare mentre si veste. Bastardo, è pure felice… Arriva in cucina: “Tesoro, mi fai il nodo della cravatta?”. Cerco di sorridere, e lo aiuto da dietro, lo vorrei strozzare, ma devo stare calma, devo far finta di niente. Guardalo lì, tutto pimpante che si prepara per la sua amante… Cerco di reprimere la rabbia che mi assale e mi offusca la mente. “Pranziamo assieme oggi?”, lui si blocca, sembra pensarci: “No, cara, oggi proprio non posso, devo vedere un cliente per pranzo. Però cerco di tornare prima, anzi te lo prometto!”. Che bastardo! “Va bene, ti aspetto…”, gli dico. Esce dandomi il solito bacio sfuggente: “Ti amo”, dice veloce e sparisce dalla mia visuale. Mi vesto di fretta e mi infilo in macchina. Mi dirigo verso il suo ufficio e mi apposto a una quarantina di metri dalla sua auto. Aspetto delle ore con lo sguardo fisso, mi sento strana, ho paura… Sì, ho paura di scoprire che quello che penso sia vero, ho paura di lacerare ancora più profondamente i miei sentimenti. Ma ne ho quasi la certezza, per cui aspetto religiosamente quel momento come punizione per la mia ingenuità. Mi sento uno schifo.
All’improvviso qualcosa si muove. Lo vedo uscire dall’edificio e mi nascondo abbassandomi sul sedile, ma sono comunque abbastanza distante. Mette in moto l’auto e si immette sulla strada. Lo seguo. Arriva in centro in un bar e si ferma. Lo vedo entrare ed accomodarsi, sono le due del pomeriggio. Nessun altro al suo tavolo e lo vedo guardare l’orologio impaziente. Da dietro vedo arrivare una donna. Ha i capelli rossi, e i ricci. Si tratta di Marisa. Che ci fa lì Marisa? La mia amica di infanzia, la mia confidente? La donna di cui mi fido di più al mondo, anche più di mia madre? Almeno fino a quel momento… Si salutano e si siedono al tavolino. Mangiano insieme sorridendo e parlando animatamente. La famosa Emme… Una sensazione di rabbia feroce mi prende dalla zona bassa del corpo per propagarsi sino a raggiungere il cervello, che sento scoppiare. Continuano a sorridersi, non si sono baciati, il luogo pubblico non lo permette. Ma nei loro sguardi c’è amore, forse desiderio. Mi sento percuotere da una profonda delusione, mista a rabbia e voglia di vendicarmi per quel turpe tradimento. La famosa Emme… Lo vedo alzarsi, salutarla, lei gli da una busta e gli sorride, si abbracciano.
In preda ad un forte sgomento, mi dirigo verso casa. Accendo la radio, Mozart… I violini mi fanno piombare in un’atmosfera surreale, e intanto formulo il piano. Dentro di me una feroce sensazione negativa, una smisurata sete di vendetta che mi fa tremare. E il piano lentamente si delinea. Come posseduta, mi trascino verso il telefono e chiamo Marisa. Le mie parole vengono da sole, il tono è un po’ stridulo. “Ma stai bene? Sei sicura? Ti sento strana!”. “Si, Marisa, mai stata meglio!”.”Beh già se mi chiami Marisa e non Mary la dice tutta. Comunque va bene, ci sarò per cena. Porto il solito vino. A dopo.” e riaggancia. Intanto mi faccio un bagno caldo come in trance, mi asciugo per bene prendendomi il mio tempo, mi spalmo una crema profumata in tutto il corpo, mi vesto misurando i gesti e scegliendo gli abiti con cura. Un completo intimo di raso, una sottoveste ed un abito elegante. Poi mi sposto in cucina, dove ho già sistemato l’occorrente per l’ultimo pasto dei miei condannati. Prima arriva lui. Si complimenta per la mia mise e mi chiede a cosa deve tanta eleganza e bellezza. E’ di buonumore, la cosa mi irrita terribilmente, ma non lo do a vedere. “Ho invitato Marisa a cena, ti dispiace?”. Lui ci pensa un po’ su, fa spallucce. “No, per niente, lo sai che è sempre la benvenuta qui.”. E certo, penso fra me e me. Così avrai modo di rivederla…
Verso le otto arriva anche lei. Con un completo grigio e i suoi soliti capelli fluenti, bellissima come sempre. Lo sguardo sorridente, anche lei è di buonumore. Che strana coincidenza. I due si sorridono. Vorrei sbraitare, vorrei fare il diavolo a quattro e fare la prima cosa stupida che mi passa per la testa. Sto zitta, faccio finta di cucinare senza curarmi di loro che mi aspettano seduti a tavola. So che dietro la mia schiena si stanno lanciando sguardi languidi, complici. Le vene iniziano a pulsarmi forte e sento il sangue battere contro le tempie. “E’ pronto!”, dico e mi giro verso di loro con il vassoio di spaghetti fumanti. “Oggi vi ho fatto le pennette all’arrabbiata. Attenti, perché ho esagerato col peperoncino e son davvero arrabbiate!”. Ridono della mia battuta, che allocchi, non sanno cosa sta per succedere. Mi avete tradita, questa è la giusta punizione. Faccio finta di avere poca fame e non assaggio, mentre li guardo ingurgitare le prime forchettate di pasta. So che il veleno farà effetto subito. E’ testato per i ratti, io ho messo la dose tripla rispetto a quella usata per quei toponi. Iniziano a sentirne gli effetti, si guardano, mi guardano, non capiscono cosa sta succedendo, mi urlano di aiutarli. Io resto immobile e li guardo morire. Piano piano, lentamente e fra atroci dolori. Questa è la giusta punizione. Nessuna pietà, solo un senso di rivalsa che si scarica dentro di me, inondandomi del tutto. Mi alzo e vado nella nostra stanza. Mi butto sul letto e noto una busta uscire dalla giacca di lui. Deve essere quella che gli ha dato Marisa questo pomeriggio. La prendo, è aperta, ne sfilo il contenuto. Un pacchetto di viaggio. Un soggiorno per tre notti in un resort sulla costa. Il nome del pacchetto: “Il tuo anniversario Piccante”, la dedica: “Per i miei coniugi preferiti al loro quinto anniversario. Con amore Marisa.”
Avrei potuto sbraitare, fare il diavolo a quattro, avrei potuto fare la prima cosa stupida che mi fosse passata per la testa…