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Il Prosecco è un fenomeno nazionalpopolare ed in quanto tale dovrebbe poter essere valorizzato e protetto in tutte le espressioni che lo rendono degno di essere bevuto e contemplarlo fieramente tra le eccellenze del Made in Italy… a partire dagli italiani stessi s’intende! Si pensi che, stando ai dati forniti da Google Trends, in cima alla classifica dei prodotti enogastronomici nostrani più digitati sui motori di ricerca, il Prosecco svetta assieme a mozzarella, pizza, parmigiano reggiano e tanti altri, a dimostrazione che le bollicine del trevigiano sono very pop anche oltre gli italici confini e talvolta prese in maggior considerazione.

Il Prosecco è mediamente alla portata delle tasche di tutti ma possiede intrinsecamente l’inestimabile valore del territorio da cui proviene e, naturalmente, quello che c’è dietro il lavoro in vigna ed in cantina, oltre a quello rispondente allo sforzo costante di restare a galla nell’oceano tempestoso del marketing, della comunicazione e della diversificazione tra aziende produttive.

Ciò significa che un Prosecco fatto come Dio comanda ha un rapporto qualità/prezzo strepitoso ed è veicolo di storie e culture di luoghi e persone.

Potremmo considerarlo per certi versi un easy drinking sparkling wine, ma “easy” non vuol dire né banale né scontato: di sfumature di Prosecco ce ne son tante anche se la platea dei consumatori è ammaestrata da un certo tipo di comunicazione e propende per un certo tipo di profilo sensoriale e quindi di inculcata percezione gustativa. Questo la dice lunga proprio sul valore spesso non narrato a dovere del Prosecco e che forse dovrebbe cominciare a farsi spazio nella nostra memoria collettiva e nelle nostre teste, talvolta obnubilate da opinioni tanto errate quanto diffuse e da una dilagante esterofilia che, per una sorta di programmazione appunto, ci porta più a bere etichette che a valutare realmente ed oggettivamente il vino.

Da un bel po’ di tempo a questa parte infatti tutti ce l’hanno col Prosecco e in quel “tutti”, mentre francesi e spagnoli se la ridono per il nostro essere provinciali e divisivi, ci sono solo italiani che evidentemente hanno per sport preferito il tiro al piccione, senza riflettere sul fatto che il piccione è il tricolore e quindi la stessa reputazione nazionale. Oddio, il Prosecco, o meglio un certo tipo di prosecco, se le tira addosso da solo benissimo certe critiche e ci sono delle validissime motivazioni a prendersela con dei modelli produttivi forieri dei cattivi costumi e della scarsa qualità ad essi correlati. Purtroppo ci sarebbe anche da dire che la critica fine a sé stessa non solo non è costruttiva, non solo non crea discussione sulle possibili soluzioni onde conferire maggiore qualità a certe bottiglie, ma nel suo essere tiepidamente generalizzante risulta anche fastidiosamente vile e strumentalmente inconcludente: è proprio accusando tutto il Prosecco senza puntare il dito contro nessuno in particolare che si contribuisce a mantenere inalterato lo stato dei fatti. Chi muove accuse al Prosecco senza fare nomi e citare quelle cantine ree del deficit reputazionale, probabilmente trae per vantaggio la possibilità di mettersi a disposizione di qualsiasi brand a prescindere dalla validità di ciò che produce ed essere asservito in via mercenaria, per tramite di artefatta comunicazione, ad un certo tipo di politica che poco guarda al territorio ed al vino e tanto si preoccupa invece di decentrare i capitali verso altri asset industriali.

Probabilmente molto dovrebbe cambiare a partire dai panel di degustazione e cercare di capire se in ciò che essi premiano risieda il vero spirito del Prosecco ma in realtà sarebbe opportuno relegare il sistema della docg, che lentamente sta scivolando in Laguna Veneta, ad un ruolo giustamente più marginale tanto più che è il territorio a dar vita ad un disciplinare di produzione e non il contrario.

Altra criticità sta nel fatto che un protocollo di intesa, come la carta su cui poggiano le fondamenta del Consorzio del Prosecco Docg Conegliano Valdobbiadene, non può essere sovvertito estromettendo una categoria fondamentale dalle scelte ed escludendo una corretta rappresentanza territoriale per tramite di una ripartizione di peso nella governance non equanime: solo tre rappresentanti per viticultori, cinque per gli imbottigliatori e ben sette per i vinificatori costituiscono un rapporto sin troppo sbilanciato e poco propendente ad assumere decisioni volte a tutelare un certo modo di fare Prosecco.

La famiglia di Stefano Follador, così come altre famiglie di vignaioli, ha dato un forte contributo alla nascita del Consorzio del Prosecco Docg Conegliano Valdobbiadene ed appartiene a quella compagine che il Prosecco vorrebbe farlo conoscere per quello che è, cosciente che la lotta a sovvertire certe logiche di sistema va combattuta dentro il sistema stesso, a beneficio di chi la terra la rispetta, la lavora e la vive.

Stefano è interprete coerente del suo territorio ed è proprio il territorio ciò che imbottiglia, veicolandolo attraverso il suo vino, vendemmia dopo vendemmia, la sua personale visione ed idea di cantina. Nato a Valdobbiadene il 13 agosto del 1988 e primo di quattro fratelli, proviene da una famiglia da sempre dedita al vino e con la sua cantina orbita dal 2014 nella Fivi a cui è molto legato in quanto è grazie anche a questa associazione che ha potuto vedere il suo lavoro nella giusta prospettiva ed avviare un percorso di crescita edificante sotto ogni aspetto, tanto da spingerlo a dare il suo contributo in qualità di consigliere dei vignaioli indipendenti trevigiani da alcuni anni, un pool di oltre 40 aziende vinicole che operano sul territorio.

Ha frequentato l’istituto agrario “Giovanni Battista Cerletti” di Conegliano, diplomandosi come enotecnico nel 2009 e proseguire gli studi universitari prima ad Udine e poi in Argentina, precisamente a Mendoza, dove ha conseguito la doppia laurea in Viticoltura ed Enologia. Grazie alla sua innata curiosità ed un carattere molto aperto al nuovo ha avuto modo di lavorare ed esperire nel mondo del vino sia in Valpolicella che a Napa Valley durante il suo percorso accademico, grato alla sua famiglia per il sostegno che mai gli è venuto meno. Dopo essersi fatto le ossa e rientrato definitivamente in Italia nel 2012 si sposa con Desirée, conosciuta in Argentina a Mendoza durante l’esperienza di studio e lavoro in Latinoamerica. risale proprio a questo stesso periodo la decisione di Stefano di entrare in via definitiva nell’azienda di famiglia e di dare il suo solido contributo. Nel dicembre del 2013 nasce Ingrid Cassandra e a marzo del 2015 Marco Santiago, i suoi due figli. Al nucleo familiare si aggiungono Dexter, un beagle di 7 anni dolcissimo e paziente coi familiari, soprattutto con i bambini, e tre gatti che affascinano enormemente Stefano per il loro carattere ed intelligenza particolari. Stefano è una persona gastronomicamente curiosa ma per niente abitudinaria: ama molto sperimentare ed assaggiare nuove pietanze e sapori, soprattutto quando in viaggio, non va pazzo per i dolci ed ha un debole per i salumi. Appassionato lettore fino a qualche anno fa oggi deve districarsi coi tempi della vigna e delle pratiche enologiche, ma continua a guardare con affetto autori classici come Ernest Hemingway e Gabriel Garcia Márquez. Altra sua passione è il basket, praticato a livello amatoriale, militando per la locale squadra degli Onigo Wildpigs e facendosi rapire dal fascino patinato della NBA; Stefano fa il tifo per la Juventus, anche se la sua indole onnivora e sportiva lo porta a seguire tutto il calcio, e scrive per una webzine dedicata al mondo Juventus e al football tout court.

Stefano ama le citazioni ma ne fa raramente uso, convinto che l’abitudine a farne sfoggio le svuoti del loro significato, specialmente quando queste non sono state interiorizzate; è persona concreta, ponderata ed al tempo stesso spontanea e, per quanto incline alla diplomazia, per niente propenso a negoziare su valori e principi, ecco perché “Custodi di un Territorio” costituisce più di un semplice motto aziendale per Follalba: è una vera e propria dichiarazione di identità e di intenti, profonda come lo è un patto con sé stessi. Il nostro vigneron reputa inoltre che la Terra di Valdobbiadene sia più che semplice sinonimo di Terra del Vino, ecco perché è un fermo sostenitore di programmi mirati all’abbassamento dell’impatto ambientale e all’impiego virtuoso dei flussi di capitale per iniziative mirate ad attirare il turismo lento su un territorio che ha tanto da raccontare e che riesce a raccontarlo bene quando lo si raggiunge e lo si ascolta attraverso la voce di chi lo vive.

E la voce di Stefano è una gran bella voce….

Un aneddoto che la riguarda personalmente e che l’ha segnato positivamente…

È difficilissimo citare un solo aneddoto. Si lascia per forza di cose fuori la quasi totalità delle cose importanti anche perché separare la crescita personale da quella professionale è pressoché impossibile. Forse potrei citare un’esperienza che probabilmente ha plasmato la mia maniera di vedere il mondo molto più di quanto pensavo: nel 2008 grazie al professor Giovanni Mariani, uno degli insegnanti più appassionati che abbia mai avuto, ebbi l’opportunità di partecipare ad Europea, una sorta di “campionato” fra le scuole enologiche di tutto il continente. Fu una splendida settimana in Portogallo dove col senno di poi cambiò molto del mio modo di vedere il mondo sia dal punto di vista personale che professionale appunto.

Persone che la ispirano…

Senza dubbio ho avuto degli ottimi maestri in famiglia che con l’esempio mi hanno fatto crescere come persona e continuano ad essere modello di ispirazione per me e ovviamente non posso che annoverare mia moglie Dèsirée, una persona veramente straordinaria che ammiro profondamente. Sono dell’avviso che, un po’ come ciò che penso riguardo alle citazioni, bisogna saper fare propri gli esempi da cui possiamo trarre ispirazione: basta stare attenti e cogliere i messaggi positivi che arrivano, perché intorno a noi, nel passato come nel presente, nel mondo dello sport come della cultura e dello spettacolo, si possono fortunatamente trovare persone, famose o comuni, con molto da insegnare e da cui trarre ispirazione.

La sua azienda, una panoramica su Follalba…

La nostra azienda agricola nasce con la presenza della famiglia Follador a Santo Stefano di Valdobbiadene, 14 generazioni fa. Per decenni ha mantenuto una dimensione slegata dalla vitivinicoltura professionale, rivestendo il ruolo di una azienda agricola generalista, quasi di sussistenza come era abitudine ai tempi. Con mio padre Francesco e mia madre Valeria le cose sono definitivamente cambiate, puntando in maniera più decisa sulla trasformazione delle nostre uve e la vendita dei nostri vini.

Oggi siamo una realtà di circa 6 ettari tutti all’interno della zona storica docg Valdobbiadene, la quale ricade nell’area Unesco. Siamo una delle tante famiglie storiche di questa zona da sempre impegnate per produrre il miglior vino possibile dalla nostra terra. Vogliamo rappresentare il volto artigianale, familiare, genuino ed onesto della nostra denominazione, senza porci al di sopra di altri ovviamente, ma cercando di offrire il nostro meglio a clienti ed appassionati.

Cerchiamo di utilizzare con razionalità e giudizio le tecniche agronomiche e le innovazioni tecniche, sino alla gestione del bosco che curiamo e non abbiamo mai abbandonato: infatti siamo rimasti una delle poche aziende ad avvalersi in buona parte di palificazione a chilometri zero, proveniente dalle nostre montagne e realizzata da noi in prima persona.

Sembra che da un po’ di tempo a questa parte tutti ce l’abbiano col Prosecco ed i primi detrattori, tra addetti ai lavori e non, siano proprio gli italiani?

Lo si dice spesso, ma in Italia avere successo è forse l’unica cosa imperdonabile da parte delle masse.

Il prosecco ha avuto il merito di creare un modo nuovo di fruire del vino, ha democratizzato un po’ un mondo che troppo spesso vive di esclusività e di torri di avorio. Questo non piace a molti comunicatori e a molti addetti ai lavori perché probabilmente non riescono a capire il perché di questo successo. Anzi, molti poi usano la grande forza mediatica della parola prosecco a proprio vantaggio.

Prova a dare addosso a un qualsiasi vino o denominazione e avrai una modesta cassa di risonanza, tra addetti ai lavori ed appassionati, fallo sul prosecco e l’attenzione si moltiplicherà per mille. È un tema divisivo perché non è solo enologia, è come si intende la socialità, la politica e la territorialità tutto mescolato come un cocktail esplosivo, uno spritz di polemiche insomma.

Aldilà dell’uso utilitaristico e pretestuoso della polemica per ottenere la tanto agognata rilevanza mediatica ci sono comunque enormi criticità nel mondo prosecco che non vanno ignorate e che replicano quello che accade in ogni denominazione ma in scala solitamente maggiorata.

Il Consorzio del Prosecco Docg Conegliano Valdobbiadene dovrebbe essere un organismo equanime a garanzia di tutti. E invece?

Si tratta di una lotta sotterranea che va avanti da un decennio, molto complessa nella sua storia e difficile da comprendere per chi non vive questo contesto.

Per semplificare il più possibile si potrebbe dire che esistono due anime all’interno del consorzio di tutela, una la nemesi dell’altra e che difficilmente potrebbero arrivare ad un punto d’accordo.

Il problema ad oggi è dato dalla rappresentatività in consiglio e da come viene calcolata.

Ma si tratta in realtà di uno scontro quasi ideologico fra attori legati all’industria del vino contro una tipologia di produttori quantomeno differente.

È doloroso apprendere che proprio i produttori che più si battono per il territorio e per mantenere alto il buon nome del Prosecco, perseguendo la qualità, siano coloro che hanno meno voce in capitolo. C’è una frattura evidente da tempo… è risanabile? E se sì come?

Purtroppo è da sempre così. Il sistema funziona su basi quantitative democratiche ed è giusto, ma spesso gli interessi di massa produttiva e di produttori non coincido. C’è una frattura innegabile che credo sia difficile da rinsaldare.

Sinceramente non mi sento sufficientemente qualificato o preparato per dare indicazioni così precise sulla governance, anche se prestare un maggiore ascolto a chi presidia il territorio realmente lo riterrei opportuno, doveroso e di reciproco vantaggio a lungo termine.

Purtroppo si parla sempre di una industria caratterizzata dal capitalismo all’italiana che difficilmente programma e progetta per durare nel tempo, ma che preferisce cannibalizzare le risorse per poi muovere il potere economico acquisito in settori terzi. Basta guardare la storia industriale del nordest italiano per riconoscere questo modus operandi.

Non sarebbe il caso di avviare una campagna significativa finalizzata ad orientare con sincerità anche il consumatore più scettico sul dove risieda effettivamente la qualità del Prosecco in un mare magnum di bollicine di cui talvolta è dubbia persino l’origine?

Non credo che in un’epoca in cui siamo costantemente inondati di pubblicità ed informazioni spesso contraddittorie sia semplice persuadere un consumatore tramite messaggi mediatici.

Anzi talvolta lo trovo personalmente fastidioso e artefatto.

Piuttosto cercherei di lavorare per portare più gente possibile sul territorio con una programmazione di largo respiro e sinergie fra i vari attori sul territorio. Chi arriva a Valdobbiadene per la prima volta resta stupito e soprattutto chi arriva da lontano resta sempre ammaliato dai nostri paesaggi, senza contare che visitare una piccola realtà artigiana, come la nostra e quella di tanti bravissimi colleghi, spesso apre gli occhi su quelle che sono le vere potenzialità di questo vino tanto noto, quanto mal conosciuto che è il prosecco.

Cambiando completamente discorso credo sia necessario che i consumatori siano in grado di leggere un’etichetta. Spesso le informazioni sono tutte lì, ma il consumatore non ha gli strumenti o la voglia di carpirle quando invece saper leggere un’etichetta è fondamentale, non solo per il vino, ma per ogni alimento.

Ci parlerebbe dell’areale di Santo Stefano e di cosa si prova a fare viticultura in questa terra nel cuore della Docg Conegliano Valdobbiadene?

Parlare di Santo Stefano è facile e difficile allo stesso tempo. È il luogo in cui sono nato, in cui vivo e che mi ha formato per buona parte.

La zona rappresenta senza dubbio l’epicentro della docg insieme ai paesini vicini, a forma di un teatro spettacolare incastonato proprio sotto la montagna e col semicerchio di apertura diretto verso la pianura, il fiume Piave ed il rilievo del Montello. È un’area caratterizzata da un clima tendenzialmente più mite rispetto alle vallate limitrofe, con ottime escursioni termiche e ventilazione, ovviamente condizioni adatte alla vite.

Quando ha deciso di intraprendere il suo percorso professionale e cosa significa la spumantizzazione in particolar modo per lei?

La mia è stata una decisione presa in tenera età, quando a 14 anni scelsi la scuola superiore. Sono stato fortunato a incontrare ciò che mi appassionava nel mondo del vino ed a poterne fare una professione. Poi ovviamente nel corso degli anni le idee e le prospettive sono cambiate. All’inizio del mio percorso universitario avrei preferito fare diversi anni d’esperienza fuori prima di mettere radici, ma la vita ci porta dove dovremo essere senza che uno se ne accorga.

Per quanto concerne la spumantizzazione l’ho sempre vista come ad i preparativi per un grande evento: è come prendersi cura di sé stessi in ogni dettaglio, assumendo il giusto portamento ed indossando l’abito più adeguato al fine di esaltare il proprio stile e la propria personalità e, ovviamente, il vino in questo parallelismo, non deve risultare mai invadente o eccedere nel protagonismo. È un gioco di equilibri sottile e delicato dove è richiesta grande sensibilità.

Quali sono le pratiche ed i criteri che contraddistinguono la sua azienda tanto in vigna quanto in cantina?

Non ci sono grandi particolarità in ciò che facciamo. Lavoriamo sodo, con passione e con attenzione. Quello che posso dire che ci caratterizza è la volontà di usare tutte le soluzioni che la tecnica e l’esperienza ci propongono, coniugandole al minimo impatto con l’ambiente ed al miglior risultato tecnico possibile. Certo non è sempre facile, richiede più sforzo di quanto si pensi, ma come dice la nostra presentazione aziendale siamo asini con la testa dura.

Il Prosecco e tutte le sue sfumature secondo Stefano Follador…

È quel vino che ho sempre trovato affascinante. Vive di sfumature e delicati equilibri, è difficile da valutare perché il differenziale fra un buon prodotto ed uno mediocre ha bisogno di una grande sensibilità per essere afferrato e compreso.

È il vino che ha cambiato l’approccio culturale al mondo enologico da parte di almeno una se non due generazioni e che ben rappresenta la nostra terra: allegro, generoso, semplice, ma non per questo scontato o banale, per lo meno nelle sue interpretazioni ben fatte.

Quali Prosecchi beve Stefano Follador quando non beve i suoi?

Sono tanti i colleghi per cui nutro grande stima e ammirazione, soprattutto all’interno della delegazione trevigiana della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, dove oggettivamente il livello enologico è molto alto. Credo sia difficile nominarne alcuni senza fare torto agli altri, ma se volete un consiglio potete andare sul nostro shop e acquistare una delle box a sorpresa. Potreste scoprire delle novità interessanti.

Ad ogni modo mi rendo conto di avere un forte limite come bevitore durante la degustazione: non riesco a scindere il vino dal tipo di azienda che c’è dietro.

Un suo sogno nel cassetto ed un messaggio per i consumatori di una grande espressione enologica italiana qual è appunto il Prosecco…

Sogni nel cassetto tanti, ma mai rivelarli! Altrimenti non si avverano.

Direi che scegliendone uno a livello professionale vorrei che diventasse abitudine parlare di Valdobbiadene, o Asolo, anziché sempre e solo di prosecco, perché è il nostro territorio che marca le peculiarità e le unicità dei nostri vini. Ci stiamo provando già ora, ma è difficile cambiare un modo di comunicare radicato.

Per quanto riguarda invece il messaggio ai consumatori, che posso dire? Innanzitutto grazie, perché senza di loro non potremo sopravvivere, poi in secondo luogo li invito, qualora non ne avessero ancora avuto l’opportunità, a venire a trovarci sul territorio per meglio comprendere il duro lavoro che si nasconde dietro ogni bottiglia. Venire a toccare con mano le difficoltà di lavorare in una zona collinare meravigliosa ma tremendamente aspra per le pendenze, i suoli e la morfologia generale come Valdobbiadene.

Infine suggerisco loro di essere sempre curiosi, di venire a parlare con i produttori, con chi il vino lo fa davvero. Tanti di noi hanno la scorza dura, ma in realtà non vediamo l’ora di poter parlare della nostra terra a chi ha per davvero in cuore di ascoltarci e di comprendere la cultura e la storia che pervade questi luoghi.

Per info e contatti: Azienda Agricola Follador Francesco

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