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Ci sono delle bottiglie che incredibilmente mantengono una carica esplosiva e complessiva in tutte le loro sfumature, regalando a distanza di anni non soltanto il piacere di una beva edonistica ma anche quello di ripercorrere le tappe storiche di annate, di cantine e territori di origine.

Il 1998 non è affatto un anno casuale: papa Giovanni Paolo II approda a Cuba il 21 gennaio e durante una visita pastorale incontra Fidel Castro, il 2 maggio il Consiglio dei Ministri Europei annuncia ufficialmente la nascita della moneta unica, faccenda che dimostrerà col tempo quanto Romano Prodi c’abbia preso, Larry Page e Sergey Brin fondano ufficialmente la Google, esattamente il 4 settembre. In Italia, non benissimo: il 5 maggio le località di Sarno, Quindici, Bracigliano e Siano, vengono colpite da gravissimi fenomeni franosi e rapide colate di fango, provocando la distruzione di molte abitazioni e la morte di 137 persone nella sola Sarno, Marco Pantani vince il Tour de France il 2 agosto, mentre il 9 settembre invece Lucio Battisti si spegne per sempre nella città di Milano. Vi direi di come, nell’ottobre di quell’anno, un cuore spezzato trova riparo in Egitto, tra Al-Qarafa al-Kobra al Cairo, la cittadella di Qaitbay ed il ristorante Samakmak, di proprietà di una ex danzatrice del ventre innamorata di Venezia, lì ad Alessandria d’Egitto ed al sacrario di El Alamein nei pressi di Marsa Matrouh, dove mancò la fortuna non il valore e si rinuncia volentieri ad una notte desertica a Quota 33 per non sconsacrare la nobile memoria di quel luogo voluto dall’ingegnere Paolo Caccia Dominioni, ufficiale del Genio Alpini e comandante del XXXI battaglione guastatori di quel corpo, dislocato in Africa Settentrionale durante la seconda guerra mondiale, rimasto oltre il conflitto per seppellire i resti mortali dei suoi compagni. Potrei, ma questa è un’altra storia che non so se ho voglia di raccontare, sono passati più di vent’anni in fondo, il vino ha cominciato ad aprirsi e col vino ed il tempo si impara a ridersela di tutto un po’, a berci su insomma, quasi come a quando pensiamo al Millennium bug ed ai tanti timori risultati poi infondati.

Comunque sia nel ’98, ripeto annata niente affatto casuale, il commendator José Berardo acquista Quinta do Carmo da Orlena Scoville e da Julio Bastos, diventando anche il principale azionista del gruppo Bacalhôa, investe nell’impianto di nuovi vigneti, nell’ammodernamento delle cantine e nell’acquisizione di nuovi tenimenti, concludendo persino una partnership con il gruppo Lafite Rothschild proprio nella proprietà a pochi chilometri da Estremoz nella regione dell’Alentejo, letteralmente Oltretago. La tenuta in questione al tempo contava una superficie totale di 1.000 ettari, comprendente 100 ettari di uliveti e colture di cereali, piantagioni di sugheri e foreste, superficie che Bacalhôa, diventando a sua volta il maggiore azionista di Aliança nel 2007 e rilevando definitivamente le quote di Lafite Rothschild, porterà a 1200 ettari.

Quinta do Carmo, sempre in riferimento alla tenuta, deve la sua rinascita al re Giovanni IV di Portogallo, il primo della dinastia di Braganza, che nel XVII secolo la diede in dono, cherche toujours la femme, ad una dama della sua corte, per quanto la regale fattoria fosse possedimento di questa famiglia nobiliare già dal 1400. Oggi come ieri i vini che un tempo erano apprezzati alla sua corte continuano ad essere prodotti nei vigneti di proprietà della cantina, la quale coniuga i suoi prodotti enologici all’arte ed alla passione in scenari sospesi tra modernità e tradizione dove sovente prendono luogo mostre artistiche.

Accarezzati dal lungo e turbolento soffio dell’Oceano Atlantico i vitigni utilizzati in questa annata, i quali si trovano su suoli di argilla e scisto, sono stati l’Alicante Bouschet, la Periquita, la Trincadeira e l’Aragonez, poi vinificati separatamente in acciaio inox con macerazione e fermentazione variabile in durata dai 7 ai 15 giorni, per poi affinare in barrique di rovere francese per un anno.

Malgrado l’età il Quinta di Carmo 1998 si mostra spavaldo e fiero già nell’aspetto: rosso granato con accenni appena di rosso aranciato ed arcate fitte che scoscendono lentamente. Dopo aver tagliato la coltre di canfora e cenere di sigaro con la lama del tempo, la decantazione ed un buon avvinamento dei calici gli odori che ne scaturiscono sono persistenti, decisi e complessi: profumazioni ematiche fuse assieme alla scorza di arancia confit, prugna essiccata, peperone crusco, cacao amaro, ciliegia sotto spirito ed una sfumatura di cuoio e pietra focaia. In bocca è dirompente per acidità, cui segue un tannino molto fine ed una chiusura salina elegantissima. In tutto ciò ritorna la scorza d’arancia ed il tamarindo assieme, la ciliegia, stavolta più fresca e succosa, datteri e fichi essiccati, peperone, pepe nero e tabacco in dissolvenza. A calice vuoto torna la canfora unita alla pietra focaia, la scatola di sigaro ed un’idea di acqua di rose. Con una persistenza aromatica intensa da maratona e le proprietà organolettiche il Quinta do Carmo conserva tutto lo stile del vinho alentejano con quel tocco di classe in più e sarà ottimo anche tra 5 anni. Ascoltando la sinfonia n.7 in A maggiore, opera 92, allegretto, di Ludwig van Beethoven.

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