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La tradizione della cucina napoletana contempla piatti di straordinaria raffinatezza, opulenti per la qualità e la varietà degli ingredienti, ed allo stesso tempo pietanze povere, quelle frutto del saper fare di necessità virtù come si suol dire, ma non per questo meno gustose o immeritevoli di occupare un ruolo di tutto rispetto nella nostra gastronomia. Certamente i mezzanelli lardiati costituiscono una ricetta squisitamente contadina, figlia della sussistenza, della capacità di valorizzare anche il più povero degli ingredienti e del bisogno di mettere in tavola cibo saporito e di consistenza, al fine di riempire la pancia, di mettere di buon umore e di apportare le giuste calorie richieste come da fabbisogno per coloro che svolgevano un duro lavoro nei campi e nelle masserie. Pare che la consuetudine di fare la pasta lardiata risalga al 1700, epoca in cui presso la corte borbonica ci si leccava i baffi per le sontuose leccornie, mentre al popolo toccava appunto ingegnarsi per mettere sotto i denti qualcosa che assolvesse degnamente al pasto, cercando di conservare e nobilitare la materia prima, soprattutto quella non destinata ai ricchi proprietari terrieri ed ai sangue blu. Ecco che proprio d’inverno, durante il periodo in cui si ammazzava il maiale, i bravi contadini avevano la possibilità di portarsi a casa tutto quello che veniva considerato scarto e, come avveniva per il lardo, di conservarlo sotto sale per poterne protrarre e massimizzare il consumo. Ecco quindi che, lardiati, allardati o allardiati che dir si voglia, i maccheroni sposavano il grasso del maiale facendosi delizia per il palato, mediante una preparazione veloce, fatta di pochi ingredienti ma decisamente calorica e quindi da consumarsi nei mesi più freddi dell’anno.

L’ingrediente principale è dell’ottimo lardo di maiale il quale deve essere rigorosamente “allacciato”, ossia ridotto ad un battuto a coltello, piuttosto che con la mezzaluna, sino a diventare cremoso ed omogeneo, dopodiché ci si apre a tutta una serie di scuole di pensiero.

Aglio o Cipolla? Gambi di Sedano? Basilico o Prezzemolo? Pepe o Peperoncino? Pecorino o Parmigiano Reggiano? Insomma dobbiamo ricordarci che la ricetta nasce anche per sfruttare ciò che si aveva a disposizione in cucina senza essere troppo schizzinosi però, e per quanto sussistano delle versioni in bianco, mettiamocelo il pomodorino.

Francesco Franzese ha risolto subito i dilemmi riguardo alla scelta sugli ingredienti ed ha deciso di concederci la sua personale interpretazione, dopo aver provate tutte le sfumature classiche di questo piatto, spogliando la pasta lardiata della sua rusticità e dandole un tocco di raffinata eleganza.

Francesco, attualmente executive chef al Rear Restaurant presso il Ro World di Nola, è di origini napoletane: classe del’89 e nativo di Saviano.  Il suo percorso formativo e professionale lo ha visto impegnato presso ristoranti di altissimo rilievo affiancando i più grandi esponenti della cucina italiana ed internazionale… con lo chef Vito Mollica ha lavorato a Firenze, sia al Four Season che al Palagio, già insignito di una stella Michelin, successivamente con lo chef Giorgio Locatelli vola a Londra per stare ai fornelli della Locanda Locatelli, altra stella Michelin, poi ancora in Campania, precisamente a Capri, dapprima al Ristorante l’Olivo, due stelle Michelin, con lo chef Andrea Migliaccio e successivamente al ristorante il Riccio, affiancando lo chef Salvatore Elefante in un’altra avventura stellata. La palestra di Francesco avrebbe potuto avere già termine qui ma, fortemente motivato a fare nuove esperienze ed a consolidare le proprie conoscenze culinarie, Francesco decide di lavorare per lo chef Joël Robuchon nel suo Atelier de Joël Robuchon di Parigi, location cult da due stelle Michelin, per poi approdare in Sardegna al ristorante Il Fico D’india del resorta quattro stelle Le Dune della Delphina. Sempre pronto a importare nella propria terra di origine il sapere gastronomico e l’esperienza messo a frutto, rientra nuovamente in Campania per fare dapprima l’executive chef al Roji Japan fusion Restaurant d Nola e successivamente a Casa del Nonno 13, in quel di Mercato San Severino, tappa miliare per Francesco in quanto è proprio qui che si guadagnerà la sua prima stella, confermandola in seguito.

Tant’è l’appeal elegante che Francesco Franzese ha conferito al piatto che trapela subito dal nome:

La Lardiata coi Tacchi a Spillo… un abitino rosso fiammante per i mezzanelli, quelli rigati però, brioso e sbarazzino, proprio come quelle donne che ne indossano uno e che ispirano da subito leggiadria e finezza.

Si parte con un soffritto di olio evo all’aglio col lardo di pancia di maiale nero casertano, lardo di Colonnata e lardo di Kobe wagyu, lavorati a bassa temperatura, a cui va ad aggiungersi l’acqua di pomodoro ramato per risottare i mezzanelli rigati. In mantecatura arriva sia il battuto di pomodoro di San Marzano che l’olio dello stesso, assieme alla crema di datterino, tutte e tre in versione confit, poi polvere di pomodoro alla brace. In uscita ritorna il pomodoro in polvere alla brace, la cotica soffiata, le fette sottilissime di lardo di Colonnata a crudo che iniziano a fondere e gocce di olio extravergine al basilico.

La Lardiata coi Tacchi a Spillo dello chef Francesco Franzese è un primo piatto estroverso, raffinato ed evoluto, frutto della grande passionalità e dell’indole materica del suo creatore, nonché di un lavoro di concetto sul pomodoro, sul grasso di maiale e non solo, vista la presenza del grasso del manzo wagyu di Kobe. Cotture millimetrate, estrazione massima del licopene e dell’umami dal pomodoro, impiegato anche nella versione confit tendente alla dolcezza e quella aromatica conferitale dalla cottura alla brace, unitamente all’uso metodico dei grassi, conferiscono al piatto leggerezza e biodisponibilità impensabili per una lardiata che in effetti non perde nulla dei suoi sapori primordiali, anzi li amplifica. Bollicine di Caprettone del Vesuvio Metodo Classico? Si può fare ma solo se accompagnati a cena da una signora coi tacchi a spillo!

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