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Situata tra le colline dell’Irpinia Centrale, entro il distretto sismico, Paternopoli è una cittadina di appena 2000 abitanti e si affaccia sulla media valle del Calore Irpino, fiume da cui è attraversata ricevendo come affluente il Fredane. Un tempo noto semplicemente con il nome di Paterno, rimasto tale fino al 29 gennaio 1864, il toponimo di questo borgo in provincia di Avellino significa “città del padre”, essendo l’etimologia derivare dal al latino “pater” e dal greco “pòlis”.

Paternopoli, un po’ di storia…

Quel che è certo è che le prime notizie accertate sulla storia di Paternopoli risalgono all’epoca preromana: infatti, secondo alcuni studiosi, la presenza di insediamenti nell’attuale territorio del comune è ascrivibile al VIII secolo a.C., mentre la colonizzazione del territorio, da parte dei Sanniti, è fatta risalire alla fine del V e all’inizio del IV secolo a.C.; inoltre, appartenenti al periodo che va dal IV al III secolo a.C., fino all’età romana, sono stati rinvenuti diversi oggetti, come monete e ceramiche e ritrovate svariate iscrizioni tra resti di ville e sepolcreti. Questa stratificazione di insediamenti, le cui tracce sono arrivate sino ai giorni nostri, venne spazzata via dalle legioni romane proprio nel III secolo a.C., durante la terza guerra sannitica, e quindi ne sorse un centro fortificato, costruito dall’esercito vittorioso, e che si ingrandì almeno fino al IV secolo d.C.

La fase di decadenza di questo centro coincise con la caduta dell’Impero Romano e le conseguenti incursioni di Vandali, Ostrogoti e di Goti, il cui solo freno fu posto dall’occupazione longobarda che in effetti restituì al territorio e alle genti una certa stabilità, oltre a una ripresa economica poiché, non essendo i Longobardi ostili alla Chiesa, vi sorsero monasteri col sostegno di cospicue donazioni e benefici fiscali.

Con l’arrivo del Medioevo e la stipula del trattato di Ceprano del 1080, vi fu un ulteriore impulso e benessere economico, favorito dal passaggio di Paternopoli nelle mani del condottiero normanno Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, e venne edificato il castello tra l’XI e il XII secolo. In tardo Medioevo, Paternopoli, grazie alla sua posizione strategica sulle valli del Fredane e del Calore, dominava le vie di transito per la Lucania e la Puglia e pertanto ebbe a crescere ancora, sia economicamente che demograficamente.

Durante il conflitto tra Ferdinando I d’Aragona e i francesi del duca Giovanni d’Angiò, il ruolo di Paternopoli fu determinante al punto che il vittorioso re Ferdinando, sul finire del 1400, volle munire la località di un avanzato sistema difensivo, la cui torre si è conservata quasi integra fino ai primi del ‘900.

Da tutto ciò è comprensibile che, anche nei secoli a venire, fino ad oggi, Paternopoli è stata epicentro di importantissimi accadimenti storici ma, pur sorvolando sugli stessi, è fondamentale riportare che, sia nel XVIII che nel XIX secolo, Paternopoli visse un periodo di profondo fermento e rinnovamento culturale, diventando persino sede di una apprezzata “Scuola di lettere ed arti“, dalla quale uscirono uomini illustri che contribuirono alla costituzione dell’unità d’Italia.

Alcune attrazioni culturali di Paternopoli

Oggi è possibile visitare a Paternopoli strutture sia civili che religiose di gran pregio culturale e architettonico come il Santuario Maria SS. della Consolazione, caratterizzato per l’imponente torre campanaria e per la vicina scala santa, la cinquecentesca Chiesa di San Giuseppe, arricchita dalla presenza di un bell’altare marmoreo, un coro ligneo e vari dipinti del XVIII secolo, piuttosto che il Museo della Civiltà Contadina, situato nei pressi del municipio, e che conserva macchine agricole, utensili di lavoro e oggetti d’uso quotidiano della civiltà contadina locale. Una visita al borgo di Paternopoli sarebbe auspicabile anche durante i due principali appuntamenti folkloristici: il Carnevale Paternese, con la caratteristica sfilata di carri a cui viene assegnata ogni anno una tematica specifica, e la Notte del Lauro, celebrata tra il sabato santo e la domenica di Pasqua; la tradizione vuole che i giovano regalino, come pegno d’amore, una pianta di alloro alle proprie fidanzate, mogli o ragazze da loro ambite. Naturalmente, al di là del lato romantico, c’è la nota dolente: per rispondere ad un rifiuto o per dimostrare il proprio disprezzo nei confronti di una ragazza, è possibile anche trovare il sambuco, pianta che, a differenza dell’alloro, viene portata in senso di spregio e che, dopo essere stata tagliata da diverso tempo, emana un odore sgradevole.

La Cantina Paterno

Fortemente radicata a questa città e a questo territorio, la Cantina Paterno storicamente risale alla fine del ‘700 e quindi, da sempre vocata alla produzione e al commercio del vino, lo procurava inizialmente alle varie taverne e osterie esistenti all’epoca, lungo la via regia che da Napoli portava alle Puglie, oltre che venderlo a Napoli, già dal tempo in cui era capitale del regno Borbonico. Questa storica cantina irpina inoltre, sul finire dell’800 e con l’arrivo della ferrovia, oggi ancora attiva sulla tratta Avellino-Rocchetta Sant’Antonio per soli treni storico-turistici, cominciò ad aprirsi sia al mercato italiano oltre regione che a quelli internazionali con profitto e gradimento di pubblico. Attualmente, al timone aziendale, c’è Angelo Storti, il quale con cura e perseveranza porta avanti una tradizione vitivinicola secolare con gli opportuni accorgimenti innovativi, producendo oltre a vini di pregio a denominazione anche olio extravergine di oliva di qualità.

Don Aliandro Campi Taurasini

Il Don Aliandro è un vino che nasce da uve Aglianico allevate su suoli vulcanici, raccolte attorno alla prima decade di novembre e che vedono una resa di circa 50 quintali per ettaro; la macerazione delle stesse ha una durata di circa 20 giorni, mentre la fermentazione viene innescata in parte parzialmente anche con starter di lieviti autoctoni, svolgendo successivamente malolattica e infine la maturazione in legno di rovere.

L’assaggio del Don Aliandro…

Il Don Aliandro Campi Taurasini Doc 2017 di Cantina Paterno sfodera visivamente un rosso rubino profondo e tuttavia compatto, con appena un accenno, quasi impercettibile, di granato, lasciando tracce di buona consistenza dopo la rotazione del calice. Figlio di vendemmie novembrine e freddi invernali che, unitamente all’affinamento in botte, ne hanno fissato le componenti odorose, il Don Aliandro profuma di viola e rosa essiccata, note floreali quasi incenerite dall’eterea alcolicità, per quanto non invadente, a cui seguono le percezioni odorose della ciliegia sia in confettura che sotto spirito. Il quadro odoroso è arricchito dalle note di prugna secca e melassa di fichi, poi la vaniglia e un lievissimo tocco di pepe. Tannini delicati e buona sapidità anticipano, con buona separazione, la freschezza, che arriva giusto ad inondare il sorso di succulenza, nel riverbero dei riconoscimenti fruttati percepiti prima e a cui si aggiungono, in retro olfattiva, i lamponi, i mirtilli e una sottilissima nota di tabacco scuro fermentato. Nella sua calibrata persistenza si abbina eccellentemente al peposo dell’Impruneta.

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