
Quando ho avuto il piacere di conoscere Pietro Vezzoso, in quel di Falciano del Massico, sono partito con un’idea di interpretazione del vino fatto da uve Primitivo che, particolarmente in una delle sue bottiglie, doveva essere per forza di cose essere diversa tra le tante opzioni che spesso ricadono nella denominazione di Falerno del Massico. Non so se sia stata un’intuizione, e neanche volevo che tale idea si facesse troppo strada dentro di me fino a diventare aspettativa, ma l’assaggio di quel vino mi ha dato ragione.
Il fatto è che certe cose non partono semplicemente dall’idea soggettiva che uno si può fare del vino, ma di quello che talvolta una persona, come nel caso di Pietro, trasmette durante una semplice telefonata, che poi diventa incontro, visita nei vigneti e degustazione. Non assaggio mai il vino creandomi delle aspettative, temo che esse allontanino troppo dall’oggettività dovuta a chi ci lavora come minimo un anno per tirarlo su e ci dona il privilegio di un calice, visto che nulla ci è dovuto a questo mondo, chiedendo un parere concreto e sincero. Credo si sia trattato di buone vibrazioni, quelle che ti fanno percepire affinità con persone appena conosciute e che ti suggeriscono istintivamente di parlarci con la stessa disinvoltura e serenità con la quale si parla ad amici di vecchia data e di cui puoi fidarti. E per questo, visto che ci siam fatti carico di inaugurare l’Umanesimo del Vino, sento di dover ringraziare un altro amico: quel Wine Spoiler di un Ferdinando Toraldo.
Chi ha la strampalata idea di venire a leggere quel che scrivo, a questo punto, si è già accorto che questo pezzo ha preso una piega diversa dagli incipit alle degustazioni che generalmente scrivo, partendo da territori e aneddoti storici, per poi approdare alla fondazione di una cantina, al vino e all’abbinamento.

I territori vengono modellati dall’uomo, le cantine vengono edificate dall’uomo e il vino viene fatto dall’uomo e Pietro Vezzoso è territorio, cantina, vino, figlio, padre, marito, viticoltore e tanto altro. Conoscendolo mi sono rinfrancato all’idea che il vino, grazie a persone come lui, può tornare ad essere davvero frutto di passione sincera e genuina; da qui mi è partita anche la considerazione che il vino di prossimità, che è una cosa buona e giusta, non è solo quel vino prodotto in un’area prossimale alla nostra, a chilometro zero insomma o giù di lì, ma un vino a misura d’uomo, fatto dall’uomo per l’uomo, un vino sostenibile anche perché avvicina i simili ai propri simili, che fa bene alla testa, allo spirito e al cuore, oltre che sapere di buono al naso, al palato, che disseta addirittura.
A precedere le note di degustazione del 1949 Igt Campania Primitivo 2022 di Cantina Vezzoso, trascrivo la filastrocca con l’alfabeto dal titolo “Il Falerno, Vino del Contadino”, scritto amorevole di Pietro Vezzoso:
A come… amare l’unica donna della propria vita.
B come… la bontà di ogni grappolo d’uva.
C come… la corposità del suo vino.
D come… la dolcezza del suo retrogusto.
E come… l’eleganza nel vino invecchiato.
F come… la freschezza dei tuoi sentori.
G come… la genuinità del prodotto.
H come… quando mi inebri in un Happy Hour insieme agli amici.
I come… impossibile non decantarlo.
L come… la luminosità di un suo calice di vino.
M come… la morbidezza del suo vino pregiato.
N come… le note naturali che esprimi.
O come… Orgoglioso di presentarti agli amici.
P come… la possenza che ti contraddistingue.
Q come… la quadratura di tutti gli elementi.
R come… la responsabilità nel soddisfare i più esigenti.
S come… la supremazia del nostro territorio.
T come… il tesoro che tutti vorrebbero.
U come… l’uva che ti caratterizza.
V come… la voglia di una sua beva.
Z come… gli zuccheri “Babo” che ne caratterizzano l’annata.
Ecco, non riuscivo a dirlo: il vino fatto come atto di amore tornerà in voga. Non trovate anche voi?

Il 1949 è un primitivo Igt solo per via dei confini disegnati dall’uomo, laddove Pietro Vezzoso ci vede lo sconfinato orizzonte del Falerno del Massico. E io direi proprio che è quel Falerno che non avete ancora bevuto, tant’è che è fortemente sconsigliato ai fans delle marmellatone, giusto per intenderci.
Fatto integralmente da uve Primitivo vendemmiate verso la seconda decade di settembre e provenienti dai vigneti di proprietà situati a Falciano del Massico, dell’età media di 35 anni, piantate con una densità di circa 3500 piante per ettaro, allevate a Guyot su suoli di natura franco-argillosa, il 1949 nasce grazie alla fermentazione e all’affinamento in inox per circa 10 mesi per poi riposare, filtrato solo per gravità, in vetro per altri 5 mesi.
La trama del velluto rubino con riflessi tuttavia purpurei, risulta consistente. La viola e il ricordo del raspo, assieme al vinoso, nell’accezione positiva, ricordano i profumi del mosto dopo una vena lieve di terra umida a cui segue, tangibilissimo, il fruttato: su tutto la visciola e la mora di bosco, poi la confettura di amarena. Malgrado una certa complessità, il naso risulta tuttavia timido e compresso, anche perché non ha ancora compiuto i suoi anni, ma tutto ciò che timidamente il naso non racconta, esplode al sorso: equilibrato nella sua gioventù, il sorso è materico, un contrappeso per nulla irruento tra tannini, senza invadenza, e acidità calibrata e succosa, entro cui spicca sia il sapido che il saporito a ingolosire il sorso. In bocca affiorano le note precedentemente non percepite alla via diretta, assieme alla riconferma della frutta rossa: ecco quindi il té nero, la “sciuscella” e un pizzico di polvere da sparo. Ne risulta un vino di rustica eleganza, schietto e sincero, con una persistenza piuttosto decisa, che chiude in bellezza facendo schioccare le labbra. Abbinatelo all’amicizia e alla gente per bene e, se volete, anche ad una sontuosa minestra, maritatissima però, mi raccomando…
Con un vino così tutti i giorni, ma non per tutti i giorni, la classe operaia potrebbe andare in paradiso e pure gli industriali. L’ospitalità e l’accoglienza nelle case dei vignaioli, ricordiamocene, non è una cosa scontata, non è necessariamente marketing, ma benedizione.