
Toponomastica: quante sono le statue e i monumenti “al femminile” in Italia?
di Anna Cantagallo
Lo spazio è la nostra storia. La toponomastica (da τόπος, luogo) e l’odonomastica (da ὁδός, via e, lato sensu, piazze e luoghi cittadini) con i nomi delle strade e i monumenti dedicati rendono i luoghi della nostra quotidianità luoghi di memoria, tramandando il passato nello spazio pubblico. I nomi delle vie e i monumenti raccontano di noi e dei cambiamenti della società.
Le strade cittadine pullulano di nomi storici della politica, della letteratura, delle scienze; molti monumenti o busti sono dedicati a personaggi politici o a eroi della patria. Ma quante strade sono intitolate alle donne e quanti monumenti a loro dedicati in una piazza cittadina?
Dal censimento toponomastico nazionale (condotto dal gruppo di toponomastica femminile, nato nel 2012), risulta che la media di strade intitolate a donne va dal 3 al 5% (in prevalenza madonne e sante oppure madri o mogli di personaggi illustri).
La legge tutt’oggi in vigore che regola l’odonomastica è la n. 1188 del 23 giugno 1927: «Toponomastica stradale e monumenti a personaggi contemporanei». In breve, i punti salienti:
«Art. 1. Nessuna denominazione può essere attribuita a nuove strade e piazze pubbliche senza l’autorizzazione del prefetto o del sottoprefetto, udito il parere della Regia deputazione di storia patria, o, dove questa manchi, della Società storica del luogo o della regione.
Art. 2. Nessuna strada o piazza pubblica può essere denominata a persone che non siano decedute da almeno dieci anni. […]. È inoltre in facoltà del Ministro per l’interno di consentire la deroga alle suindicate disposizioni in casi eccezionali, quando si tratti di persone che abbiano benemeritato della nazione».
Quante sono le statue e i monumenti “al femminile” in Italia? Ebbene sono 148. Si tratta di monumenti e statue dedicate a donne realmente vissute, a figure anonime collettive (la moglie, la partigiana, o figure di cura, la mondina… ) che si trovano in spazi pubblici come piazze, giardini e strade. Sono state escluse dal computo le figure allegoriche come la Patria o la Vittoria, la Madonna e le statue che si trovano in cortili privati e pubblici (anche di scuole e ospedali) e cimiteri.
I monumenti in piazze dedicati a donne realmente vissute in Italia sono pochissimi: Grazia Deledda, Maria Montessori, suor Maria De Mattias e Cristina di Belgioioso. Sono state così poche le donne benemerite in campi come la scienza, le arti, l’azione polita e sociale? Le loro azioni sono così poco rilevanti da non meritare una perenne incisione nella nostra memoria? La sproporzione riguarda anche l’autore/autrici delle statue: 120 opere su 148 hanno un’attribuzione certa, di queste solo il 5% è stato realizzato da donne, il 5% vede la collaborazione tra autori e autrici, mentre il restante 90% è a firma solo maschile.
“Vogliano le donne felici e onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori e alle umiliazioni delle donne che la precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità.” Cristina Trivulzio di Belgiojoso (dal basamento della statua a lei dedicata a Milano, piazza Belgioioso, settembre 2021.
Cristina Trivulzio di Belgioioso è stata famosissima in vita e non solo in Italia. Celebrata anche dopo morta per decenni, grazie al suo apporto alla causa dell’Unità d’Italia, è oggi quasi sconosciuta.
Pier Luigi Vercesi nel suo dettagliato libro La donna che decise il suo destino analizza la vita controcorrente di Cristina di Belgioioso. Fu una donna ammaliante con il suo pallore madreperlaceo che incarnava la bellezza romantica a cui resistettero in pochi (tra i suoi spasimanti lo scrittore de Musset e il pittore Delacroix), ma anche di raro il fascino intellettuale a cui coniugava la smania di agire con eccezionale senso pratico.
Cristina nacque a Milano il 28 giugno 1808 da una famiglia nobile e ricca. Suo padre morì quando lei aveva solo quattro anni e la madre si risposò con Alessandro Visconti d’Aragona avendo altri quattro figli. Cristina ebbe buoni e affettuosi rapporti sia con il patrigno che con i fratellastri. Come si usava a quel tempo nelle famiglie nobili, non fu mandata a scuola e prese invece lezioni a casa. Determinante per la sua formazione fu il rapporto con l’insegnante di disegno Ernesta Bisi, che per prima le fece intravedere idee nuove che venivano dalla Francia, e l’amicizia con Bianca Milesi.
A 16 anni Cristina rifiutò il matrimonio con un cugino triste e piagnucoloso e sposò invece, seppur sconsigliata dagli amici, il principe Emilio di Belgioioso, che era bello, giovane, sifilitico e stava dilapidando allegramente il suo patrimonio. Cristina portò in dote 400.000 lire austriache, calcolate oggi a 4 milioni di euro. Il matrimonio con Belgioioso durò poco, per la vita dissipata del marito che le propose anche un menage a trois, ma si dissolse pacificamente (1828) in un rapporto d’amicizia che durò tutta la vita. Da lui rimase contagiata dalla sifilide che dovette curare con i rimedi di allora (sali mercuriali) e che incise sulla sua salute già cagionevole per una forma di epilessia.
Le nuove idee assorbite durante l’adolescenza maturarono in Cristina che, abbandonato il marito, cominciò a frequentare i patrioti, cosa che ovviamente non sfuggì all’occhiuta polizia di Milano.
Iniziò a viaggiare per l’Italia pur osteggiata da un certo Torresani, un burocrate della polizia austriaca che le negava o dilazionava il rilascio del passaporto per viaggiare. Visitò Genova e a Roma conobbe la patriota Teresa Gamba, poi soggiornò a Napoli, dove entrò in contatto con vari esponenti della carboneria e conobbe la madre del futuro Napoleone III, Ortensia di Beauharnais. Sentendosi minacciata dal Torresani che stava diventando il suo persecutore, fuggì prima in Svizzera per incontrare la madre e l’amica Ernesta Bisi, poi si stabilì in Francia.
Qui, ospite di un amico notaio, conobbe lo storico francese Augustin Thierry, che le rimase amico per tutta la vita, innamorato della sua testa, della sua vitalità, della sua intraprendenza e non della sua la bellezza perché era da poco diventato cieco.
Affittò allora un appartamento nel centro di Parigi, aprendo un salotto. Ebbe così l’occasione di stringere amicizia con Heinrich Heine, Liszt e de Musset. Iniziò un rapporto di amicizia e di scambi culturali e culinari (cucinavano insieme!) con La Fayette. Quell’atmosfera così stimolante la indusse a concretizzare i suoi pensieri. Iniziò a scrivere articoli politici, pagando di tasca propria giornali patriottici; si mise ad aiutare numerosi fuorusciti italiani, finanziando addirittura un tentativo di colpo di stato mazziniano in Sardegna. La sua missione era divenuta quella di perorare la causa italiana nel mondo che contava a Parigi.
Provvista di un fascino singolare – alta, sottile, colorito pallidissimo, capelli nerissimi – molti la corteggiavano, tutti l’ammiravano. A trent’anni mise al mondo una bambina, Maria. Figlia di chi? Non si saprà mai di sicuro, forse di uno storico che si chiamava François Mignet. Seguirono anni di studio (tra l’altro tradusse in francese le opere di Gian Battista Vico) e di fervore di idee, dissensi, e iniziative. Il pensiero di Cristina iniziò a orientarsi per la soluzione di un’ Italia unitaria e monarchica. Quelli erano gli anni caldi preparatori ai moti del ‘48. Cristina usò il suo denaro per diffondere le nuove idee, fino a fondare la rivista Ausonio sul modello della celebre Revue des Deux Mondes. Incontrò Cavour, Cesare Balbo, Tommaseo, Giuseppe Montanelli.
Poi Cristina decise di tornare a Locate, dove possedeva una grande proprietà di famiglia.
Prima di lasciare Milano chiese di dare un ultimo saluto all’amica di famiglia Giulia Beccaria, la madre di Alessandro Manzoni, malata gravemente. Ma il “pio” Manzoni non la lascò entrare. Quando gli fu riferito che Cristina a Locate aveva fondato un asilo per i bambini poveri, pare che abbia esclamato: «Ma se ora i figli dei contadini vanno a scuola chi coltiverà i nostri campi?».
L’asilo fu invece lodato dal grande pedagogista Ferrante Aporti. Questa non fu l’unica iniziativa filantropica della Belgioioso, che in Francia aveva apprezzato le idee del socialismo utopistico di Charles Fourier. A Locate creò anche scuole maschili e femminili, nonché forme di previdenza per i contadini.
Quando scoppiarono le Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo 1848) lei era a Roma. Organizzò quello che, con un po’ di ironia, venne chiamato l’ “esercito Belgioioso” costituito da 200 volontari portati in piroscafo fino a Genova e di qui a Milano. A Roma si unì ai patrioti della Repubblica Romana, trascorrendo giorno e notte negli ospedali, esponendosi così a ogni rischio. In quel contesto ebbe un’idea innovativa, ovvero di “creare” il corpo delle infermiere che ancora non esisteva, composto da dame aristocratiche, donne borghesi e anche da qualche prostituta. Fatto questo che, quando si verrà a sapere anni dopo, non mancherà di scandalizzare i “benpensanti” e lo stesso Papa, al quale Cristina risponderà rispettosamente, ma per le rime, con una pubblica lettera.
Dopo la sconfitta della Repubblica Romana e la cocente delusione alle sue aspettative che ne seguì, nel 1850 s’imbarcò a Civitavecchia con la figlia e la governante Miss Parker per sbarcare a Costantinopoli. Voleva ricominciare dal nulla e vivere in Turchia dove, con denaro preso a prestito, acquistò una proprietà per fondare una colonia agricola aperta a profughi italiani e dare assistenza alla popolazione locale, come aveva già fatto a Locate.
Per guadagnarsi da vivere prese a scrivere articoli di sorprendente verismo sull’Anatolia, il Libano, la Siria, la Palestina. “Il Bosforo appaga appieno ogni immaginazione. Parigi e Londra sono opere dell’uomo; Costantinopoli e i suoi sobborghi sembrano sbocciati dalle viscere della terra come alberi della foresta.” La vita turca, molto semplificata rispetto a quella da lei conosciuta, ebbe un effetto positivo sulla sua salute che migliorò.
Tuttavia, nel passare del tempo, la sua abituale franchezza iniziò a non essere apprezzata. Aveva difficoltà nel magnificare l’Oriente come ci si aspettava da una viaggiatrice e residente qual era, poiché la sua attenzione era rivolta maggiormente all’aspetto sociale e alla condizione della donna in primis.
Nel 1855 ottenne dalla burocrazia austriaca la restituzione dei suoi beni e il poter tornare in Italia.
Nel 1860 si sposò la figlia Maria – e sarà un matrimonio felice, che renderà felice anche Cristina. Nel 1861, dopo la proclamazione della tanto sospirata unità d’Italia, la principessa di Belgioioso lasciò serenamente ogni attività politica, vivendo tra Milano, Locate e il lago di Como con l’affezionato servo turco Burdoz e la governante inglese Miss Parker, entrambi compagni di viaggi e d’avventure da vent’anni.
Muore nel 1871, a 63 anni. La sua tomba si trova ancora a Locate.
ANNA CATANGALLO
medico, ha scritto numerose opere teatrali regolarmente rappresentate. Il romanzo Arazzo familiare (Castelvecchi, 2021), il primo della saga, ha ricevuto consenso di pubblico e di critica. Il sole tramonta a mezzogiorno, secondo romanzo della saga, (Castelvecchi 2022) ha vinto il primo premio ai concorsi Milano International 2021 e Iplac – Voci di Roma 2023. Il libro di ricette antiche Come cibo per l’anima (Redaction, 2023), collegato ai due primi romanzi, ha vinto il secondo premio al concorso Mario Soldati 2023, settore gastronomia. Kintsugi (Castelvecchi), il terzo della saga, è risultato fi nalista come inedito al concorso Giorgione 2023.