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Ad Ischia, la famosa isola verde, la viticoltura ha una tradizione millenaria, risalente almeno all’VIII secolo a.C., come dimostra il ritrovamento della Coppa di Nestore nella Necropoli di San Montano nel 1955 ed oggi conservata nella storica Villa Arbusto, ubicata sulle alture di Lacco Ameno e recentemente diventata il primo plesso museale ad essere stato insignito della bandiera delle Città del Vino.

La Pietra di Tommasone, sinonimo di vino ischitano di qualità in Campania e nel mondo, persevera nella scia degli Eubei, ossia la stirpe di coloni greci che per primi introdussero sull’isola, allora chiamata “Pithecusa”, l’arte di allevare la vite e di vinificare le uve.

La storia di questa iconica cantina situata a Lacco Ameno ha inizio verso la fine del 1700, anche se ufficialmente nata e registrata alla camera di commercio nel 1870. Siamo precisamente nel comune di Lacco Ameno e le tracce del passato sono ancora visibili nei resti dell’antico palmento: il vecchio torchio di pressatura e la bottaia scavata nel tufo verde, sono le tracce che accompagnano la tradizione vitivinicola della famiglia Monti da oltre 300 anni, unite al sapere tramandato di padre in figlio da ben cinque generazioni. Il bisnonno Pietro, figlio di contadini, è colui che darà inizio alla tradizione vitivinicola che contraddistingue questa storica famiglia del vino. A Pietro, segue il figlio Tommaso, detto “Tommasone“, per arrivare ai giorni nostri con Antonio e la sua grande passione per la ristorazione che, anni fa, l’ha portato a trasferirsi a Colonia per avviare un ristorante di successo. In Germania incontra e sposa Birgit e nascono le figlie, Lucia e Barbara ma Antonio non ha mai dimenticato il forte richiamo per la sua terra e gli insegnamenti di papà Tommaso. Nel 1999, Antonio Monti intraprende la ristrutturazione delle antiche cantine e il reimpianto delle vecchie vigne di proprietà. Oggi, dopo gli studi in viticoltura ed enologia in Germania, e dopo vari stage ed esperienze lavorative in Italia e all’estero, è la figlia Lucia Monti che dal 2009 conduce l’azienda, per continuare il progetto avviato dal padre, avvalendosi di consulenze enologiche prestigiose come quella di Pier Paolo Sirch, in campo agronomico, e di Renato Germini, per quanto attiene alla razionalizzazione degli impianti aziendali, dalla vinificazione all’ imbottigliamento. Con la felice unione in matrimonio di Lucia con l’attuale enologo l’azienda ha saputo consolidare il suo brand: Giuseppe Andreoli infatti ha saputo rispettare, caratterizzare ed interpretare con la sua esperienza la visione della famiglia Monti e proiettarla in un contesto internazionale assieme a sua moglie, mantenendo un’identità spiccatamente isolana, e lanciare La Pietra di Tommasone nella dimensione  dei vini anfora e del cantinamento subacqueo. Infatti, Tommasone è la prima e, al momento, unica azienda vitivinicola ischitana ad aver creato una vera e propria cantina sui fondali del Tirreno, posta a 40 metri di profondità ad un miglio al largo della località di Casamicciola Terme.

Nella misura in cui la gastronomia campana recita che Ischia sia un’isola di terra, ossia dove, per quanto il pescato sia all’ordine del giorno, la tradizione culinaria dispensa prevalentemente verdure, ortaggi ed ingredienti di estrazione contadina, non ultimo il celebre coniglio di fossa, altrettanto si deve poter reputare che il vino non sia del tutto prodotto a base di Biancolella e Forastera, notoriamente a bacca bianca e costituenti il grosso della produzione enologica isolana.

Il Pithecusa Rosso celebra infatti l’antico nome dell’isola flegrea, la gastronomia a base dei sapori di terra e la peculiarità di due vitigni storici campani a bacca rossa, mostrandone un volto inedito per le speciali condizioni pedoclimatiche e la marittimità.

Il Pithecusa Rosso Epomeo Igt 2021 di Tommasone è prodotto con uve Aglianico e Piedirosso, allevate a Guyot su terreni vulcanici ad altimetria variabile tra i 50 e i 250 metri, raccolte manualmente nella seconda metà di ottobre. Dopo la diraspatura ed una soffice pigiatura, segue la fermentazione alcolica a temperatura controllata con lieviti selezionati in acciaio, durante cui il batonnage, eseguito con frequenza, ha contribuito al rilascio degli aromi, donando struttura al mosto. Al termine della fermentazione malolattica il vino è stato trasferito in tonneaux di rovere francese per circa un anno.

Tuttavia di un colore rosso rubino impenetrabile, con riflessi granata e grande consistenza, il Pithecusa Rosso non manca al naso di una certa sferzata iodata, sostituita quasi subito da note da pot-pourri di viola e rose essiccati, dissipate a loro volta dai riconoscimenti di susina e carruba, poi confettura di more e visciole, cacao e polvere di caffè, con sprazzi di ginepro, il sentore di radice di liquirizia e un finale calibrato, lievemente boisé.  Il mélange di Piedirosso e Aglianico, rispettivamente al 40 e 60%, restituisce al vino disinvoltura, austerità ed eleganza al sorso: il paziente lavoro del mare e del vento nel vigneto ha saputo evidentemente levigare con naturalità il tannino, vivo ma non impattante, donando una verticalità più in sapidità che freschezza, con accenti a dir poco da umami. Ritorna in retro-olfattiva la frutta rossa, la prugna, anche se stavolta essiccata, la percezione di scorza d’arancia candita e una nota di tè nero che pare voglia volgere al tabacco. Un abbinamento territoriale è d’obbligo: i bucatini al ragù di coniglio all’ischitana, rigorosamente cotto nel forno a legna, come sanno fare al ristorante Montecorvo.

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