
Che cos’è davvero la Storia? Quali voci ascoltiamo e quali invece restano nell’ombra? In un’Italia ancora attraversata da ferite aperte e memorie negate, Simonetta Lucchi ci conduce in un viaggio potente e necessario attraverso i territori del Nord Est e del Confine Orientale, raccogliendo le storie sommerse di donne, maestri, artisti e poeti. “Freddo in noi. Racconti a Nord Est, e Altrove…” (Narrazioni Clandestine – Santelli Editore) è un saggio che fonde rigore storico e pathos narrativo, restituendo dignità alle biografie cancellate dalla narrazione ufficiale. Vincitore del concorso “Mattone Rosso” al Marsciano Book Fest, il libro ha ottenuto importanti riscontri ed è stato proposto al Premio Strega Saggistica 2025. In questa intervista, l’autrice si racconta con la stessa lucidità e profondità che caratterizza ogni pagina del suo lavoro.
1. Simonetta, il tuo saggio Freddo in noi è stato proposto al Premio Strega Saggistica 2025. Come ti senti a vedere il tuo lavoro riconosciuto in questo modo?
Fin dalla sua uscita il libro “Freddo in Noi” ha suscitato interesse e curiosità, ed è stato premiato al concorso letterario “Mattone Rosso” ( Marsciano Book Fest). Inoltre, ha avuto ottime recensioni e articoli dedicati. Certamente il riconoscimento del valore dell’opera al Premio Strega saggistica 2025 è particolarmente emozionante. Non avrei pensato di arrivare a tanto.
2. Nel saggio, esplori i temi della storia, dell’identità e dei confini, che sono cruciali per il Nord Est italiano. Cosa ti ha spinta a scegliere proprio questo tema?
Sono vissuta tra diversi confini fin dalla mia prima infanzia e ho sentito la necessità di scrivere di questi mondi e delle persone che li abitano. Si tratta di realtà particolari verso cui la memoria collettiva non è stata sempre generosa, preferendo spesso dimenticare o relativizzare testimonianze scomode rispetto alla narrazione tradizionale della storia. In particolare mi interessano coloro che si sono impegnati negli ambiti dell’istruzione, delle arti, della scrittura, ovvero, chi ha voluto combattere per la dignità e la libertà propria e di tutti.
3. Nel tuo saggio, la figura delle donne è centrale. Qual è l’importanza di raccontare la storia delle donne in questo contesto?
Le donne sono più di altre figure dimenticate, ma allo stesso tempo centrali nel campo dell’istruzione, della ricerca, del lavoro: sono custodi delle memorie famigliari, quelle autentiche, non quelle che vengono riportate troppo frettolosamente. “Freddo in Noi” si apre con un racconto autentico, “Verde”, che è quello di mia nonna Anna, ricostruito attraverso le sue narrazioni e i diari che ho avuto la fortuna di ritrovare. Una testimonianza di grande resilienza che si dipana dalla fine dell’800 ad oggi tra l’alta valle dell’Isonzo e il Sudtirolo.
4. Il saggio è carico di emozioni forti, come quelle legate agli esodi, alle guerre, e alla violenza. Quale impatto emotivo speri che il lettore viva attraverso le tue parole?
Il mio desiderio è soprattutto che quanto è successo sia conosciuto. Sia sul Confine Orientale che in Sudtirolo si sono avute sofferenze e guerre terribili, che hanno colpito soldati e civili. Ciò che è successo alla popolazione rimane spesso in secondo piano. Nel caso dell’Alto Adige i conflitti sono perdurati fino agli anni Ottanta con gli attentati dei gruppi pantirolesi: si tratta quindi di questioni ancora attuali e su cui occorrerebbe ragionare. Ognuno in base alla sua sensibilità può trarre delle conclusioni, pertanto ho voluto essere molto oggettiva pur narrando di fatti che mi hanno coinvolto anche personalmente.
5. Nella parte introduttiva del saggio, parli della manipolazione ideologica dei confini da parte del fascismo. Quanto credi che il passato influenzi ancora la nostra comprensione dei confini oggi?
Il fascismo ha manipolato la storia e i confini, e in Alto Adige c’è stato il nazi- fascismo, con al termine della Seconda guerra mondiale una lunghissima e feroce occupazione nazista. Ho dedicato racconti anche alle persecuzioni nei confronti della popolazione ebraica o alla sofferenza degli “italiani”, operai nelle fabbriche e profughi, così come alla paura nel periodo del terrorismo etnico degli anni ’70/’80, che ho vissuto personalmente. Il Confine Orientale è stato segnato da vicende se possibile ancora più complesse e dolorose. Gli esuli istriani e giuliano dalmati portano ancora in sé un dramma di cui si fatica a parlare, la popolazione slovena non può dimenticare le violenze degli occupatori. Sia in Italia che in Europa c’è ancora molto da fare perché si arrivi a un giusto riconoscimento delle minoranze, e troppo spesso ne vengono prese in considerazione solo alcune a discapito di altre.
6. Il tuo saggio è anche un viaggio nell’identità plurale, quella delle terre di confine. Come definiresti la tua identità in relazione a queste terre e alla tua scrittura?
Mi piace riportare una frase di mia figlia, studentessa universitaria in Slovenia, la terra di origine di mia madre, in cui ha voluto ritornare: “Quando mi chiedono di che nazionalità sono dico alpina“. Ricordo anche che in Alto Adige tutti sono obbligati a rilasciare una dichiarazione di appartenenza linguistica in tribunale, che condizionerà tutta la loro vita futura, dalla scuola, alla casa, al lavoro che potranno ottenere: tuttavia, sono riconosciute solo tre etnie, italiana, tedesca o ladina. Ecco, noi parliamo quattro o anche cinque lingue, ma cosa siamo veramente? E perché un’autorità ci obbliga a dichiarare quello che magari non sentiamo di essere? Noi apparteniamo a questi territori, siamo “alpini”, giustamente, e i confini politici probabilmente in fondo li rifiutiamo. Al tempo stesso non vogliamo sentirci ospiti ma che venga riconosciuta la nostra identità, che può essere anche molteplice.
7. Infine, che messaggio speri che il lettore porti con sé dopo aver letto Freddo in noi?
Vorrei che dopo aver letto il libro venisse il desiderio di conoscere maggiormente queste realtà e non solo per fini turistici. Approfondendo, ascoltando le persone. E rendendosi conto che occorre sentire più versioni: non sempre la prima è quella più veritiera. Un giorno spero che non si obbligheranno più le persone a schierarsi per una lingua o un’appartenenza, ma che si capisse quanto facciamo ed è stato fatto per superare le barriere e anche i confini. Accettare il molteplice è più difficile: ma è l’unica strada per superare i conflitti.
Simonetta Lucchi
Con una scrittura che intreccia emozione e precisione storica, Simonetta Lucchi ci invita a riflettere sulla pluralità delle identità e sulla necessità di riscrivere la Storia da prospettive più autentiche, più umane. “Freddo in noi” non è soltanto un saggio, ma un atto di memoria, un tributo alla dignità sommessa di chi non ha mai avuto voce. Un libro che parla al presente con la forza del passato e con la speranza del futuro. È disponibile in tutte le librerie e negli store online.