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Sono 160 i reperti del Museo Egizio in partenza per la Basilica Palladiana di Vicenza, dove il 22 dicembre aprirà la mostra “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”.

Curata dal direttore del Museo Christian Greco, da Corinna Rossi, professore associato di Egittologia al Politecnico di Milano,  da Cédric Gobeil e Paolo Marini, egittologi e curatori dell’Egizio, la mostra restituisce uno spaccato della vita quotidiana nell’antico Egitto, con un focus particolare su Tebe, l’odierna Luxor, e Deir el-Medina, il villaggio, fondato intorno al 1500 a.C., dove scribi, disegnatori e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle Valli dei Re e delle Regine, plasmando l’immaginario dell’antica civiltà nata sulle rive del Nilo.

L’esposizione riunisce più di 180 oggetti, oltre ai reperti dell’Egizio, ci sono una ventina di prestiti dal Louvre di Parigi. In esposizione capolavori della statuaria, sarcofagi, papiri, bassorilievi, stele scolpite e dipinte, anfore e amuleti. Molti i tesori che verranno svelati in occasione dell’esposizione, tra cui il sarcofago antropoide di Khonsuirdis e il celebre corredo della regina Nefertari, che torna in Italia, a Vicenza, dopo diversi anni di tour all’estero.

La mostra, che fa parte del ciclo “Grandi Mostre in Basilica”, è ideata e promossa dal Comune di Vicenza e dal Museo Egizio, con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Vicenza, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza. La promozione e l’organizzazione sono curate da Marsilio Arte, che ne pubblica il catalogo. Tra i partner dell’esposizione Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia – VicenzaFondazione Giuseppe RoiAGSM AIMConfindustria VicenzaLD72Beltrame Group ed Euphidra.

«La Basilica palladiana, Monumento nazionale e una delle massime espressioni architettoniche di Andrea Palladio, è il luogo più visitato e ammirato di Vicenza – osserva Francesco Rucco, Sindaco di Vicenza – Dal 22 dicembre in Basilica sarà allestita questa prestigiosa esposizione realizzata in collaborazione con il Museo Egizio, e con la curatela del suo direttore Christian Greco. Vicenza chiuderà il ciclo delle tre Grandi mostre, avviato nel 2019, con un evento internazionale che sta già suscitando notevole interesse. La mostra segue l’esposizione “La Fabbrica del Rinascimento” in cui i visitatori hanno potuto approfondire la conoscenza del Cinquecento a Vicenza, periodo di invenzioni che hanno reso la città veneta un territorio dinamico e vivace sotto il profilo economico e culturale. Attraverso reperti dell’antico Egitto, tra cui sarcofagi, statue monumentali e oggetti preziosi, che verranno esposti nel grande salone della Basilica, sarà possibile un confronto tra l’operosità di Vicenza nel Rinascimento e Deir el-Medina, il villaggio egiziano in cui vissero gli artigiani che costruirono e decorarono le tombe reali della Valle dei Re e delle Regine, sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte alla capitale Tebe».  

«Curare e allestire la mostra “I creatori dell’Egitto eterno” ha comportato al nostro interno un’opera corale di studio – spiega Christian Greco, direttore del Museo Egizio – Si è trattato di un lavoro sugli archivi  e sulla materialità degli oggetti. Il tutto per permettere al visitatore di intraprendere un viaggio nella Tebe del Nuovo Regno, di conoscere coloro che lavorarono nelle necropoli reali e comprendere quali fossero gli elementi iconografici e testuali che rendevano la tomba una “casa per l’eternità”, una dimensione nuova dove il sovrano poteva intraprendere il suo viaggio e iniziare la wehem meswt, la sua rinascita».

Installazioni multimediali e riproduzioni in 3D arricchiscono il percorso espositivo: tra le curiosità la storia in 3D del sarcofago dello scriba Butehamon, che restituisce al visitatore quasi una biografia dell’oggetto a partire dalla sua costruzione e l’istallazione multimediale che svela i segreti del Papiro della tomba del faraone Ramesse IV.

Il percorso espositivo, nel salone sotto la copertura a carena di nave rovesciata della Basilica, sarà diviso in due ampie sezioni.  La prima illustra la vita terrena e la creazione dei capolavori millenari arrivati a Vicenza, la seconda è dedicata alla vita dopo la morte.
Quattro i temi portanti. Si inizia con il focus Deir el-Medina e l’occidente di Tebe. Tebe è il nome con il quale i Greci chiamavano l’antica città egizia oggi nota come Luxor, la più importante città d’Egitto all’inizio del Nuovo Regno che si estendeva sulla riva orientale del Nilo (la sponda dei vivi, da cui sorgeva il sole ogni mattina), ricca di straordinari monumenti e templi. Sulla sponda occidentale del Nilo (quella dei morti, dietro cui il sole tramontava) Deir el-Medina ha ospitato gli artigiani dei faraoni con le loro famiglie per circa 500 anni, dall’inizio della XVIII Dinastia alla fine della XX Dinastia. Fondatori del villaggio venivano considerati il faraone Amenhotep I, la regina sua madre Ahmose Nefertari e il faraone Tuthmosi I, all’epoca del quale risalgono i primi resti archeologici attestati. Le statue di Ramesse II, della dea Meretseger, della dea Sekhmet, il naos di Seti I, i frammenti e gli altri oggetti esposti narrano la fondazione e la particolare dimensione religiosa di questi due siti.

La creazione del microcosmo racconta il momento della morte, quando, secondo gli Egizi, le diverse componenti della persona si separano: ecco quindi che il rituale funerario e la tomba forniscono lo spazio e gli strumenti per garantire il loro ricongiungimento e l’inizio della vita eterna. La rassegna presta particolare attenzione al processo di costruzione delle sontuose tombe reali, riportando strumenti, attrezzi e papiri con piante di edifici e studi di disegno: la loro struttura e decorazione rifletteva l’importanza del culto solare, nonché l’assimilazione del faraone al Sole in procinto di tramontare. Mentre la nostra società ha cercato di esorcizzare la morte, gli antichi egizi l’hanno interiorizzata, sviluppando un’industria funeraria fiorente, una vita proiettata nel mantenimento dell’esistenza dopo la morte. I lavoratori e gli artigiani vivevano, quindi, per il fine più nobile: preparare il sovrano alla vita nell’aldilà.

Il capitolo Lo splendore della vita offre un vivido spaccato della quotidianità della laboriosa comunità di Deir el-Medina, raccontandone le attività, le botteghe, ma anche le credenze religiose, speranze e paure, gli amori. Questa narrazione prende vita tra scene dipinte sulle pareti delle ricche tombe, stele decorati e ostraka (frammenti di vasi o schegge di pietra), oggetti di lusso e rarissimi strumenti musicali, in prestito sia dal Museo Egizio che dal Louvre. Questa sezione induce anche una riflessione sulla sorprendente modernità della produzione pittorica raggiunta dalla civiltà egizia, fatta di simboli e convenzioni figurative ben riconoscibili, ma anche ravvivata da tratti di freschezza e naturalismo.

Infine, la sezione incentrata su Lavita dopo la morte: la morte fisica e il complesso rituale che seguiva era finalizzato a garantire la wehem meswt, la “nuova nascita” nell’aldilà. Accanto agli oggetti del ricco corredo funebre della regina Nefertari e al sarcofago antropoide di Khonsuirdis, che segnala in mostra la soglia verso l’aldilà, sono esposti affascinanti manufatti in faience turchese, come la coppa del Louvre o gli ushabti del faraone Seti I – statuette di piccoli servitori che avrebbero dovuto alleviare le sue fatiche nell’aldilà – o la straordinaria mummia con sarcofago di Tariri. A partire dalla componente materiale, la mostra ci svela come la tomba rispecchiasse la creazione di un cosmo alternativo. Il passaggio all’aldilà era, in sostanza, concepito come un metaverso: una realtà parallela che sovverte la dimensione spazio-temporale; un mondo in cui è ammesso solo il defunto, il quale si incammina in un viaggio ultraterreno, accompagnando il sole nel suo periplo.

A un mese dall’apertura sono già 10mila le prenotazioni e oltre 300 i gruppi che visiteranno la mostra.

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