Tracce rosse su teschio punico
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Cagliari (ITALIA)

Nella settimana dal 27 aprile al 2 maggio scorsi, nella Cittadella Universitaria di Monserrato, presso il Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia, si è tenuta la mostra “L’uomo di Pill’e Matta nella vita e nella morte”. L’esposizione è stata inaugurata da una conferenza che ha visto la partecipazione dell’archeologa responsabile del sito archeologico, dott.ssa Donatella Salvi, il responsabile del Museo ospitante, Dott. Giovanni Floris e Alessia Camedda, presidente della Cooperativa Kernos, responsabile dell’allestimento.

La mostra, riunita in poche sale, ha proposto un compendio dei ritrovamenti effettuati presso la necropoli, con l’allestimento di cartelloni esplicativi non solo sugli studi svolti in campo archeologico, ma anche sugli aspetti antropologici, con cenni sulle metodologie di studio relative a questi ultimi.

E’ risultata interessante ed efficace, per la comprensione immediata del contesto, la ricostruzione delle sepolture, con il puntuale posizionamento delle ossa dei defunti ritrovati e dei loro corredi funerari originali, reperti assai ben conservati e testimonianti la compresenza, in un medesimo ambito funerario, di elementi di diversa origine. In una stessa tomba infatti sono state rinvenute forme ceramiche (per lo più lucerne) recanti simboli sia pagani che cristiani (il buon pastore, ad esempio) ed ebraici (la menorah). Si ritiene che tale situazione non debba essere ricondotta ad intrinseche questioni di natura religiosa quanto al fatto che gli acquirenti di tale categoria artigianale, destinata alla pietosa deposizione accanto alle spoglie dei propri cari, prendessero ciò che era disponibile in loco, senza una particolare attenzione ai simboli ivi impressi.

La necropoli di Pill’e Matta, rinvenuta nel territorio di Quartucciu e rimasta in buona parte perfettamente integra, dopo la sua scoperta, avvenuta accidentalmente in una fase di lavori pertinenti agli adiacenti insediamenti industriali, ha restituito oltre duemila reperti di straordinario pregio, perfettamente conservati in diversi casi, risalenti ad un arco cronologico compreso tra l’età punica e quella romana imperiale tarda, perciò in un periodo che si va dal III sec. a. C. circa, al V sec. d.C. con maggiore rilevanza di fasi più antiche (puniche) e più recenti (romano imperiali), ma con ridotte testimonianze del periodo romano repubblicano.
Al museo sono state esposte le ricostruzioni di 3 delle 250 tombe venute alla luce. La tomba n.238, risalente al IV-III sec. a.C., di epoca punica, come testimoniato dagli elementi del corredo. In questo caso probabilmente il defunto era stato avvolto in un sudario, secondo l’usanza tipicamente orientale, come dimostra il colore rosso rimasto impresso sulla parte esterna delle ossa del cranio.

La tomba n.149 presenta una copertura cosiddetta “alla cappuccina”, per l’abitudine di coprire il defunto con degli embrici a formare una sorta di tettuccio a spiovente; tale sepoltura, riferibile al II-III sec. d.C. in ragione del corredo funerario associato, si colloca in piena età romana imperiale.

La tomba 233, infine, ha una tipologia sepolcrale sconosciuta nell’Isola, presente a Pill’e Matta a partire dal III sec. d.C. Si tratta di una sepolcro a nicchia ricavato nella roccia, il quale custodiva diversi resti osteologici, non più in connessione anatomica, appartenenti a quattro soggetti differenti. Per ritrovare delle analogie con tali sepolture bisogna guardare ad alcune tipologie funerarie proprie dell’Africa settentrionale.

La necropoli algerina di Sétif ne è un esempio, anche se tale uso risulta però adottato nei primi secoli dell’impero, mentre, per confronti contemporanei più stringenti, alla luce delle caratteristiche tipologiche della tomba e della consuetudine di accompagnare il defunto con una tale abbondanza degli oggetti di corredo, è necessario volgersi all’orizzonte delle aree abitate dalla popolazione dei Sarmati. Difatti, anche la particolare fattura di talune fibule bronzee e delle loro decorazioni, presentano caratteristiche riconducibili a quei popoli tanto lontani, giunti in Sardegna per motivi ancora sconosciuti1.

Alla fine del percorso museale, uno interessante spazio è stato dedicato alle metodologie del restauro, le quali tra l’altro potevano essere messe in pratica dal pubblico interessato, grazie ai laboratori organizzati dalla cooperativa Kernos.

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