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Questa rivista si occupa solitamente di pensatori che rientrano nella geografia mediterranea. In questo caso l’argomento riguarda due aspetti che hanno dato vita nei secoli alla cultura occidentale: la filosofia e la questione ebraica.

La casa editrice Bollati Boringhieri ha dato alle stampe il libro di Donatella di Cesare, “Heidegger e gli ebrei”, libro di critica alla pubblicazione dei famosi e misteriosi “Quaderni neri” del filosofo tedesco Martin Heidegger. Quaderni di meditazioni private, mai pubblicati in vita, dove si inizia ad intravvedere, forse, l’applicazione pratica della sua intera filosofia, e soprattutto si può cercare di rispondere alla domanda principale: la sua adesione al nazismo fu un errore morale, una momentanea mancanza, come affermano ad esempio Gianni Vattimo ed Emanuele Severino, oppure faceva parte del suo progetto filosofico? Parole come “destino”, “tecnica”, “autoannientamento”, nella bocca del filosofo hanno tutt’altro significato, e sappiamo bene quale importanza hanno avuto le parole per Heidegger, tutto testimoniato nel suo capolavoro “In cammino verso il linguaggio”.
Certo, “Essere e tempo”, è libro che ha condizionato buona parte della filosofia europea del novecento, continua ancora oggi a determinare aspre battaglie ideali.

Si aspetta la traduzione italiana dei “Quaderni neri” per avere un quadro completo, ma possiamo dire che la curatrice Di Cesare, è una delle massime esperte in materia, allieva essa stessa di Gadamer, adepto di Heidegger, quindi profondo conoscitore della filosofia del maestro. Vedremo se la “querelle”, ormai diventata quasi centenaria, possa dirsi conclusa. Oppure altri ritrovamenti possano spostare ancora l’asse del pensiero occidentale a favore o contro la questione ebraica. Se è vero, come dice la Di Cesare, che esiste un filo rosso che lega Lutero, Kant, Hegel, Nietzche, Hedigger e lo stesso Hitler, c’è da riaprire gli occhi, o come diceva il maestro “rischiarare”, questa volta senza molta speranza…

8 thoughts on “I Quaderni neri di Heidegger

  1. Io credo che la questione di Heidegger e la politica (nello specifico il suo rapporto col nazismo)rimandi ad un grande tema nella filosofia, ovvero al rapporto che esiste tra la vita di un filosofo, il contesto in cui è vissuto e il pensiero che ne deriva. A ben vedere ritengo che per ogni filosofo (e più in generale per ogni pensatore)si ponga la medesima questione…penso alle idee riguardanti la donna in molti filosofi antichi o alla misoginia di Schopenhauer…la domanda da cui partire credo sia, quanto influiscono il contesto storico e le idee derivanti dalle vicende personali, dalla storia di ogni filosofo, sul pensiero che egli ci ha lasciato e con cui noi ci confrontiamo oggi? Ovvero, può un pensiero o un sistema di pensiero, per quanto legato ad un contesto storico e sociale a noi lontano e in alcuni casi inaccettabile conservare la sua preziosità e il suo valore se riletto in un contesto diverso? In caso di risposta affermativa in ciò starebbero il valore e la grandezza della filosofia stessa, che sopravvive andando oltre il periodo in cui è nata e si è sviluppata e regalandoci nuove possibilità di lettura e approfondimento

  2. finora si può discutere di un articolo di quotidiano.
    attendo di leggere l’opera e di valutare preliminarmente la traduzione dei termini chiave (che nel filosofo tedesco sono più che mai cruciali)…
    detto questo, due cose:
    – mi sono sempre interessato dell’impatto esistenziale, umano e filosofico dell’opera di heidegger, lasciando da parte i suoi interessi politici, che personalmente li vedo altra cosa rispetto alla sua opera. Questi quaderni pare vogliano dimostrare come invece egli vedesse un’applicazione pratica della sua filosofia in campo politico. Sarà pure ma mi interessa molto poco. Da sempre la politica è una semplificazione ed un annacquamento della riflessione filosofica e spesso facendo questo è anche un tradimento del pensiero che ne ha dato l’origine. La complessittà della filosofia mal si sposa con la riduzione necessaria della politica, in cui devi tirare fuori pochi concetti chiari alla massa, praticamente degli slogan!
    – il “filo rosso” che lega nietzsche heidegger ecc. fino ad Hitler è una fesseria di proporzioni immani, dal mio personale ed opinabile punto di vista. Nietzsche, come è stato scritto (giustamente) altrove era un anti-tedesco per eccellenza. In seconda istanza non si è mai occupato di politica né ha mai voluto che il suo pensiero fosse visto in ottica politica. Ci sono diversi frammenti postumi in cui dice in modo chiaro ed inequivocabile questo.

    Con Di Cesare mi sembra di leggere Domenico Losurdo che aveva (ha) il “vizio” di strumentalizzare il pensiero di Nietzsche, tagliando frasi e levandole fuori dal contesto di origine, pur di dimostrare l’indimostrabile. Ma aspetto di leggere la sua opera per poter dire…
    Finora è solo un articolo di quotidiano

  3. Sono d’accordo che la questione sia più complessa di quello che sembra. Ma Nietzsche era Nietzsche, ed è assodato che non gliene fregava niente della Germania. In questo caso c’è qualcosa che non mi torna, che mi dice che sì, in Heidegger invece questo è possibile. Non sono d’accordo che filosofia e politica siano da distinguere: l’esistenza è politica, il pensiero non può starsene da solo a bearsi tra le nuvole di Aristofane. Il pensiero è già azione, il solo pensiero contemplativo cambia il mondo. Sennò per me è fuffa: e sono, ahimè, sempre più convinta che i filosofi occidentali siano in buona parte fuffa.

    1. D’accordo in pieno con Maria Giovanna. E’ difficile pensare che Heidegger non pesasse accuratamente le parole, e che non desse un significato preciso per la parola “autoannientamento”

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