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di Ilaria Guidantoni

 

Vittorio De Seta
Il libro recensito

Un libro complesso, ampio, articolato con una parte di documenti e video: non tanto la biografia di un regista, soprattutto documentarista, né un libro che parla di cinema ma un testo che attraverso la storia e lo sguardo, la sofferenza di Vittorio De Seta, ci racconta il cinema tra gli anni ’50 e ’80-’90, il mondo popolare del Sud Italia che scompare, si deforma e la visione cinematografica come approccio poetico alla vita.

Leggendo la biografia del suo autore si comprende la densità e la specificità di alcune tematiche legate alla cinematografia e insieme l’ampiezza di respiro che rende il libro ad un tempo un documento storico, un testo da consultare, quasi un romanzo storico e sociale da leggere, ma anche un possibile testo per addetti ai lavori, critici, studenti. Pur impegnativo e strutturato è una lettura piacevole, scorrevole e ben organizzato, senza ridondanza a testimonianza di un autore che non ha solo raccolto molto materiale e studiato a lungo le tematiche delle quali parla ma le ha metabolizzate rendendole fluidi e godibili senza diventare un saggio. Insomma come se avesse assimilato la lezione di De Seta.

E’ certamente riuscito nell’intento di rendere il documentario non un’arte minore del cinema, com’è sempre stato considerato in Italia, a differenza della Francia e dell’Inghilterra, ma una fotografia della realtà che si racconta con poesia, in estrema sintesi e densità, talora violenza, in una complessità intrecciata che è un po’ come la vita. Una visione sicuramente lontana dall’idea del documentario freddo e un po’ noioso, testo per immagini da studiosi e giornalisti. E’ difficile parlare di questo libro perché si rischia di farne il riassunto oppure di tralasciare delle parti importanti. Il racconto prende avvio dall’incontro tra due siciliani illustri – Vittorio De Seta e Vincenzo Consolo – per condurci in un viaggio nel cinema e nell’intimità del grande maestro De Seta, universalmente considerato il padre del cinema documentario italiano forse mi permetto di dire non così noto ai più, probabilmente per il suo carattere schivo, non solo nell’atteggiamento ma nella sostanza di un’esistenza al di fuori dei salotti e del pensiero ideologico; neppure ribelle e trasgressivo tanto da farsi notare.

E’ il 14 dicembre del 2008 quando due siciliani si trovano a discutere di Sicilia, di cinema, di documentari, di letteratura e molto altro. Due siciliani che, utilizzando strumenti differenti, hanno dedicato alla Sicilia la parte preponderante della loro produzione artistica e letteraria. Si tratta di Vittorio De Seta, classe 1923, palermitano di nascita, autore e regista, maestro del documentario quasi suo malgrado, e di Vincenzo Consolo, classe 1933, nato a Sant’Agata Militello, in provincia di Messina, scrittore e saggista, maestro della letteratura.

Dall’incontro tra questi due siciliani, da poco scomparsi, prende spunto questo viaggio nel mondo di Vittorio De Seta (morto nel 2011), realizzato da Franco Blandi. Vittorio De Seta, figlio di un ambiente privilegiato cresce come un rampollo a Palermo dove la famiglia si era trasferita perché il nonno era diventato Prefetto. Questa sua condizione gli genererà non pochi problemi e all’inizio una visione distorta della realtà sociale, o comunque filtrata dalla propria condizione privilegiata. La sua vita professionale, al di là degli Studi in Architettura, sarà dedicata agli ultimi, agli umiliati, agli emarginati con un’attenzione specifica all’emigrazione e della scuola dei figli degli ultimi. Il suo mondo di riferimento attraverso una produzione intensa ma contenuta sarà focalizzata sul Sud e su un mondo che aveva intuito sarebbe scomparso, resistendo qua e là con strenui tentativi mentre la cultura popolare intatta da secoli sarebbe stata falciata da quello che Pasolini chiamava uno sviluppo senza progresso. La sua attenzione è tutta sulla Sicilia, tra agricoltori, pescatori di tonni e pesce spada, minatori; poi sulla Sardegna e sui suoi pastori, quindi nell’ultima parte della sua vita sulla Calabria e sulla constatazione di una cultura umile ma profonda e di linguaggi in via d’estinzione.

L’autore tiene per altro a precisare che la sua posizione non fu mai ideologica e forse per questo non vincente, non riconosciuta in termini di successo e denaro, come l’adesione al Partito Comunista, una scelta soprattutto emotiva e del cuore. Così il suo ritiro in Calabria non fu un ritiro dal mondo ma dal palcoscenico, quello romano dove dopo la morte della moglie alla quale era profondamente legato, non poteva più frequentare. L’analisi di Franco Blandi spazia dalla fotografia dell’uomo, vittima del “male oscuro”, di una certa fragilità che confessa anche a livello cinematografico, della sua umiltà e ricerca di autenticità che ne farà un agricoltore meticoloso nell’ultima parte della sua vita a coltivare l’uliveto calabro avuto in eredità dal padre; alla decodificazione della filmografia di De Seta con un’attenzione agli aspetti tecnici del montaggio, la cura delle immagini, la scelta di autori non professionisti perché sia resa la realtà non attraverso un’imitazione ma il vissuto emozionale autentico dei personaggi. E ancora, sullo sfondo l’analisi di un’Italia in trasformazione, il contesto complesso del cosiddetto neorealismo al quale forse fu attribuito anche quello che non lo era, fino alla visione e alla critica del cinema che cambia nel corso degli ultimi decenni.

Colte le analisi comparate, mai pretenziose come quelle con Gilles Deleuze e Pier Paolo Pasolini, che io apprezzato più di altre conoscendo gli autori. Infine – lo ritengo il maggior pregio narrativo dell’opera – il viaggio in un modo diverso di raccontare la storia sociale. Quello che intendo dire è che ad un certo punto si è immersi nella vicenda, così almeno è successo a me, e si è meno preoccupati di leggervi la storia di un cineasta o del cinema italiano, quanto di ascoltare la storia narrata degli umiliati e offesi del Meridione come solo il cinema può fare. Blandi certo usa le parole ma solo per trascrivere le immagini.

Al libro è allegato un dvd contenente il film documentario “Detour De Seta” di Salvo Cuccia e contenuti extra una selezione di interventi e interviste di Vittorio De Seta, curate da Franco Blandi.

Franco Blandi è nato a Sant’Agata Militello, in provincia di Messina. Esperto di arti visive, fotografo, videomaker, documentarista e scrittore. Si laureato in Scienze dello Spettacolo e delle produzioni Multimediali (Fotografia, cinema, teatro e televisione). É inoltre laureato in Scienze dell’Educazione e della Formazione e specializzato in informatica presso l’Università della Calabria. É Direttore di un Centro di Formazione dove insegna materie informatiche, tecnologie multimediali, fotografia e video. E’ direttore artistico della rassegna “Nebrodi in corto Doc”, presidente dell’Associazione URIOS, culture, arti, solidarietà. E’ stato componente della direzione artistica dell’AIFF (Acquedolci Independent Film Festival). E’ direttore artistico di ZYZ – annuario fotografico contemporaneo. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, ha curato come autore e regista film e documentari, e realizzato diverse mostre personali. Con Navarra Editore ha già pubblicato “Appuntamento alla Goulette – Le assenze senza ritorno dei 150.000 emigrati italiani in Tunisi”.

 


 

Vittorio De Seta. Il poeta della verità di Franco Blandi

Navarra Editore – Officine (giugno 2016) – 20,00 euro

 


 

Pubblicato su www.saltinaria.it

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