Un grosso carico di marmo e di anfore romane ed un relitto raro e perfettamente conservato all’interno di una fossa a 640 m di profondità nel mar Tirreno: questi gli elementi che hanno permesso di mettere in gioco una tecnologia avanzata di una fondazione di ricerca e la competenza scientifica del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari per arrivare a risultati di indagine subacquea finora difficili da raggiungere.
Nell’agosto 2020, Elisa Costa, assegnista di ricerca presso il Dipartimento, si è imbarcata sul catamarano Daedalus, dell’ing. Guido Gay della Fondazione Azionemare, nell’ambito dei progetti “Le rotte del marmo antico” e “Fotogrammetria digitale in archeologia subacquea” del professor Carlo Beltrame.
La collaborazione, possibile grazie alle autorizzazioni della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno, era nata nell’estate del 2019 per sperimentare la tecnica fotogrammetrica automatica sul relitto Dae37, imbarcazione romana con un grosso carico di marmi affondata a poche miglia a Nord Ovest dell’isola della Gorgona, a 280 m di profondità. Su questo e su un altro relitto a profondità maggiore si sono concentrate le indagini di quest’anno.
Il rilievo è stato realizzato con l’impiego del ROV abissale Multipluto, il quale, attraverso una navigazione comandata da remoto, ha documentato il relitto con strisciate parallele e sovrapposte in modo da rappresentare i particolari del carico, composto sia da grandi blocchi di marmo che da alcune anfore Dressel 2-4 del 1° secolo d.C. La fotogrammetria è stata quindi realizzata attraverso l’estrapolazione e l’allineamento di centinaia di frame dal video, al fine di ottenere un modello tridimensionale scalato e misurabile del carico.
Nel 2020, la missione archeologica ha previsto il recupero di due esemplari dei due tipi di anfore Dressel 2-4 presenti su questo primo relitto per permetterne un più agevole e analitico studio; le anfore, sbarcate a Capraia per le operazioni di dissalazione e conservazione da parte della restauratrice Nawal Menad, sono state misurate e documentate anch’esse con la tecnica fotogrammetrica.
Inoltre, vista la qualità della documentazione realizzata nel 2019, si è deciso di effettuare una missione su un secondo relitto, il Dae27, al largo dell’isola di Pianosa. La conformazione di questo contesto, con un carico perfettamente integro – cosa molto rara a causa dell’impatto della pesca a strascico che non risparmia nulla fino ad un migliaio di metri – di anfore Dressel 1, tegole e coppi, ha permesso la documentazione di un sito archeologico raro e perfettamente conservato all’interno di una fossa a 640 m di profondità; allo stesso tempo, la difficoltà del rilievo è risultata maggiore proprio a causa del grande numero di reperti e del loro dettaglio, che hanno richiesto migliaia di frame, per riuscire a rappresentare il carico nel dettaglio. Il rilievo è stato realizzato sempre attraverso le immagini riprese dal ROV Multipluto, che in questo caso, ha eseguito delle strisciate radiali e concentriche, per seguire la conformazione a cumulo del relitto. Il relitto rappresenta una testimonianza rara di trasporto a lungo raggio di materiale laterizio da costruzione in un periodo collocabile provvisoriamente intorno nel 2° o 1° secolo a.C.
La collaborazione con l’ing. Guido Gay, titolare della fondazione nonché produttore e pilota dei robot, e con la Soprintendenza toscana è estremamente preziosa poiché permette di ampliare il campo di ricerca dell’archeologia subacquea, andando a indagare relitti affondati a profondità non raggiungibili se non con i suoi ROV abissali. In Italia, questa esperienza di collaborazione si può considerare come unica, perlomeno per l’ambito dell’archeologica marittima.