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Si è concluso a fine giugno il primo “Master specialistico multidisciplinare sulla violenza domestica e di genere” della Sardegna organizzato dalla Fondazione Forense e promosso dall’Ordine degli Avvocati di Cagliari e tenutosi nel capoluogo sardo. Il master, rivolto principalmente agli avvocati, ma aperto anche ad altri professionisti a vario titolo interessati alla tematica (giornalisti, psichiatri, medici legali, psicologi, criminologi, assistenti sociali, funzionari di polizia giudiziaria), si è sviluppato su tredici moduli dedicati all’area sociologica e antropologica, psicologica e psichiatrica, legale civile e penale, medico legale e criminologica, comunicazione e media, prevenzione e aiuto, e ha visto impegnati tra i ventotto docenti, oltre a magistrati, avvocati, medici, psicologi e giornalisti espressione delle maggiori competenze disciplinari in Sardegna, anche alcuni dei più prestigiosi esperti nazionali del settore.

“L’idea del Master multidisciplinare – spiega Valeria Aresti, Avvocata familiarista in ambito civile, penale e canonico e coordinatrice del Master – nasce dalla mia esperienza professionale. Ho la fortuna di avere uno sguardo a 360 gradi che ho acquisito attraverso gli studi Rotali nelle materie non solo giuridiche ma anche psicologiche, antropologiche, psichiatriche, come Curatore e Tutore del minore e a seguito di una lunga esperienza in un centro antiviolenza. Mi sono resa conto che c’era un vulnus in alcuni settori che non comunicavano a discapito della corretta gestione dei casi di violenza. Da qui la necessità di offrire un’occasione di incontro formativo per l’acquisizione di competenze multidisciplinari”.

Avv. Valeria Aresti

Quale può essere il beneficio di un approccio che coinvolge diverse aree tematiche?

“L’approccio interdisciplinare consente di sviluppare le capacità di conoscere e riconoscere il fenomeno e creare un linguaggio comune contro gli stereotipi e i pregiudizi giudiziari. Dialogare, concepire e ricercare un linguaggio comune, infatti, è una necessità imperante per osservare la crescente complessità delle relazioni da molteplici prospettive, promuovere modelli condivisi e trovare le soluzioni migliori alle problematiche che ci troviamo a trattare. Viviamo in una realtà culturale in continua evoluzione, ma allo stesso tempo ancorata a schemi patriarcali profondamente radicati nella società. Il beneficio va individuato nella corretta risposta alle vittime fin dal primo momento della rivelazione della violenza e in tutte le fasi processuali. La sfida di questo Master è stata proprio quella di affrontare la tematica per la prima volta sotto il profilo multidisciplinare al fine di offrire una formazione specialistica e altamente qualificata nelle varie discipline presentate, che occorre far dialogare per tutelare in modo efficace i soggetti deboli”.

Quali sono stati gli interventi disciplinari in programma?

“Abbiamo affrontato in primo luogo il fenomeno dal punto di vista antropologico e sociologico avvicinandoci con maggiore competenza ai concetti di persona, natura, identità di genere ed etica e come si arriva alla costruzione delle “altre” dal punto di vista culturale, anche attraverso l’analisi degli schemi di potere e di asimmetria tra uomini e donne, della differente percezione tra donne italiane e donne straniere che subiscono violenza e il controllo sociale esercitato dagli uomini e, in alcuni contesti, anche dalle stesse donne. Con queste basi ci siamo addentrati nella disamina dei disturbi della personalità, sia con riferimento alle ricadute sulla salute mentale della vittima, sia dal punto di vista di chi agisce violenza, per comprendere la co-dipendenza tra controllato e controllante.Dal punto di vista delle discipline giuridiche ci siamo addentrati sull’abuso in materia lavorativa e la discriminazione di genere per poi affrontare i vari reati di genere e la prova della violenza nel processo penale e civile; la tutela della vittima dopo la condanna e le misure di prevenzione, la tutela del minore – vittima di violenza diretta ed indiretta (c.d. assistita), la tutela degli orfani di femminicidio e il risarcimento del danno da illecito endofamiliare; dal punto di vista canonico abbiamo analizzato l’incidenza della violenza come causa di nullità del matrimonio canonico. Quindi, abbiamo analizzato i profili criminologici e medico legali, il linguaggio di genere a tutela della vittima e, infine, i protocolli e le buone prassi da seguire nei casi di violenza domestica e di genere”.

Come possono interagire i diversi ambiti di intervento?

La persona deve essere messa al centro della valutazione: la relazione tra la vittima e il carnefice deve essere analizzata partendo dalla vicenda umana dei singoli protagonisti per comprendere la loro struttura personale, le dinamiche disfunzionali relazionali, e quale strumento appare adeguato a tutela dei soggetti deboli, tutela che passa necessariamente attraverso interventi mirati anche nei confronti dell’abusante o maltrattante, non solo di natura repressiva ma anche preventiva. La valutazione e l’intervento adeguato deve essere il risultato del lavoro di rete e del dialogo tra i professionisti delle diverse discipline. Per fare un esempio, se la vittima di violenza rivela la sua condizione all’assistente sociale o al medico o all’avvocato o alle forze dell’ordine, il professionista deve attivare il lavoro di rete con gli altri servizi, ivi compresi, i centri antiviolenza, per approntare la tutela più efficace a protezione di tutti i soggetti coinvolti, adulti e minori.

Quanto è importante la preparazione multidisciplinare degli operatori?

Il fenomeno deve essere affrontato dal punto di vista multidisciplinare da operatori adeguatamente formati, in grado di supportare la vittima durante il percorso di uscita dalla violenza, sia nelle cause di separazione e di affidamento dei minori sia nel processo penale, momento in cui la vittima, se il Giudice, gli avvocati, le forze dell’ordine e i consulenti non sono attenti e adeguatamente preparati, rischia di diventare anche vittima nel processo. Ancora oggi alcuni avvocati, giudici, forze dell’ordine e consulenti risentono di alcuni stereotipi. Credere che se una donna non denuncia subito la violenza subita è poco credibile, o non lo è se non richiede subito l’intervento delle forze dell’ordine o se rivela in più tempi le aggressioni e soprusi, o, ad esempio, in caso di violenza sessuale, non ha urlato o chiesto aiuto e non è una buona madre se denuncia il padre dei figli, è una forma di vittimizzazione secondaria che occorre scongiurare per evitare che la vittima desista dal denunciare e l’aggressore rimanga impunito.

Quanto è importante l’approccio psicologico e/o psichiatrico al fenomeno della violenza di genere, prima ancora che diventi di pertinenza legale?

La violenza domestica protratta nel tempo, soprattutto quella psicologica, porta la vittima all’assuefazione alla violenza e non è raro che episodi violenti vengano minimizzati a favore di quelli più eclatanti che lasciano i segni sul fisico, nella convinzione che solo quest’ultimi debbano essere qualificati come tali. Ciò porta le vittime a non denunciare nell’immediato tutti gli episodi violenti che emergono solo a seguito di un esame approfondito. In questo senso è importante l’approccio psicologico per la vittima non solo perché comprenda che è vittima di violenza, ma anche per comprendere le ragioni che la inducono a scegliere il partner violento e a restare nella relazione, ragioni che possono risalire alla formazione della struttura personale dovuta all’educazione familiare. Rivestono un ruolo fondamentale anche i centri per i soggetti maltrattanti finalizzati al recupero, attraverso la consapevolezza dell’agire violento e della necessità di presa in carico, anche eventualmente in ambito professionale.

Ritiene che le donne siano sufficientemente tutelate dal nostro ordinamento o vi sono ancora dei vuoti legislativi per esempio riguardo alla violenza psicologica?

Gli interventi legislativi degli ultimi 20 anni, culminati con la legge n. 69 del 19.07.2019, nota come “Codice Rosso”, consentono di ottenere buoni risultati nel contrasto alla violenza di genere, sia sul versante della repressione che della prevenzione, attraverso campagne di comunicazione culturale finalizzate all’acquisizione di consapevolezza rispetto ad un problema che riguarda l’intera società, come sottolineato anche nella nota Convenzione di Istanbul. Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale prima di tutto che le donne, spesso condizionate dal contesto socio culturale, non rinuncino a dare ascolto alla parte istintuale dentro di sé. Esistono i segnali della violenza fin dal principio della relazione ed è possibile riconoscerli. La sfida è soprattutto delle donne che non devono rinunciare all’immagine di sé, alla propria autostima e all’affermazione dei propri valori, cui non dovranno rinunciare neanche nel ruolo di compagne e madri. Solo così saranno libere di scegliere ciò che è bene per sé e di “esprimere la parte femminile del mondo parlando con voce di donna” al fondo dell’intuizione – avvalorata da paradigmi scientifici – della compianta Nereide Rudas nel suo ultimo libro “Muliericidio”.

Crede che l’educazione alla parità e al rispetto di genere dovrebbe essere affrontato più efficacemente a livello familiare e anche a livello scolastico?

Ritengo che il piano su cui agire sia quello culturale e di educazione all’affettività fin dall’infanzia sia in ambito scolastico ma soprattutto familiare. Non dobbiamo cadere nel tranello di delegare ad altri la responsabilità dell’educazione che coinvolge più figure nella vita del bambino: genitori, insegnanti, istruttori sportivi. Tutti hanno un ruolo fondamentale nell’educare con l’esempio al rispetto e al ruolo paritario all’interno delle relazioni. Ancora oggi l’educazione del maschio, rispetto alla relazione con la donna, è improntata a stereotipi di genere, a un’aspettativa di dominio e fusione. Occorre anche promuovere un’educazione sentimentale degli uomini che li renda capaci di pensare che la propria identità non viene meno se l’altro si realizza all’infuori della famiglia. In questo percorso culturale occorre debellare gli stereotipi dell’amore romantico che intendono rappresentare l’amore come “il fare di due l’uno”. In realtà l’amore maturo è quello che si realizza nella dimensione duale che implica il rispetto dell’altro, il riconoscimento della sua individualità, senza la pretesa di farlo diventare come noi vogliamo. É la somma di due individui che rimangono tali: l’uno più uno che diventa noi.

Sono in programma altre iniziative del genere?

É in programma il prossimo gennaio la seconda edizione del Master con ulteriori approfondimenti, oltre a diversi singoli eventi aperti non solo agli avvocati ma anche ad altri professionisti.

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