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Non occorre per forza di cose schierarsi con qualcuno piuttosto che con un altro quando di mezzo ci stanno le sorti di un territorio ad altissima vocazione vitivinicola ed enoturistica, basta sedersi, riflettere ed osservare con pacatezza come l’economia, il dialogo tra i diversi attori del comparto agronomico ed enologico e la crescita delle piccole cantine siano stati gestiti nell’arco di un intero ventennio e, non ultimo, quale tra le due fazioni generatesi in seno al Consorzio di Tutela dei Vini d’Irpinia sappia cosa significhi il termine fair play ed abbia saputo indossarlo durante le elezioni, tenutesi il 28 aprile scorso, tra l’altro al Palasport Giacomo Del Mauro di Avellino, luogo che manco a dirlo ispirerebbe valori sportivi e capacità di saper perdere.

Per chi volesse fare uno screening disinteressato della storica ventennale gestione del Consorzio, a conduzione “mastroberardiniana”, basterebbero poche domande in effetti:

Dove sono le Strade del Vino in Campania e di preciso da dove partono e a cosa conducono in provincia di Avellino?

Nel parlare tanto di territorio in termini percentuali quanto dell’indotto economico del sistema vino irpino è stato oggettivamente riversato su di esso per mezzo di politiche di sostenibilità, miglioramento infrastrutturale e recupero delle comunità rurali?

Quanto il Consorzio ha saputo farsi carico della crescita delle piccole aziende, seppur non orbitanti nella direzione della governance, ed ha condiviso mezzi e risorse per una crescita lineare della reputazione dell’Irpinia del Vino?

Tutto il mondo vino riconosce il Taurasi sia il fratello maggiore del Barolo come d’altronde la storicità dei vitigni di queste aree, tutte producenti vini a denominazione. Come mai la provincia di Avellino non ha saputo raccogliere nel ventennio l’opportunità di diventare anche di fatto la capitale del vino del Sud Italia?

Un Consorzio che non si impone quando siede al tavolo delle Istituzioni per migliorare le condizioni di accesso, viabilità e vivibilità dei borghi da cui proviene il prezioso nettare irpino, di preciso cosa è stato proteso a migliorare dal punto sociale e politico in tutto questo tempo?

Si è fatto maggior uso dell’influenza consortile per adempiere a degli oneri o per relegare incarichi ai membri del cda?

Le domande, si abbia la cortesia di rilevare, non sono mai indiscrete, sovente però potrebbero esserlo le risposte, ma quel che è certo che, tornando alla questione del fair play, bisogna dimostrare di saper perdere prima che qualcuno possa insospettirsi che il ventennio non solo sia stato del tutto improduttivo o quasi, ma che addirittura abbia avuto un’impronta di dispotica oligarchia per troppo tempo, tanto da dover far notare, e che nessuno si ingrugni, che i galantuomini poi vengono fuori col cattivo tempo, perché quando le cose vanno bene siam tutti bravi con l’essere a modo. Purtroppo con lo spoglio dei risultati è affiorato, negli atteggiamenti di chi non li ha graditi, tutto fuorché la galanteria.

Insomma l’Irpinia è lì da sempre e nessuno la smuove, chiedete in giro. Per l’esito delle votazioni invece tutti sanno che la lista sconfitta non l’ha presa proprio bene mercoledì scorso, tanto più che quella vincente è stata costretta a ricorrere all’intervento delle forze dell’ordine per calmierare la situazione e per far prendere atto del legittimo risultato: con 1287 voti ponderati su 1273 ha vinto Teresa Bruno. Chiedete in giro anche su questo.

La squadra uscente, presentata da Marco Todisco, facente capo a Piero Mastroberardino, aveva già individuato in Raffaele Coppola il futuro presidente del consiglio di amministrazione consortile assieme al presidente uscente Stefano Di Marzo, al professore Luigi Moio, Roberto Di Meo, già presidente della Assoenologi in Campania, Gerardo Perillo, Daniela Mastroberardino, Francesco Saverio Pizza, Giulia La Marca, Raffaele Noviello, Gaetano Ciccarella, Marianna Venuti, Gerardo Contrada e Pasquale De Nunzio, ma qualcosa deve essere andato storto evidentemente e quei 14 voti di differenza hanno avuto tutto il peso della voglia di cambiamento, se non di riscatto addirittura. Ecco il team vincente con il neo eletto presidente Teresa Bruno delle cantine Petilia: Ilaria Petitto, Sabino Basso, Fabio De Beaumont, Claudio De Luca, Oreste De Santis, Arturo Erbaggio, Antonio Melone, Raffaele Panarella, Bruno Picariello, Ida Pugliese, Enrico Romano, Maura Sarno, Guido Marsella e Nicola Gregorio.

Il problema è che quando si tiene decisamente al bene di un territorio non si dovrebbero annunciare defezioni e ostilità, come fatto dagli sconfitti ancor prima che lo fossero, men che meno ci si dovrebbe aggrappare all’articolo 2372 del codice civile in luogo di rappresentanza di assemblea. Infatti con tale pretesto la lista “mastroberardiniana” vorrebbe invocare la nullità delle elezioni in quanto non sarebbe lecito per un consigliere uscente essere delegato. Ma riusciranno costoro ad invalidare un risultato legalmente ottenuto con un pretesto normativo che attiene alle società di capitale e non ad associazioni che come i consorzi non hanno interesse di natura privata?

Teresa Bruno conferma l’incontestabilità di scelte democratiche precise che sono andate via via consolidandosi all’interno del Consorzio per assolvere ad esigenze mai soddisfatte, scelte frutto di consensi su una nuova linea di pensiero e di azione che al momento del voto si sono trasformati in preferenze. Al nuovo presidente del Consorzio di Tutela dei Vini d’Irpinia l’auspicio che possa presto insediarsi con unanime consenso da ambo le parti e mettersi quanto prima al lavoro per promuovere una condotta territorialista inedita ed efficiente che apporti migliorie a tutto il comparto vitivinicolo in provincia di Avellino. Chi saprà mettere da parte atteggiamenti ostili ed immaturi, mentalità a compartimentazione stagna, dimostrando di essere altrettanto desideroso di voler compiere davvero il bene dell’Irpinia del vino, non potrà che stringere la mano di Teresa Bruno ed augurarle buon lavoro, cooperandovi possibilmente.

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