Geografie fluide e geopolitica la sfida dell’oltrepassamento
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Sconfinare oltre il limite imposto dalla barriera permette da sempre il movimento di popoli e con essi di culture, lo spostamento di persone e con esse di idee; moti, questi, che hanno permesso e promosso la nascita di numerose civiltà.

Ma sconfinare, resta conseguenza diretta dell’atto di confinare; Un confine presuppone una divisione tra un noi e un loro, tra un qui e un : superarlo, rimette in discussione paradigmi fondamentali della concezione identitaria.

Confinare è un atto concreto ma soprattutto politico. Che sia fatto di cemento o attraverso una linea su una carta, il confine determina la creazione di un’alterità con la quale entrare in relazione.

Charles S. Maier, storico, considera territorio uno spazio geografico separato dagli altri dalle proprie leggi e confini. Egli sostiene che la geopolitica nasce da quello che è un bisogno di rivendicazione spaziale dovuto a un presunto determinismo

territoriale1, come disciplina elitaria strategica ai meccanismi di potere, una sottostruttura imprescindibile di esso.

Nel suo evolversi e intrecciarsi così indissolubilmente alla sovranità ha portato la geografia ad essere il perno attorno al quale ruotano i meccanismi di costruzione sociale, diventando molto più determinante dell’istituzione politica stessa.

La potenza del linguaggio nella narrazione del confine la si trova senza sforzi proprio in quella retorica di tipo sensazionalista che la politica assume nel tentativo di costruire concettualmente un nemico, una minaccia, da combattere e tenere fuori dallo spazio sul quale esercita la propria egemonia. Lo spettro dell’insicurezza umana, alimentato da una narrazione volta a giustificare la fortificazione dei confini in nome di una millantata unità nazionale, ha fatto sì che crescesse il bisogno di piazzare dei confini, delle barriere, fisiche e soprattutto concettuali, che aiutassero a determinare gli spazi percepiti come fissi e inviolabili. Spazi all’interno dei quali sentirsi al sicuro, protetti, ma anche sentirsi parte di un popolo, appartenere ad una comunità, ad un’identità condivisa.

Ma i confini sono dei paradossi continui: nonostante delle caratteristiche di inviolabilità e fermezza delle frontiere se ne faccia un tale uso da raggiungere l’esasperazione di una retorica basata sul binomio sicurezza/insicurezza, risulta sempre più difficile definire un dentro e un fuori nettamente separati, un noi e un loro, facendo sì che i concetti interno ed esterno siano profondamente messi in crisi. Il confine, come sostiene Elena Ricci, giornalista e scrittrice, è dunque da considerarsi una realtà relazionale2, portavoce di entrambi i lati della frontiera che si condizionano reciprocamente.

Oggi, le relazioni umane grazie alla comunicazione mondiale superano continuamente le barriere e i riflettori puntati sul fenomeno migratorio – mediatizzato fino all’esasperazione – fanno sì che esso appaia come un fenomeno nuovo, una minaccia moderna e postmoderna da combattere, che mira alla distruzione dell’unità nazionale.

La migrazione in questo modo sfida la suddivisione territoriale, evidenziando quelli che sono i limiti di un ordine liberale che pretende di mantenere un controllo – attraverso l’esercizio dell’autorità nazionale – che, come la storia ci insegna, non è mai stato realmente possibile.

1 S. Maier, C., Dentro i confini, Territorio e potere dal 1500 a oggi, Einaudi, Torino, 2019.

2 Ricci, E., Il dramma del Mediterraneo. Malta e Lampedusa, frontiere liquide, confini solidi, Mimesis, Milano-Udine, 2015

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