Calciatori
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A osservarlo superficialmente, il calcio professionistico appare come un universo a sé stante rispetto alle pene di noi terrestri: calciomercato a cifre astronomiche, stipendi da mille e una notte, un gioco come lavoro, calciatori venerati come semidei. Tutto vero. Eppure, non è tutto oro quello che luccica: anzi, a volte è rame, soprattutto per chi si trova nella condizione di calciatore professionista disoccupato.

Non sarà come essere un operaio disoccupato, certo, ma è comunque una situazione di disagio, soprattutto se nel calcio hai investito praticamente tutta la tua vita. Ma la Dea Eupalla talvolta fa brutti scherzi, così il rischio di finire al raduno dei senza contratto a Coverciano (o con l’Equipe Romagna, Lombardia o Sicilia) pende come una spada di Damocle sulle teste di centrocampisti e terzini. “Precari, vagabondi e con poche garanzie: un giorno al Nord, l’altro al Sud. Oggi bianchi, il giorno dopo azzurri: e domani disoccupati” ha scritto a tal proposito Mario Pagliara sul sito della Gazzetta. Lo scorso luglio erano 110 i calciatori ospiti del raduno dell’Assocalciatori (oltre il 30% in più rispetto all’anno precedente): tra questi, giocatori che hanno calcato il massimo palcoscenico calcistico italiano, la Serie A, come Mutarelli, ex Bologna, Giuliatto, ex Lecce, Arturo Di Napoli, 170 gol in carriera, Pià e Fini, Rivalta e Fusani. L’Assocalciatori si è vista costretta a moltiplicare i ritiri precampionato per i senza contratto: oltre a Coverciano, Veronello e Calmasino di Bardolino. Qualche anno fa questo fenomeno colpiva quasi solo gli Over 30, i giocatori a fine carriera, ora invece anche i giovani calciatori, così come tutti i loro coetanei, affogano nella melma del precariato: “Una volta trovavi solo i ‘vecchi’, ai quali le squadre non rinnovavano il contratto, oggi sono sempre di più i ragazzi under 30 (e alcune volte anche under 25) che restano senza ingaggio” dice Roberto Galia, ex giocatore e allenatore dell’Equipe Lombardia.

Secondo i dati dei raduni degli anni precedenti1, il 50% dei senza contratto riesce a restare nell’alveo dei professionisti, ma il 40% è costretto a scendere fra i dilettanti. Un 10%, invece, decide di fare il salto del fosso e prende il patentino per diventare allenatore. Numeri di sicuro non tragici, ma poniamoci nei panni di chi scende fra i dilettanti: lo stipendio cala drasticamente, si rischia di non tornare più fra i professionisti e di restare in una sorta di limbo dantesco: né di qua, né di là. “La differenza tra le cosiddette big e le altre è enorme, non parliamo di quello tra Serie A e B. Se guardiamo alla Lega Pro, poi, sembra di essere in un altro mondo. La crisi economica si fa sentire, ma secondo me il calcio necessiterebbe di una ristrutturazione: magari meno squadre professionistiche, ma un sistema un po’ più solido” continua Galia.

Galia pone un problema fondamentale: il troppo professionismo nel calcio. Ridurre le squadre professionistiche sarebbe già un grosso passo in avanti, visto che nella percezione comune sono semiprofessionisti persino i dilettanti che giocano in categorie come Eccellenza e Promozione. Non solo: occorre fornire ai giovani calciatori gli strumenti – una buona educazione scolastica e una formazione professionale – per cavarsela nel caso le contingenze negative li costringano a trovare un lavoro “normale”. Molte società professionistiche esigono che i propri ragazzi abbiano un po’ profitto scolastico e non esitano a punire le insufficienze con qualche turno senza giocare.

In definitiva, il mondo del calcio non è tutti lustrini e paillettes, al contrario: sotto una superficie dorata, c’è un sottobosco in cui si vive il problema tragico della disoccupazione, con calciatori costretti a ridimensionare o smettere la propria attività.

Fonti:

www.goal.com (intervista a Galia)

www.gazzetta.it

www.calciopro.com

www.aic.it

1. Vedi http://www.gds.it/gds/sezioni/sport/dettaglio/articolo/gdsid/165936/.