Maria e il Filet di Bosa
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Il suo ricamo s’intreccia ai ricordi, i sogni e la poesia della cittadina: il filet di Bosa. Come raccontato in questo articolo La Giana del fiume Temo

Maria Masala, 63 anni, nata nel centro storico Sa Costa, dove il filet ha le sue radici, ha vissuto e respirato fin da bambina l’aria di quelle antiche strade dove le donne, sedute davanti agli usci delle case, si dedicavano al ricamo del filet.

Centro storico di Bosa
Centro storico di Bosa

Da ragazza se ne allontana, avvertendo un senso di estraneità verso quella realtà e la comunità sociale cui apparteneva. Si sposa in giovane età e si dedica alla famiglia. Oggi ha tre figli e tre nipoti, e nel 2004 dopo aver attraversato un periodo difficile, la lunga malattia della madre e la sua morte, decide di ritagliarsi un piccolo spazio per dedicarsi a un interesse profondo. Si scrive a un corso per imparare e approfondire il ricamo del filet. Quell’arte antica accende una nuova luce nella sua vita, e se il sogno da ragazza di diventare insegnante non si realizzò, ne prende corpo un altro, inaspettato e prodigo di soddisfazioni: inizia la sua avventura col filet che le riempie l’esistenza di nuovi incontri sociali, cultura e bellezza, perché come suole ripetere: “La vita ci sorprende sempre”. La riscoperta delle radici storiche e culturali della sua città rievoca i ricordi dell’infanzia, riavvicinandola ai valori di un tempo dove, sebbene non si vivesse nell’abbondanza di beni materiali, fluiva copiosa l’energia del cuore, fatta di rapporti sociali e familiari, solidarietà e condivisione.

Le donne bosane hanno scritto la loro storia in quei merletti, e ne hanno tramandato la tradizione con la stessa tenacia e passione che oggi anima Maria. “Ci si sente realizzati anche impegnandosi nel trasmettere le antiche tradizioni alle generazioni future”. Oggi è presidente dell’associazione Manos de Oro Filet di Bosa, nata con l’obiettivo di tutelare, promuovere e divulgare il tipico filet di Bosa.

Il filet si sviluppò e diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo e in alcune località europee, ma quello tipico di Bosa si distinse per la sua unicità, ragion per cui i motivi creati con la tecnica del “Filet di Bosa” sono di difficile riproduzione, che si usi l’uncinetto o la procedura industriale. Bosa, in Sardegna, divenne il centro della lavorazione del filet. “Ancora oggi se si pronuncia la parola filet si pensa a Bosa”.

Le sue origini sono molto lontane e di difficile identificazione spazio – temporale, poiché non si possiede una documentazione certa. A Bosa il ciclo di affreschi rinvenuti nella chiesetta del Castello dei Malaspina, raffiguranti i personaggi regali che indossano un copricapo con le fattezze della tipica reticella del filet, fanno presupporre che quest’ultimo sia comparso nella cittadina tra la fine del medioevo e i primi del rinascimento.

Un filo di cotone, lino o seta, un modano e una bacchetta di metallo per realizzare la rete, infine il telaio, sono questi gli strumenti del lavoro per ricamare al filet. “Mi piace pensare che proprio l’uso di questi comuni materiali, sia il motivo per il quale da secoli, la lavorazione del filet sia penetrata così profondamente nel cuore della nostra città”.

I più antichi ricami andarono a ornare i letti a baldacchino delle famiglie ricche con “sas cortinas”, (le mantovane) dove i motivi più comuni riguardavano la rappresentazione delle fasi della vita accompagnate dai simboli augurali, “sas mustras de su brocadu”, (i moduli del broccato) quali “s’ispiga”, la spiga, “su trigu barantinu”, (il grano che matura in quaranta giorni) e “sa ide”, (la vite), “sa mela de oro”, “(la mela d’oro), s’alvure de sa vida”, (l’albero della vita), e i motivi inerenti a “sa cazza reale“, (la caccia reale), dove venivano rappresentate le scene di caccia di alcuni personaggi regali. Per queste creazioni si impiegava del filo di seta colorato.

I simboli riprodotti nel merletto bosano sono tratti dal vivere quotidiano e dal paesaggio naturale: il mare, la campagna, gli animali, la religione, il fiume. Alcuni sono gli stessi che si possono ammirare su tappeti, cassapanche e ceramiche della tradizione sarda. Tra i moduli tradizionali vi sono: ”sa corona de su carmine”, (la corona della Madonna del Carmelo), “su corallu”, (il corallo), “su biccu de su limone”, (la riproduzione dell’angolo del frutto del limone), “sa mustra de essa quadrigliada”, (la pavoncella con la coda a quadri), “su dindu”, (il pavone), “sa rosa a otto puntas”, (la rosa a otto punte), “sa melagranada”, (la melagrana), “sa greca antiga”, (la greca antica), “sas nugheddas”, (le noccioline”), “su ballu sardu”, (il ballo sardo), “sas pudditas”, (le gallinelle).

Fino a qualche tempo fa, le bosane, quando le condizioni atmosferiche lo permettevano, si sedevano davanti all’uscio di casa con telaio, modano e filo per “Laurare”, lavorare il filet. Le case del centro storico, in particolare quelle del rione Sa Costa, il quartiere dei pescatori, erano modeste e piccole, una stanza per piano – le abitazioni di Bosa si sviluppano in altezza – per questo motivo se si voleva ricamare bisognava uscire per strada. In quelle strette vie i bambini giocavano tutt’intorno alle donne che ricamavano, o mettevano i pomodori a seccare, oppure lavavano il grano, mentre gli uomini intrecciavano i cestini o si dedicavano ad altre attività. “Si lavorava e chiacchierava in allegria tutti insieme”.

Le bambine, compiuti gli otto anni, ricevevano dalle madri un piccolo telaio e veniva loro insegnata la tecnica del filet, in primis la creazione della rete, che è uguale a quella che usano i pescatori. Un telaio e una rete allacciata a una sedia – si faceva così al tempo – erano presenti in tutte le case di Bosa. Una volta realizzata la rete la si distendeva in un telaio e si iniziava a ricamare.

Nonostante la fatica dei lavori nei campi, quali la raccolta delle olive e la cura delle vigne, le donne riuscivano a dedicarsi con energia e passione al ricamo. Quelle mani temprate dal pesante lavoro manuale della campagna, la sera con leggerezza e agilità intrecciavano ago e filo nel telaio per fare il prezioso “merletto dei re”, che veniva venduto o barattato alle famiglie ricche della via del Corso e dei paesi circostanti, o impiegato per ornare i paramenti dei sacerdoti. Per le opere più impegnative, come le coperte, le tende e gli arredi per la chiesa, si allestiva un grande telaio e si lavorava insieme.

Il ricamo del filet si integrò bene con l’economia familiare della cittadina: per molte famiglie fu una vera e propria fonte di sostentamento. Non erano poche le donne che per portare a termine il lavoro, “sa faina”, a lume di candela restavano chine sui telai fino a notte fonda. Poi facevano i bagagli e partivano per vendere i propri merletti anche in quei paesi allora lontani. Soggiornavano fuori per diverse settimane, finché non avevano ottenuto la somma di denaro o i prodotti necessari al fabbisogno della propria famiglia. “Con i loro viaggi portavano con sé non soltanto le proprie creazioni ma anche le loro storie, favorendo lo scambio culturale”.

A quest’antica arte si dedicarono anche le donne benestanti. Negli anni venti Olimpia Melis, affiancata dai fratelli Federico (noto ceramista) e Melchiorre (famoso pittore), fondò a Bosa una piccola azienda per la produzione dei ricami al filet. I due artisti le fornivano i disegni a cui un gruppo di abili ricamatrici si dedicavano. I bozzetti poi venivano distrutti per scongiurare eventuali riproduzioni. Le loro opere varcarono i confini della Sardegna fino a raggiungere Firenze, Parigi e New York.

Socializzare, esprimere la propria creatività, allenare la mente nel tenere alta l’attenzione verso quel che si fa, liberandola da pensieri e preoccupazioni, sono i doni del ricamare al filet e del farlo in compagnia. “Le nostre mostre sono un’occasione per incontrare persone anche di diverse nazionalità”.

L’incontro con l’associazione culturale La Foce diede inizio alla sua avventura: entrò e far parte del direttivo dell’associazione, e gestì per sei anni La Rassegna di Raffinatezze Artigianali Manos de Oro. L’evento metteva insieme cultura e arte tessile, mostre e convegni, e vide la partecipazione di artisti e intellettuali di diverse località dell’isola, quest’ultimi per parlare e approfondire le conoscenze sulla storia e cultura di Bosa. Ai convegni partecipò anche Attilio Mastino, il Magnifico Rettore dell’Università di Sassari. “Raccontò la storia della nostra città, esponendo gli avvenimenti socio culturali del filet. Il professore ha sempre affiancato e incoraggiato ogni nostro evento”.

Leggende

Le vicende storiche camminano a stretto braccio con la fantasia, e il mistero intorno alle origini di quest’arte secolare ha fatto sì che le leggende si tramandassero per via orale fino ai nostri giorni. Tra le varie, vi è la storia di una giovane innamorata che per conquistare il cuore del suo amato, inventa il prezioso merletto. In un’altra ancora si racconta che dei ragni giganteschi rapirono una giovane fanciulla e, tenendola segregata nelle grotte del monte Nieddu, le insegnarono l’arte del tessere i fili, finché appresa la tecnica non la lasciarono libera, ed ebbe così inizio il ricamo del filet. Non solo. Si narra anche che le sue origini abbiano a che fare con il mare e la pesca, poiché la tecnica per fare la rete del ricamo è la stessa utilizzata dai pescatori per le loro reti. Si dice, infatti, che le donne, in attesa del rientro dei loro uomini dal mare, per ingannare il tempo, si dedicassero al ricamo delle reti del filet, imprimendo sui merletti avvenimenti e scene della loro vita quotidiana.

Manos de Oro filet di Bosa è l’associazione culturale, costituita nel 2015, di cui Maria è la presidente. Ne fanno parte un gruppo di persone che si dedicano con costanza e passione da circa dodici anni alla lavorazione di questo merletto. Nel 2017, in occasione della festa del folclore di Ittiri, l’associazione ha ricevuto il premio “Manos de Oro 2017”, per l‘impegno nel valorizzare e promuovere il merletto bosano e nel garantire non solo la continuità di un’attività in pericolo di estinzione, ma la sua divulgazione tramite le iniziative culturali e le mostre, distinguendosi inoltre per il rispetto dei moduli decorativi tradizionali e per i risultati di alto livello ottenuti. Un riconoscimento che Maria ha voluto dedicare alle antiche donne, che con caparbietà hanno tramandato quest’arte, tenendo intatti i segreti della sua lavorazione, e alle donne di oggi, che si sono assunte la responsabilità di custodire un’arte secolare e di tramandarla alle giovani generazioni.

Difatti l’associazione culturale si è fatta custode delle antiche lavorazioni, promuovendo attività di ricerca, corsi di formazione e iniziative culturali ad ampio raggio, dentro e fuori i confini isolani. “L’aver costituito un’associazione ci consente di mantenere vivo l’interesse nel filet, partecipando a mostre ed eventi vari anche fuori dall’isola”.

Nella casa di quand’era bambina, oggi vi è la sede di Manos de Oro.

Era un’abitazione a tre piani: al piano terra c’era una cucina e un’anticamera, ai superiori un soggiorno e le camere da letto. “Era molto piccola per una famiglia di sei figli, non avevamo tante comodità, ma non c’è mancato mai nulla”. Dalle sue finestre si poteva contemplare l’intera cittadina. “La sua felice posizione mi consentiva di vedere oltre i tetti delle case e fino al mare. Non mi stancavo mai di guardarla. Potevo dominare con lo sguardo le semplici case, strette l’una con l’altra in un intricato gioco di vicoli e tetti, fino a giungere alla via più elegante, il corso Vittorio Emanuele. E poi c’era il fiume che mi sembrava di toccare con lo sguardo…Il fiume costeggiava le concerie e dopo un lungo serpeggiare raggiungeva il mare…”.

La casa è stata restaurata con il progetto comunale Manos de Oro per la valorizzazione del filet di Bosa.

Maria Masala, Celestina Marras, Giovanna Sanna, Rita Fadda, Valeria Ruggiu, Laura Schintu, sono le componenti del direttivo. Bonaria Sechi, Giovanna Sabino, Bettina Chelo, Maria Grazia Paolini, Bonaria Fadda, Maddalena Cadeddu, Rita Mastinu, sono le socie allieve.

Le loro creazioni si possono ammirare nei locali dell’associazione, in via Ultima Costa, 45, a Bosa.
Pagina facebook dell’associazione 

4 thoughts on “Il merletto di Bosa: la storia di Maria

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