Indie
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Si legge su Wikipedia che la musica indie consiste in un “insieme di generi musicali caratterizzato da una certa indipendenza, reale oppure percepita, dalla musica pop commerciale e da una cultura cosiddetta mainstream (cultura di massa), nonché da un approccio personale alla musica stessa” (Wikipedia). Secondo il New Musical Express, un settimanale musicale inglese piuttosto prestigioso, l’espressione indie comprende “tutti quegli artisti musicali che non firmano contratti con le cosiddette etichette major, (di solito le “quattro grandi” compagnie discografiche: la Warner, la Universal, la Sony e la EMI)” (Wikipedia).

Indie è la contrazione dell’inglese independent. Musica indipendente dalle vampiresche logiche del music business, che in nome del denaro crea dal nulla idoli di carta per poi distruggerli con altrettanta facilità al primo cambio di vento. Indipendente perché proveniente dalle cantine, dall’underground, da musicisti che fanno musica solo per amore della stessa, e non spinti dalla ricerca affannosa del guadagno. Indipendente perché apparentemente… indipendente da tutto e da tutti, per l’appunto. Sempre seguendo Wikipedia, “il termine Indie è spesso confuso con il tipo di suono prodotto dal musicista quando è in realtà il modo in cui il suono è presentato o prodotto”. In realtà, molti giornalisti musicali usano il termine indie (spesso in associazione con altri quali rock e pop) per definire la musica di gruppi che, per imperscrutabili motivi, ha in qualche modo un sapore indie, più o meno accentuato.

Tendenzialmente, la musica indie viene considerata “buona musica” (non di rado a prescindere), soprattutto fra i suoi estimatori. E anche quando salta fuori un prodotto mediocre, si tende comunque a considerarlo di gran lunga superiore alla media dei dischi cosiddetti commerciali (come se ci fosse differenza nella mediocrità…). Inoltre, essendo il termine indie decisamente elastico, non si comprende mai bene dove comincino e finiscano i suoi confini, ammesso e non concesso che ne abbia.

A mio modo di vedere anche in questo campo si rischia la dipendenza dall’indipendenza di cui parla Grazia Noseda nel suo articolo. E’ vero che sovente dal mondo indie arrivino ottimi dischi, e gruppi con idee innovative e grandi capacità artistiche. Ma non si può negare che arrivi anche tanta robaccia. Basta guardare Brand New su Mtv per qualche giorno di fila per rendersene conto: si viene bombardati da una pletora di band del tutto simili fra loro, non di rado imitazioni di imitazioni. Non si contano i cloni di Strokes, Franz Ferdinand o White Stripes (gruppi già fortemente derivativi) che si affacciano ogni giorno alla ribalta della musica alternativa. Le case discografiche, grandi o piccole, sono perfettamente consapevoli dell’esistenza di un pubblico indie che possiede ben precise caratteristiche e esigenze, e, sapendo bene di poterci ricavare parecchio, lo nutre con amorevole cura e con una certa spietatezza, interpretandone i capricci e i cambi d’umore e dandogli proprio quello di cui necessita, facendo in modo però che non se ne accorga, anestetizzandolo per bene per non urtarne la profonda (o presunta tale) sensibilità musicale. Il mio punto di vista è che una certa mancanza di elasticità mentale può portare a chiusure forzate nei confronti di ciò che non è prettamente indie pop o indie rock, ma più semplicemente rock o pop.

Se ci si accosta all’ascolto della musica pop (intesa come popolare) senza il paraocchi (o meglio: il paraorecchi), si possono trovare grandi sorprese anche nella musica che finisce in classifica, musica frequentemente aborrita dai puristi dell’indie. Occorre ricordare che ai primi posti delle classifiche ci finiscano, quasi ad ogni uscita discografica, artisti del calibro di Franco Battiato o Ivano Fossati, che non fanno esattamente bubble-gum music. Se poi a aumentare vertiginosamente le vendite sono gruppi o artisti fino al giorno prima considerati di culto (e di conseguenza per pochi eletti, che sono tali non si sa bene per quale motivo), apriti cielo! Si grida allo “sputtanamento”, al “tradimento”, si dà loro dei “venduti”, come se il successo fosse inversamente proporzionale alla qualità del prodotto: un ragionamento contorto e molto probabilmente superficiale e arrogante.

In definitiva, tutto ciò che è indie è realmente indipendente? Forse no, forse c’è molta più dipendenza lì che nell’ambito della musica mainstream, dove in mezzo a parecchia spazzatura si trovano grandi album e grandi artisti. E dove forse, sotto sotto, vorrebbero finire molti musicisti definiti “indie”, con buona pace di puristi e cultori vari.

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