Malattia mentale bambini
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Intervista al Dr. Alessandro Zuddas, responsabile del Centro per lo Studio delle Terapie farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari.

In Sardegna i “disturbi mentali” nei bambini rappresentano una realtà di cui si parla poco e della quale si sa davvero poco. Le realtà finora studiate, insieme agli studi scientifici sviluppati, confermano che alcuni disturbi mentali cominciano proprio nell’infanzia. Ciò mi ha spinto ad indagare sul territorio locale, per capire in che modo vengono accolti e curati i disturbi e le malattie mentali dei più piccoli; per scoprire quali sono le malattie più frequenti che colpiscono i giovani sardi in età scolare; per comprendere il tipo di approccio che la neuropsichiatria infantile ha sviluppato nei confronti dei disagi infantili, fino all’individuazione delle differenti soluzioni ai “nuovi mali” che affliggono l’infanzia sarda, italiana. In Sardegna, esiste un luogo, precisamente a Cagliari, che rappresenta l’unico Centro per lo studio delle Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, diretto dal Professor Alessandro Zuddas che, con la sua equipe, costituita da medici e professionisti dell’educazione, da anni, cura e assiste i bambini sardi e i loro “disturbi mentali”.

Purtroppo la causa della maggior parte dei disturbi mentali nei bambini non è nota. Alcuni professionisti sostengono che i disturbi mentali siano il risultato di una combinazione di fattori genetici, biologici, di educazione e fattori ambientali. Quest’ultimo è un passaggio delicato, da cui nascono diverse polemiche e approcci differenti al concetto di “malattia”, ma sappiamo tutti che il cervello influenza il comportamento e l’esperienza incide sullo sviluppo del cervello.
Sappiamo che la crescita di un individuo comporta cambiamenti rapidi e non lineari; lo sviluppo fisico, mentale emotivo e sociale non è uguale in tutti i bambini. Se alcuni bimbi ritenuti “sani” rispondono positivamente ai cambiamenti e mostrano forti abilità nell’affrontare e superare le sfide di tutti i giorni, ve ne sono altrettanti che non stanno bene con se stessi, che non partecipano, che non si integrano nella scuola, nella loro famiglia e nella comunità d’appartenenza. I bimbi “sani” non sono immuni dall’avere problemi; solo che, le tante difficoltà che essi incontrano nel loro percorso di crescita sono a breve termine e non necessitano di alcun “trattamento” specifico, sia esso educativo, psicologico, o medico/farmacologico. Quando queste difficoltà si ripetono nel tempo, spesso diventano veri e seri problemi tali da spingere i genitori a chiedere aiuto ai professionisti del settore.

Tanti sono i bambini che nel mondo soffrono di malattie mentali, in Italia una percentuale molto bassa viene curata con l’uso dei farmaci. Ci sono bambini che soffrono di un solo o più disturbi; alcuni di questi includono i disturbi d’ansia, problemi d’umore, depressioni prolungate, rifiuto di alimentarsi in maniera adeguate, disturbi dirompenti del comportamento, difficoltà di attenzione associata a impulsività e Iperattività motoria (il cosiddetto ADHD). Quali sono i sintomi? Beh, l’irritabilità, le manifestazioni di paure ingiustificate, la scarsa stima di sé, la disattenzione, l’iperattività, l’aggressività, l’insolenza. Pensiamo a quei bambini che in classe sono continuamente in movimento, disattenti, aggressivi e che anche davanti ad un rimprovero continuano ad ignorare le regole e a fare chiasso durante l’ora di lezione. Capire in tempo quando si è di fronte a segni di problemi più gravi non è cosa semplice. Ma una cosa è certa, sono i cambiamenti di comportamento, quelli che incidono negativamente sulle attività quotidiane del bambino, a far scattare l’allarme e la preoccupazione, in famiglia o a scuola, luoghi in cui il bambino passa la gran parte della giornata, cui segue spesso una richiesta d’aiuto, dapprima al pediatra di riferimento, successivamente ad uno specialista (esperti in problemi di comportamento infantile, psichiatri, psicologi, assistenti sociali ecc). Esistono diversi trattamenti per la maggior parte dei disturbi mentali dei bambini. Si parte, per i casi meno gravi, dai trattamenti psico-sociali (gli interventi psicoeducativi, la psicoterapia) fino ad arrivare, per i casi più gravi al trattamento farmacologico. In genere le terapie sono il risultato della combinazione di diversi approcci (educativo, psicologici etc.): le terapie devono sempre essere personalizzate per ciascun piccolo paziente.

Sul concetto di malattia mentale

Abbiamo chiesto al Prof. Zuddas di definire il concetto di malattia mentale per poter entrare nel mondo, poco conosciuto, della popolazione scolastica che manifesta sintomi che spesso sfociano in patologie che non vengono ben individuate. Da anni il Prof. Zuddas si occupa dell’ADHD (Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività) e presso la Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Cagliari, è responsabile di un centro di diagnosi e di terapia dei “disturbi” che colpiscono l’infanzia.

I problemi che un bambino può manifestare in casa o a scuola potrebbero essere affrontati in vista di una soluzione efficace, se genitori ed insegnati divenissero consapevoli del disturbo, ma la diagnosi del problema richiede necessariamente una visita accurata. Il professore è poco incline ad utilizzare il termine di “malattia mentale” per indicare un disagio o disturbo del bambino; la malattia mentale è un “costrutto artificiale”, definito da un insieme di sintomi (comportamenti, sentimenti) tali da indurre una compromissione funzionale. In età evolutiva, la “compromissione funzionale” può essere definita come l’incapacità o impossibilità di usufruire delle occasioni di vita dei propri coetanei (gioco, apprendimento, interazioni sociali etc.) ”. Davanti ad un disturbo come per esempio la depressione o l’iperattività, che si manifesta in un ragazzo o in un bambino, la domanda che il professore si pone è questa: “come posso aiutarli? Quanta fatica costa al bambino affrontare le difficoltà che incontra? Quali risorse riuscirà a mobilitare per affrontare e sperare le tappe del suo sviluppo?”

La testimonianza del Professore indica che molto spesso i bambini arrivano nel suo centro, dopo 3-4 anni circa dal sorgere del problema. La prima visita dura almeno un’ora e mezza: bisogna raccogliere informazioni, da genitori (sia le loro impressioni che quelle riferite da insegnanti od altri adulti di riferimento) e dal bambino, sia in presenza che in assenza dei genitori. “Se dopo questa visita si possono identificare problemi che vanno molto oltre la normale variabilità di sentimenti e comportamenti presenti nella gran parte dei bambini o dei ragazzi, si procede ad ulteriori approfondimenti, spiegando subito (dalla prima visita) al bambino / ragazzo ed ai suoi genitori, la natura del “problema “ e fornendo loro alcuni suggerimenti/ indicazioni su come iniziare ad affrontarli”.
Indubbio l’elemento scuola come fattore rilevante ai giorni nostri per l’individuazione dei diversi disturbi. Nel passato un bambino poteva pure “permettersi di non andare bene a scuola” in quanto vi erano delle alternative alla scuola, rappresentate dalle occasioni di lavoro non “intellettuale” che richiedevano essenzialmente specifiche abilità manuali quali, ad esempio il piccolo artigiano od il bracciante agricolo. Oggi, sia per la estrema frequenza di famiglie con un solo figlio, con conseguente “investimento affettivo” quasi esclusivo, che per l’evoluzione della struttura sociale e delle aspettative sul futuro degli attuali ragazzi, il rendimento scolastico è diventato un aspetto cruciale delle aspettative di un genitore nei confronti del figlio. Un bambino o un ragazzo che non riesce ad usufruire delle occasioni di vita dei suoi coetanei (es. non riesce a seguire i programmi scolatici, a socializzare, a provare piacere nell’ attività tipica dei coetanei, oppure è sempre preoccupato, assorto, triste o irritabile) rischia di non superare in maniera adeguata le tappe fondamentali del suo sviluppo, con conseguenze personali e sociali molto più marcate che nel passato.

Il Prof. Zuddas lavora da anni con bambini affetti dal disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD), un disturbo comune che se, individuato in tempo, può essere trattato con successo. I bambini che soffrono di tale disturbo (che, spesso presente in età prescolare, risulta evidente con l’ingresso alla scuola primaria): appaiono continuamente distratti come se avessero altro per la testa, evitano di svolgere attività che richiedono attenzione per i particolari o abilità organizzative, cambiano attività rapidamente non riuscendo a portare a termine le azioni intraprese, hanno difficoltà a rispettare le regole, i tempi e gli spazi dei coetanei, spesso, a scuola, trovano difficile anche rimanere seduti , vengono spesso descritti “come mossi da un motorino”.
La diagnosi di ADHD è essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione clinica e sulla raccolta di informazioni fornite dai genitori e da persone vicine al bambino, educatori, insegnanti etc.. Per formulare una diagnosi occorre che i sintomi prima descritti impediscano in maniera significativa il funzionamento globale del bambino, che la compromissione funzionale sia presente in almeno due diversi contesti (scuola, casa, gioco o altre situazioni sociali).

I DISTURBI DI COMPORTAMENTO DEI BAMBINI SONO DISAGI FAMILIARI, TRASMESSI DAI GENITORI AI PROPRI FIGLI?

E’ importante che i genitori siano o divengano dei buoni osservatori: devono imparare ad analizzare ciò che accade intorno al bambino prima, durante e dopo il loro comportamento inadeguato o disturbante, e a rendere comprensibili al bambino le regole e le conseguenze delle azioni. Nel breve termine, gli interventi comportamentali possono migliorare le abilità sociali, le capacità di apprendimento e spesso anche i comportamenti disturbanti; generalmente risultano però meno utili nel ridurre i sintomi cardine dell’ADHD quali inattenzione, iperattività o impulsività. Da qui la necessità di intervenire sul bambino. A questo proposito, il Prof. Zuddas, ritiene doveroso sottolineare l’importanza che riveste nella formazione dell’autostima e della sicurezza di ogni individuo, la tecnica del rinforzo e del premio come strategie efficaci capaci di produrre conseguenze positive sul comportamento del bambino, rifiutando l’uso indiscriminato delle punizioni nell’educazione e crescita del suo sviluppo: “gli essere umani sono “costruiti” per fare cose piacevoli: facciamo cose che al momento non ci piacciono solo se sappiamo che in seguito ne saremmo in qualche modo gratificati. Le punizioni possono “bloccare “ un comportamento negativo ma non ne “insegnano” uno nuovo “positivo” che lo sostituisca. Un nuovo comportamento viene appreso e messo in atto solo quando risulti ( o venga fatto risultare) “gratificante” per il bambino stesso”.

Alcune volte è molto difficile insegnare tali nuovi comportamenti per diversi motivi: nessuna gratificazione risulta gratificante per il bambino perchè egli non è in grado di provare “nessun” piacere ( è questo l’aspetto principale della depressione) oppure perchè ciò che gli si chiede è troppo difficile o faticoso per lui (perchè non riuscendo a selezionare gli stimoli non riesce a portate a termine nessuna azione intrapresa, come nel caso dell’ADHD), oppure perchè non riesce a controllare pensieri intrusivi che gli impediscono di pensare ad altro ( come nei casi più gravi del disturbo ossessivo compulsivo). Nei casi più gravi, anche nei bambini e negli adolescenti, alcuni farmaci possono rendere altri interventi psico-educativi, sempre necessari, maggiormente efficaci.
Il centro per lo studio delle Terapie farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, riceve bambini a partire dai due anni d’età fino ai 18, passati i quali, il centro non è più autorizzato a prendersene cura.

OGGI PIU’ CHE MAI SI TENDE AD AVERE PAURA DEI FARMACI TRADIZIONALI SOPRATTUTTO SE I DESTINATARI SONO I BAMBINI. QUALI SONO I PREGIUDIZI CON CUI LE PERSONE SI AVVICINANO ALLA VOSTRA PROFESSIONE?

Il primo intervento terapeutico è sempre una corretta formulazione della diagnosi, effettuata dopo l’accurata valutazione che abbiamo descritto prima. Il passo successivo, quello della spiegazione ai genitori e, con modalità adatte al livello di maturazione cognitiva raggiunta, al bambino sulla natura del problema e sulle strategie, educative, affettive e di relazione più adeguate ad affrontarlo. La decisione di usare farmaci, dopo un’attenta valutazione medica e neuropsichiatrica, si basa sulla severità dei sintomi, sul consenso dei genitori e del bambino, sulle capacità del bambino, dei genitori e degli operatori scolastici di gestire i problemi comportamentali, e sui risultati dei precedenti interventi terapeutici”. Ogni intervento terapeutico per i bambini è accuratamente personalizzato, verificato nella sua efficacia e tollerabilità.
“Le regole per l’utilizzo dei farmaci in bambini ed adolescenti sono definite a livello europeo in maniera rigorosa: tali regole si basano sui risultati di studi clinici rigorosi e vengono costantemente verificate e, se necessario, aggiornate dalle stesse Autorità sanitarie Europee e Nazionali. Ad esempio, In Italia l’uso di alcuni farmaci, quali quelli utilizzati nei casi molto gravi di disturbo da deficit attentivo con iperattività (ADHD), viene costantemente monitorato mediante un registro, gestito dall’ Istituto Superiore di Sanità , che raccoglie tutte le informazione cliniche sui bambini che assumono tali farmaci. Ovviamente anche in questo caso viene garantita la privacy del singolo bambino/ragazzo: la prescrizione della terapia viene iniziata dopo aver ottenuto il consenso informato scritto dei genitori e l’assenso scritto del Bambino/Adolescente, e dopo aver trasformato i dati personali del paziente in codici. Il registro rileva possibili effetti indesiderati in tutti i bambini, ma solo il medico curante può risalire all’identità del singolo paziente. Diverse regioni italiane, inclusa la Sardegna, stanno mettendo a punto simili registri anche per altri farmaci utilizzati in bambini ed adolescenti”.

Un ringraziamento personale per il supporto e la collaborazione va a Carmen Puddu, pedagogista clinica.

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