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I dati sullo spopolamento in Sardegna sono seri e a tratti sconsolanti: si dice che le Isole delle Baleari e Cipro supereranno gli abitanti della nostra (fonti SSEO), che circa trenta paesi moriranno nei prossimi sessanta anni.

Più che sconforto, prospettive di questo tipo dovrebbero offrire uno stimolo per andare avanti, soprattutto a quei paesi del Centro Sardegna dove lo spopolamento ha un grosso peso, ma che allo stesso tempo possiedono, anche grazie alla forte tradizione orale, quella capacità unica di conservare la memoria. A dimostrare che tutto è possibile a partire dalle cosiddette periferie c’è Mapp.Arte, un progetto di protagonismo giovanile e cittadinanza attiva promosso dall’associazione di promozione sociale Abbicultura, formata da giovani che hanno deciso di vivere nel Centro Sardegna dopo essere stati a lungo in grandi città estere o italiane. Mapp.arte si basa su un assunto molto elementare: quello di guardarsi attorno e alle spalle per trovare le risposte verso un futuro più luminoso. Sperimentato per la prima volta a Belvì nel 2016, il progetto è stato replicato ad Aritzo nei quattro mesi scorsi, finanziato dal Comune, con la collaborazione del Comitato Giovani della Commissione italiana per l’UNESCO e il patrocinio dell’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna. Coinvolgendo la classe quarta dell’Istituto Tecnico Commerciale “Antonio Maxia” di Aritzo, inserita nel programma di alternanza scuola-lavoro, che si è occupata di elaborazione dei testi e utilizzo di programmi di grafica, e ragazzi dai 10 ai 13 anni, che hanno effettuato le interviste per raccogliere il materiale storico e culturale del paese, si è giunti alla creazione di una mappa partecipata e di un logo di Aritzo.

Ragazzi dell’ITC a lavoro

Oltre che un importante strumento per il marketing territoriale, Mapp.arte vuole essere una spinta verso una nuova interpretazione della propria identità e verso un orientamento professionale futuro più consapevole e in linea con i bisogni del territorio. Obiettivi principali del progetto sono, infatti, la valorizzazione del proprio contesto in una logica di re-invezione creativa delle proprie matrici culturali, la sensibilizzazione dei giovani ad un ruolo attivo e consapevole nella società in cui vivono e il loro avvicinamento alla pubblica amministrazione quale interlocutore fondamentale per la realizzazione delle proprie idee. Come spiega meglio l’ideatrice del progetto, Katerina Nastopoulou, esperta di teatro sociale, il senso di Mapp.Arte va oltre la creazione di una mappa turistica: <Occorre acquisire una profonda consapevolezza delle risorse e dei limiti, avere uno sguardo nuovo verso i piccoli universi del Centro Sardegna, partendo da quello che c’è ed è esistito, per giungere a un cambiamento che qui è più che mai necessario. Anche se Mapp.Arte è rivolto a tutta la popolazione, abbiamo scelto i più giovani come destinatari diretti perché il futuro di questi paesi è nelle loro mani. La creazione della mappa è uno strumento, ma non il fine ultimo del progetto, che vuole piuttosto ispirare in loro rispetto e bellezza per ciò che hanno e che spesso viene drasticamente riassunto in frasi come “qui non c’è niente”>. Sulla stessa linea l’architetto ed esperto di comunicazione visiva Fabrizio Felici, ideatore e grafico del progetto, che con un assioma universale riassume il valore di Mapp.Arte, mostrando possibili scenari che vanno in controtendenza allo spopolamento e alla crisi dei borghi dell’interno: <Ogni importante processo di conoscenza che, come Mapp.Arte, ambisce al recupero dell’identità deve necessariamente partire dall’uomo e dalle relazioni che esso crea con lo spazio circostante. Usanze, tradizioni, consuetudini possono svelare un universo di simboli e indicare la via verso un progetto comune per garantire alle prossime generazioni delle scelte responsabili e rispettose di una memoria sulle fondamenta della quale è possibile costruire la modernità>.

Uno scatto da Mapp.Arte a Belvì

Le risposte per una Sardegna più popolosa sono qui, sono adesso: nascono dalla conoscenza di se stessi, dalla storia, dalla riscoperta della propria identità, perché è dal passato che si eredita la responsabilità di perpetuare la grandezza. Ad esempio, se è vero che l’economia aritzese spaziava fino alle città regie, che l’arte del legno era innata e fiorente (i paesi vicini non erano da meno), emerge subito che nei piccoli centri della Sardegna non c’è niente da abbandonare. Per costruire un futuro nuovo, rispettoso della propria storia, occorre poi lavorare sul presente, acquisendo competenze e professionalità che mancano al territorio. Solo così si può nutrire questa terra di linfa vitale, affinché diventi fertile e foriera dello sviluppo delle capacità ed energie di cui solo i più giovani sono dotati.

Daniela Melis