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Sa cuchina minore no timet su fuste

(La cucina povera fa ricca la casa)

Da diversi anni, studiosi, ricercatori e mass media sono impegnati nella promozione del cosiddetto “cibo locale”, in quella che potremmo definire quasi una controriforma alimentare. Allo stesso modo sempre più numerosi sono i convegni, i seminari, gli stand promossi e organizzati con l’obiettivo di spingere il “mangiare geografico”, far conoscere la bontà del territorio, indurre i consumatori, anche attraverso autorevoli consigli, alla conoscenza del cibo sano.

In questo ambito un valido contributo è giunto dai risultati degli scienziati italiani e stranieri impegnati a stabilire i segreti della longevità che pare caratterizzare in particolare alcune aree specifiche del pianeta, denominate blue zones o cold spot, cioè punti freddi, in cui non solo non si manifesterebbero alcune patologie diffuse presso le aree urbane dell’occidente industrializzato (diabete, obesità, malattie cardiovascolari, depressione), ma si vivrebbe più a lungo e in buona salute. In queste aree sono stati registrati degli elementi in comune che avrebbero a che fare con lo stile di vita e lo stile alimentare. Non si tratterebbe, quindi, di qualità genetiche innate (non solo di queste, quantomeno), ma di vere e proprie abitudini di vita. Diversamente da altri gruppi umani, infatti, queste popolazioni si alimenterebbero con prodotti autoctoni e rispetterebbero le ricette tradizionali legate al loro territorio di appartenenza. Tra le popolazioni, perciò, sarebbero le diete indigene più che specifici tratti genetici a giocare un ruolo decisivo nelle differenze in termini di longevità e salute.

Tuttavia, il dato più interessante, che “screditerebbe” ulteriormente l’ipotesi dell’esistenza di specificità genetiche attribuibili ai gruppi oggetto delle ricerche, è che gli effetti benefici delle diete indigene si esprimerebbero in buona parte e con un certo margine di successo anche in coloro che le seguono a prescindere dalla loro estrazione etnica.

E’ “l’effetto giungla”, fenomeno così definito dalla studiosa americana Daphne Miller, docente di Medicina Integrativa e Nutrizione dell’Università della California, San Francisco. Secondo la Miller si tratterebbe di un fenomeno complessivo in cui convergono aspetti scientifici, culturali, culinari e spirituali, che non si esprimerebbe da solo, ma sarebbe il prodotto di un determinato ambiente geografico e culturale, della maniera in cui ci si procura il cibo, del modo in cui si cucinano e consumano i pasti. Un fenomeno che, appunto, si ripeterebbe in tutte le aree geografiche in cui l’alimentazione locale si contraddistingue per la forte prevalenza di cibi naturali, autoctoni, e che si manifesterebbe regolarmente nelle blue zones.

La Miller lo definisce “effetto giungla” proprio per rimarcare lo stretto legame che in queste aree sussiste tra buona salute, forma fisica, alimentazione, vita attiva e longevità. A contare, non sarebbe, quindi, solo il profilo genetico, ma neppure i cibi e la maniera in cui li si cucina, se presi singolarmente. Per massimizzare l’impatto dell’effetto giungla bisogna anche saperli mescolare, farne, cioè, il giusto mix. Non basta, infatti, una natura generosa nel fornire buoni prodotti, è necessario che la cultura elabori gli strumenti materiali, sociali e simbolici perché l’individuo possa appropriarsene e sfruttarli nel miglior modo possibile (Mondardini Morelli 2005: 52 ).

Non solo cibo a km zero, dunque, vino, olio e formaggio fatto in casa, né pane impastato alla moda dei nostri antenati; conta anche un certo stile di vita, quello che ancora sussiste, per esempio, anche in alcune aree della Sardegna, dove il tempo, sotto molti aspetti, sembra essersi arrestato. Terra antica la Sardegna ed i suoi abitanti che forti di un DNA tanto antico, sembrano aver sviluppato una caratteristica unica: quella di vivere molto più a lungo di altri popoli nel tempo.

Non è un caso, allora, che proprio la presenza di soggetti longevi e in buona salute, in alcune paesi dell’isola, abbia suscitato, negli ultimi decenni, curiosità e grande interesse da parte della comunità scientifica, anche internazionale.

L’ipotesi di partenza era che ci fosse una “spiegazione genetica” alla longevità, ma gli studi fatti hanno fornito ipotesi diverse, basate in particolare sull’analisi delle abitudini alimentari dei sardi negli ultimi secoli. Il consumo di carne infrequente, ad esempio, legato solo ad occasioni celebrative, l’ampia disponibilità di frutta e verdura fresche e il consumo di legumi (le fave in Sardegna, così come le lenticchie in Grecia, i fagioli in Costa Rica e la soia a Okinawa), hanno contribuito e contribuiscono a far vivere di più e meglio. A contribuire, inoltre, in misura altrettanto o, forse, anche più significativa all’invecchiamento di successo e di lunga durata:  le forme abituali e tradizionali di socializzazione, condivisione e partecipazione alla vita sociale in un ambiente sano e accogliente, privo in gran parte degli stress della vita moderna.

La presenza di anziani così longevi, anche in Sardegna, sembrerebbe più legata a fattori ambientali, socio-economici, antropologici e culturali, tutti elementi che potrebbero rappresentare un modello anche “esportabile” per il miglioramento della salute e dell’aspettativa di vita della popolazione in generale. In Sardegna, infatti, si contano più di 20 centenari ogni 100.000 abitanti, il doppio rispetto alla media mondiale e gli anziani più longevi e ancora in salute risiedono per lo più in Ogliastra, a Villagrande Strisaili in particolare, ed è recente la scoperta di un’altra blue zone nell’isola: Teulada, nel Sulcis, la cui popolazione attualmente è monitorata dal dottor Roberto Pili (presidente della Comunità Mondiale della Longevità), e dal suo gruppo di Medicina Sociale.

A Teulada, gli studiosi avrebbero rilevato un numero di patologie con connessa gravità inferiore alla media e condizioni psico-dinamiche degli anziani eccezionali. Inoltre, se in Ogliastra si registra un tasso di longevità maschile, a Teulada il gender gap verrebbe meno.

La Sardegna, dunque, ancora una volta, ribadirebbe la sua nomea di terra di centenari, allo stesso modo delle altre blue zones naturali, ovvero l’Isola di Ikaria in Grecia, Okinawa in Giappone, la penisola di Nicoya in Costa Rica e il villaggio di Loma Linda nella California meridionale.

Secondo il dottor Pili il segreto della longevità in Sardegna, solo per il 30% sarebbe attribuibile a uno specifico profilo genetico, selezionatosi in enclave dove le popolazioni locali sono rimaste a lungo in relativo isolamento e dove preponderanti sono state le unioni endogamiche. Il restante 70% sarebbe, invece, da attribuirsi ad ambiente, aria, consumo di cibo del territorio ed elementi altri di tipo psico-sociale, come il vivere in comunità che non emarginano gli anziani ma, al contrario, li considerano una risorsa e, in conseguenza di ciò, li accudiscono, fanno tesoro della loro esperienza, li rispettano senza mai vittimizzarli. Un ulteriore fattore determinante per l’invecchiamento felice sarebbe poi da ricercarsi nella sfera spirituale, nella fede e nella profonda aderenza di questi gruppi al culto religioso. Questo, infatti, proprio in queste aree, sosterrebbe gli anziani e li aiuterebbe, nello specifico, a contestualizzare gli eventi negativi della vita, esorcizzandone quegli effetti che potrebbero in molti casi essergli anche fatali. Proprio la fede, infatti, favorirebbe negli anziani le strategie di resilenza, ne rafforzerebbe la capacità di superare eventi traumatici o periodi di difficoltà, consentendogli perfino di uscirne rinforzati e temprati emotivamente e fisicamente.

Potremmo avanzare la definizione di “dieta immateriale” in un ambiente sano e accogliente, caratterizzato da un’alimentazione prevalentemente basata sul cibo del territorio, cucinato tradizionalmente, e da gesti abituali e tradizionali di socializzazione, solidarietà e partecipazione corale e quotidiana alla vita della comunità, una comunità in cui tutti si conoscono, si sostengono e nessuno si sente mai “solo”. Tutti elementi questi capaci di migliorare la qualità della vita e la cui combinazione, nelle blue zones della Sardegna, potrebbe essere la chiave in grado di spiegare l’eccezionale presenza di ultracentenari. Uno stile di vita valido per tutte le fasi della vita, con pochi riscontri in altre aree del pianeta se si escludono i cold spot e perciò, lo ribadiamo ancora, verosimilmente perfino “esportabile” come modello per il miglioramento della salute della popolazione mondiale.

Alla luce di queste considerazioni, allora, è forse probabile che proprio (o anche) in questa positività assoluta del vivere, in cui al reale si riesce ad attribuire un contenuto di positività anche quando le circostanze appaiono avverse o tragiche o fonte di sofferenza e dolore, si nasconda il segreto della ricetta della longevità dei sardi, a prescindere perfino dal DNA, che certamente aiuta, come tanti studi e progetti di ricerca lasciano intendere e da tempo hanno confermato. Tra questi, degno di nota è certamente il Progetto AKeA , acronimo di “A kent’annos”, tradizionale forma augurale sarda che significa “a 100 anni”, il cui oggetto di studio sin dal 1997 sono proprio i centenari sardi. Il progetto è diretto dal professor Luca Deiana, dell’Università di Sassari con la collaborazione del Max Plank Institute for Demographic Research di Rostack in Germania e della Duke University, Nort Carolina, negli Usa.

Lo studio ha consentito di individuare ad oggi oltre 1800 sardi ultracentenari, tra vivi e morti, e di inserirli nell’Archivio di Longevità della Sardegna, con l’obiettivo di comprendervi e riunirvi tutte le persone sarde che hanno superato i 100 anni di età. Proprio grazie al Progetto AKea, nelle aree più interne dell’isola, è stato possibile individuare zone ad alta concentrazione di longevi e stabilire successivamente che il rapporto Uomo/Donna ultracentenari in Sardegna è molto diverso rispetto ad altre aree del pianeta. Infatti se in Italia, o più in generale in Occidente, tale rapporto è di 1 a 4, quando non di 1 a 7, nell’isola esso si attesta al di sotto di 1 a 2, per diventare paritetico nei cold spot, che finiscono per primeggiare nella longevità tout court (Teulada confermerebbe proprio quest ultimo dato).

Per spiegare le ragioni di tale fenomeno, nel corso degli anni, sono state formulate e avanzate varie ipotesi ascrivibili alla qualità della vita o ad un particolare regime alimentare, sebbene gli studiosi coinvolti nel progetto AKea siano più interessati a studiare e ad analizzare il ruolo e l’incidenza che i fattori genetici, in concomitanza con i fattori ambientali, avrebbero rispetto al fenomeno della longevità isolana al fine di poterne svelare il segreto.

In linea generale, da parte della comunità scientifica e dei mass media, continua a registrarsi grande interesse rispetto al fenomeno dei sardi ultracentenari; interesse che continua a crescere in maniera esponenziale. E’, recente, infatti, il tour nell’isola di una missione statunitense organizzata da Dan Buettner, giornalista del National Geographich e promotore della longevità a livello globale, e guidata dai professori Gianni Pes e Alessio Tola dell’Università di Sassari e composta da giornalisti e da una troup televisiva della NBC, tutti ugualmente interessati a indagare ed eventualmente venire a capo dell’ingrediente segreto della longevità dei sardi. L’‘esploratore’ statunitense, al termine dei lavoro, ha riportato in un libro la sua esperienza, mettendo in rilievo l’incidenza, sui sardi longevi, non solo dell’alimentazione (in particolare dei legumi), ma anche l’influenza positiva dei rapporti sociali sulla longevità, migliorando nel complesso la qualità della vita.

Il team, oltre a visitare i comuni ogliastrini in cui si registra la più alta concentrazione di anziani longevi e studiarne da vicino comportamenti, costumi e abitudini di vita con l’obiettivo dichiarato di rilevare ed identificare eventuali legami tra longevità, stile di vita e stile alimentare, ambientale e sociale, ha voluto poi recarsi al Centro di Ricerca sull’Alimentazione dei Centenari di Assemini, i cui studi nell’ambito della Biogerontologia stanno contribuendo in maniera decisiva a definire i protocolli sanitari utili alla prevenzione del decadimento psichico, fisico e sociale nell’anziano e a favorire efficacemente i processi di invecchiamento “attivo”. L’obiettivo, infatti, se da un lato è quello di creare una società longeva, sana e benestante, d’altro canto non può prescindere dal preservare stili di vita salutari. Anche per questo motivo il dottor Pili e la sua equipe hanno creato la Scuola dell’Invecchiamento Attivo, una struttura che insegna ad invecchiare bene, che oltre a fare ricerca, si impegna (unico caso al mondo) ad utilizzare i dati e le conoscenze emerse per soddisfare i bisogni psico-sociali degli anziani, attraverso corsi indirizzati a tutte quelle figure professionali impegnate in settori specifici (socio assistenziale, sanitario, legale, fiscale etc.). Non solo assistenza, tuttavia: scopo ultimo del progetto resta la promozione della salute, fare dell’anziano una risorsa sociale e per invecchiare bene occorre, appunto, una formula intrisa di buone abitudini e caratteristiche di vita che il dottor Pili sintetizza in robusto patrimonio genetico e nell’essere “coerenti” con l’ambiente.

Una questione piuttosto complessa, ancora all’attenzione dei ricercatori” – precisa il dottor Pili intervistato da Veronica Matta su questo giornaleVolendo riassumere la complessità potremmo collegarci al concetto di habitat naturale, che ha un forte valore per gli animali e per le piante e che consente di trovare un giusto equilibrio tra omeostasi ed adattamento all’ambiente. Un’eccessiva richiesta di adattamento all’ambiente può mettere sotto pressione il sistema, senza considerare poi tutti gli aspetti legati alla psiche”. In altre parole, dunque, è estremamente importante ciò di cui ci nutriamo, perché quanto più mangeremo prodotti del nostro territorio di appartenenza, tanto più saremo coerenti con le esigenze del nostro organismo. Questo perché i batteri intestinali, espressione del nostro ambiente che contribuiscono al metabolismo individuale, si sono strutturati attraverso millenni a confrontarsi con gli elementi del territorio. Il compito che l’equipe di studio diretta e coordinata dal dottor Pili si propone è di comprendere i meccanismi che permettono al fisico di invecchiare bene e divulgarne le modalità affinché ciò avvenga. L’obiettivo è quello di scoprire come poter vivere fino a kent’annos in salude come dicevano un tempo i sardi, o come afferma lo stesso dottor Pili, addirittura fino a 125 anni, a patto, però, di modificare, in termini saluto-genici, dieta e stile di vita attraverso lo sport, il movimento e soprattutto rimanendo fortemente legati al nostro territorio di origine, così come hanno fatto i sardi, in particolare nei piccoli centri, al di sotto dei 1000 abitanti. Anche per questo motivo, a breve, nell’isola sarà operativo L’Osservatorio Internazionale della Longevità, un’organizzazione che valuterà e incrocerà i dati in modo da poter superare gli studi specifici. Tra le altre cose sono previste delle sezioni dedicate ad aspetti peculiari come la religiosità, il movimento, l’attività fisica e gli stili di vita. Il dottor Pili, nell’intervista realizzata da Veronica Matta, ci tiene a sottolineare che: “l’Osservatorio nasce dall’esperienza pluriennale della Comunità Mondiale della longevità che ha visto la collaborazione di enti, organismi e ricercatori a livello nazionale ed internazionale. Scopo dell’Osservatorio è promuovere, raccogliere, diffondere ricerche ed interventi nel campo della longevità e dell’invecchiamento attivo. Avvalendosi della collaborazione di ricercatori e studiosi ha anche lo scopo di svolgere direttamente ricerche in questo ambito. Inoltre ha lo scopo si stimolare e sensibilizzare gli stakeholders sull’importanza di ricerche ed interventi di promozione della salute e del benessere delle persone che invecchiano”.

Nell’Isola della qualità della vita, dunque, si vive di più perché si vive meglio, una notizia che ha suscitato notevole clamore anche negli States, dove nel ricco Texas, e più precisamente a Fort Worth, un sindaco, Betsy Price, si è detto pronto a investire 50 milioni di dollari per copiare lo stile di vita dei sardi e campare cent’anni; d’altronde se nella nostra isola ci sono 10 volte più centenari che negli Stati Uniti (in percentuale sulla popolazione residente) ci sarà un perché e non è solo genetico ma legato agli stili di vita. 1

L’obiettivo che si è proposto il sindaco Betsy Price è quello di educare i suoi cittadini a una vita più salutare. Per realizzare questo progetto e carpire i segreti della longevità dei sardi, egli ha perciò puntato l’obiettivo sulla Sardegna (in particolare su Ogliastra e Barbagia) e coinvolto il genetista e divulgatore scientifico Dan Buettner2 del National Geographic, colui che ha guidato il team di esperti nella nostra isola.

La connessione tra longevità e prodotti tipici, natura e stile di vita sarda, tuttavia, non andrebbe sottovalutata anche per un altro motivo: potrebbe, infatti, costituire un trampolino di lancio di sicuro successo per tutte quelle imprese impegnate nel settore agroalimentare e del turismo isolano. Il vero punto di forza dei nostri paesi, del resto, risiede nelle tradizioni e nelle produzioni di qualità che si richiamano alle nozioni di identità e cultura dei luoghi. In questo senso sarebbe auspicabile favorire e incoraggiare tutte quelle forme di strategie collettive di valorizzazione delle risorse locali, che consentano alle economie di comunità non solo di sopravvivere ma di prosperare così da potersi espandere oltre il mercato locale. Bisognerebbe poi trovare il modo di proteggere le economie e le culture locali, i cui know how tradizionali sono indispensabili per la sostenibilità del comparto agricolo; riqualificare le aree rurali affinché tornino ad essere luoghi di benessere e di occupazione giovanile, soprattutto in questi tempi di profonda crisi ambientale, sociale ed economica. Contestualmente andrebbe sviluppato il turismo rurale che proprio dal paesaggio e dal buon cibo trae la sua linfa vitale. Mettere le imprese sarde nelle condizioni di sviluppare adeguatamente le rispettive produzioni supportandole nelle attività del turismo rurale o attraverso forme alternative di sostegno che consentano loro di integrare e implementare il reddito agricolo, farebbe di esse le principali custodi della salvaguardia del paesaggio rurale. Anche in questo modo avremmo, dunque, la possibilità di promuovere la Sardegna come l’isola della vita lunga e felice, in grado di accogliere non solo gli emigrati di ritorno oramai in pensione, ma tutti quei pensionati che qualora lo vogliano possano trascorrere lunghi periodi in Sardegna, fenomeno questo che si tradurrebbe in una risorsa, anche economica, non indifferente.

Che tutto ciò possa essere utilizzato anche in chiave promozionale, sia per esportare i prodotti tipici (la Sardegna, come sappiamo, vanta produzioni di eccellenza), sia per attivare nuovi flussi turistici, lo confermerebbe ulteriormente lo stretto legame che alimentazione e salute intrattengono proprio con il patrimonio identitario delle comunità locali e con le condizioni climatiche di quelle aree in cui si sta studiando il cosiddetto “invecchiamento di successo”.

Va da sé, come nel processo di tutela delle tradizioni e delle identità alimentari locali al fine di valorizzarne la qualità in mercati estremamente competitivi, vada tenuta in considerazione anche la nozione di “innovazione”, elemento importante anch’esso perché consente di introdurre nuovi prodotti pur preservando l’identità, le caratteristiche che rendono un determinato alimento fondamentale per l’economia e il rapporto innegabile e inscindibile con il territorio. Ciò che chiamiamo “tradizione” rappresenta la nostra identità culturale, il nostro passato e proprio riconoscendo il valore della tradizione abbiamo l’opportunità di forgiare il nostro futuro. Dobbiamo, dunque, preservare le nostre tradizioni perché se perdiamo i prodotti e i piatti propri della tradizione rischiamo di perdere la nostra storia e la nostra identità. La tradizione, infatti, tutela le differenze, e di diversità e varietà necessitiamo per esprimere la nostra identità. Tuttavia, contestualmente, si rende necessaria l’innovazione. Tra tradizione e innovazione, quindi, esiste un rapporto di simbiosi: ogni tradizione, infatti, a suo tempo è stata un’innovazione, per cui abbiamo bisogno di innovazioni da trasformare in tradizioni. Ma questo significa che la tradizione può e deve accettare l’innovazione e il mutamento. Infatti, alcuni elementi propri della tradizione vengono conservati, mentre altri possono essere modificati o ad essi se ne aggiungono di nuovi. Questo processo che potremmo definire di ricostruzione, adattamento e reinterpretazione di elementi del passato di una determinata comunità locale, si prefigura come una combinazione di conservazione e innovazione, stabilità e dinamismo che crea un nuovo significato sociale che genera identità (Bessière 1998:27). Spetta, cioè, a noi decidere quali siano le pratiche, le usanze e i valori più adeguati da conservare e tramandare. Tuttavia, nell’accantonare o modificare la tradizione bisogna essere cauti perché i valori del passato rappresentano il nucleo delle pratiche tradizionali da tramandare. L’innovazione in questo senso è di secondaria importanza. In ogni caso è difficile pensare ad una tradizione che non implichi in qualche modo delle pratiche di innovazione (Bilotta 2005: 127).

Alla luce di ciò, affinché il “mangiare geografico” abbia la meglio sul cibo globalizzato, è necessario un costante e grande investimento nella ricerca in ambito agricolo verso tecniche agronomiche e di gestione dell’impresa agricola che consentano di realizzare un modello alimentare sano ma che sia supportato da processi produttivi che non possono certo più essere quelli dell’agricoltura di stampo bucolico, e che sono, invece, improntati ad un giusto mix di tradizione e innovazione capace di garantire produzioni di qualità, in grado di preservare l’autenticità e la genuinità degli alimenti, elementi questi dietro ai quali, abbiamo visto, pare celarsi il segreto della longevità dei sardi.

Fonti Bibliografiche e Sitografice
Bessière J. 1998, Local Development and Heritage: Traditional Food and Cuisine as Tourist Attraction in Rural Areas, in “Sociologia Ruralis”, n. 38.
Buettner D. 2015, The Blue Zones Solution: Eating and Living Like the World’s Healthiest People, ed. National Geographic Society.
Lai F. 2005, Come si costruisce “l’autenticità”. Turismo e consumo di prodotti locali, in L. Rami ceci (a cura di) Turismo e sostenibilità. Risorse locali e promozione turistica come valore, Roma Armando Editore.
Lai F., Bilotta C. 2005, La produzione della località: paesaggi e percorsi del cibo, in Mondardini Morelli G.,(a cura di) La produzione della località. Saperi, pratiche e politiche del territorio, Cagliari, Cuec.
Marigliano V. 2007, La longevità tra genetica ed ambiente, in Atti del 2° Congresso Nazionale della Federazione Italiana Medicina Geriatria. Ed. Cesi-Roma.
Marigliano, V. et al. 2007, “Invecchiamento e longevità”, Manuale Breve di Geriatria, Casa Editrice Universo.
Miller D. 2009, The Jungle Effect: A Doctor Discovers the Healthiest Diets from Around the World – Why They Work and How to Bring Them Home, Collins Living.
Mondardini Morelli G. 2005, Un territorio e una risorsa locale: il caso della promozione vitivinicola in Planargia, in Mondardini Morelli G.,(a cura di) La produzione della località. Saperi, pratiche e politiche del territorio, Cagliari, Cuec.
Pes G., Poulain M. 2014, (a cura di), Longevità e identità in Sardegna. L’identificazione della “Zona Blu” dei centenari in Ogliastra, Milano, Franco Angeli Edizioni.
Rubiu G. 2014, A cent’annos e cun bona salude. Abitudini alimentari e stile di vita a Villagrande Strisaili in Ogliastra, Taphros.
Trichopoulou A. et al. 2005, Modified Mediterranean diet and survival: EPIC-erderly prospective cohort study. BMJ

 

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http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/scienze/effetto-giungla/effetto-giungla/effetto-giungla.html
http://www.corriere.it/cronache/12_agosto_21/i-piu-anziani-del-mondo-pinna_db72db4c-eb51-11e1-86c1-4eb4011ad571.shtml
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http://www.ansa.it/terraegusto/notizie/rubriche/salute/2015/02/05/ad-assemini-il-menu-della-longevita_7bcd04a3-e24c-4859-ade8-870245003cbb.html
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http://it.opinionspost.com/il-mistero-della-longevita-sardegna/
http://aemmedi.sezioniregionali.it/sardegna/articoli.asp?IDArticle=987
http://www.localgenius.eu/cibo-salute-e-longevit-iniziativa-della-regione-sardegna-a-expo-milano-11180.htm
http://www.sardiniapost.it/cronaca/sardegna-lisola-della-qualita-della-vita-e-la-certezza-degli-studiosi-americani/
http://www.lestradedelvino.com/articoli/il-segreto-della-longevita-dei-sardi-per-gli-statunitensi-e-il-cibo/
http://www.labarbagia.net/notizie/attualita/6484/oniferi-e-i-suoi-centenari-nel-mirino-dei-media-russi
http://www.labarbagia.net/notizie/attualita/6533/lo-studio-sulla-genetica-dei-sardi-cosi-longevi
http://www.regione.sardegna.it/j/v/491?s=267564&v=2&c=27&t=1
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The Italian island of Sardinia produces more hundred year old men than anywhere else on earth. Now, the mayor of Fort Worth, Texas, is trying to replicate their learnings by giving her city a $50 million makeover aimed at healthy living. NBC’s Cynthia McFadden reports tonight.
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Il lavoro di incoraggiamento ai cittadini per un“cambiamento dello stile di vita” è già stato avviato e Fort Worth, 800 mila abitanti, nell’esperimento del suo Sindaco ci crede. “Quando partecipa un’intera Comunità – ha detto Betsy Price– dagli uffici alle scuole, dai ristoranti alle botteghe, i piccoli cambiamenti contribuiscono a creare un grande beneficio per tutti noi: costi sanitari più ridotti, maggiore produttività e, infine, una migliore qualità della vita”.

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