osservatorio patrimonio culturale privato italiano
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È stato presentato presso il Salone Spadolini del Ministero della Cultura il II Rapporto dell’Osservatorio del Patrimonio Culturale Privato, fonte di riferimento per la corretta definizione del ruolo economico, culturale e sociale del sistema degli immobili privati di interesse storico-artistico in Italia. Realizzato dalla Fondazione Bruno Visentini, l’Osservatorio è promosso dall’Associazione Dimore Storiche Italiane, Confagricoltura e Confedilizia, nell’auspicio di supportare le istituzioni nella definizione delle politiche da adottare per rilanciare il patrimonio culturale privato, che costituisce circa il 17% del totale secondo l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione: una quota imprescindibile per attuare una seria politica di valorizzazione di una risorsa che, prima della pandemia, accoglieva 45 milioni di visitatori l’anno (contro i 49 milioni dei musei pubblici) nelle sue oltre 9400 dimore aperte al pubblico.

Alcuni dati:

  • 37.708 i beni culturali privati in Italia. Il 28% nei comuni sotto i 5.000 abitanti, il 26% tra i 5.000 e i 20.000, il 15% tra i 20.000 e i 60.000, il 31% nei comuni oltre i 60.000 abitanti;
  • Il 31,3% si trova in aree periurbane o al di fuori dai centri abitati;
  • Rispetto al 2017, cala da 1,5 miliardi a 1,3 miliardi la spesa complessiva per interventi manutentivi. A incidere il -37% delle spese ordinarie, scese in media da 24.600 euro a 21.100 euro per immobile;
  • Il 38% delle imprese nelle dimore dichiara di trovare difficoltà nel reperire artigiani e restauratori.

Se nella prima edizione si è approfondita la natura della rete delle dimore storiche e l’impatto economico che il covid ha avuto sulle attività al loro interno, scopo dello studio di quest’anno è stato soprattutto quello di indagare i costi di manutenzione e le tipologie di lavoro che esse generano.

Aumenta il numero di dimore rilevate, grazie al progressivo censimento in atto da parte dell’ICCD, che risulta oggi pari a 37.708 (dati di Vincoli in rete). Si tratta di case storiche, palazzi, ville, castelli e torri che configurano una rete diffusa su tutto il territorio nazionale. Il 28% di tali dimore si trova addirittura in comuni sotto i 5.000 abitanti, costituendo spesso per i piccoli borghi e i luoghi più periferici del Paese il principale volano di attrazione turistica, culturale e sociale, con una ricaduta positiva sull’economia locale. Oltre la metà (54%) risiede comunque in comuni sotto i 20.000 abitanti ed il 31,3% si trova in aree periurbane o al di fuori dei centri abitati. Si tratta di un patrimonio vasto ed eterogeneo, collocato tanto nelle metropoli quanto nei piccoli centri, comprese le valli e le montagne del nostro Paese.

Il focus sulle attività di manutenzione è stato uno dei principali oggetti del II Rapporto. Il dato più sorprendente è il -37% delle spese complessive per interventi ordinari rispetto al 2017, passate da una media di 24.600 euro per immobile a 21.100 euro, con una contestuale contrazione dei beni culturali privati interessati a questi tipi di opere (da 28.000 a 20.500): numeri allarmanti, giacché la loro periodica manutenzione è la migliore garanzia di conservazione per le prossime generazioni. A tenere sono invece le spese straordinarie (+4,8%), spesso improcrastinabili o forse nell’ultimo anno stimolate dal “Bonus facciate”: un’iniziativa lodevole e da prorogare. Il dato che emerge, comunque, è che la spesa complessiva scende da 1,5 miliardi di euro a 1,3 miliardi.

Per quanto concerne il mercato del lavoro nelle filiere alimentate dalle dimore storiche, risultano di difficile reperibilità alcune figure professionali, a causa del ridotto numero dei candidati o di una generalizzata inadeguatezza a ricoprire ruoli specifici. Su tutti, rileva che circa il 38% delle imprese dichiara di trovare difficoltà nel trovare restauratori o artigiani: il livello di conoscenza della materia e quello della professionalità richiesto, infatti, è spesso insufficiente.

Un’ulteriore analisi è stata quella condotta sullo spopolamento dei piccoli borghi, trend presente già nell’indagine 2020 dell’OPCP. Ebbene quest’anno, nelle tre regioni campione (Toscana, Veneto e Puglia), è stata introdotta la variabile dei “cittadini stranieri residenti in Italia”, i quali effettivamente compensano il trend negativo di chi ha deciso di abbandonare i piccoli territori.

“Le dimore storiche rappresentano gran parte del patrimonio diffuso su tutto il territorio”, ha affermato il Sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni. “Nel PNRR è previsto un miliardo di euro per la valorizzazione delle nostre bellezze storico-artistiche e per il rilancio dei tanti piccoli borghi italiani, che offrono un enorme potenziale per l’economia del nostro Paese. In particolare, per valorizzare l’identità dei luoghi – dai parchi ai giardini storici – abbiamo previsto un investimento di 300 milioni di euro, mentre per la tutela e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale sono destinati 655 milioni di euro, di cui 645 per interventi effettuati da soggetti privati. Crediamo importante quindi investire sui borghi e realtà rurali, collaborando in maniera trasversale con il Ministero dell’Agricoltura e del Turismo per il rilancio degli stessi, trasformandoli in attrattori, e anche con le Film Commission, come strategia di rilancio, per potenziare il cineturismo delle aree interne”.

“L’Osservatorio del Patrimonio Culturale Privato ha ampliato la propria area di indagine, approfondendo quest’anno tematiche che auspichiamo possano aiutare le istituzioni a comprendere cosa può significare dal punto di vista culturale, sociale ed anche economico una concreta politica su tale patrimonio”, ha affermato Giacomo di Thiene, presidente dell’Associazione Dimore Storiche Italiane. “Il Rapporto dimostra come la crisi generata dal covid e un sistema fiscale complesso abbiano diminuito gli interventi manutentivi sugli immobili. Un dato preoccupante, vista la centralità che tali beni costituiscono per il nostro Paese sia dal punto di vista culturale sia da quello dello sviluppo economico sostenibile. Ricordo che ogni euro investito nelle dimore storiche determina benefici più che doppi per l’economia dei luoghi nei quali sorgono, concorrendo alla valorizzazione di un patrimonio identitario che tutto il mondo ci riconosce, sul quale possiamo e dovremo continuare a primeggiare. Per farlo serve una politica ben più concreta di quella fino ad oggi messa in campo, oltre ad azioni che agiscano anche nel medio e lungo periodo per stimolare la formazione di maestranze che stanno scomparendo, creando occupazione per i tanti giovani che si stanno laureando nelle facoltà di gestione dei beni culturali. Basterebbe davvero poco: se si considera che il patrimonio privato costituisce il 2 per mille dell’intero patrimonio immobiliare, è evidente la ridotta incidenza economica di qualsiasi iniziativa in questo settore rispetto al bilancio dello stato, dando così concreta attuazione agli articoli 9 e 118 della Costituzione”.

“Dall’universo di poco più di 17mila beni immobili culturali privati dello scorso anno, nel nuovo Rapporto le nostre stime sono ora proiettate su un universo di oltre 37mila dimore storiche. Da una parte, si tratta di un aggiornamento sul dataset Vincoli in Rete dei beni vincolati per le medesime tipologie di beni dello scorso anno, dall’altra di una mappatura maggiormente approfondita di altre tipologie di bene. Tra le 46 tipologie analizzate, a pesare sul nuovo universo sono in particolare le case storiche e i beni classificati nell’insieme rurale. Una conferma della natura variegata del patrimonio storico culturale italiano”, ha sostenuto Alessandro Laterza, presidente della Fondazione Bruno Visentini.

“Promuovere i territori, moltissimi quelli rurali, dove sono presenti dimore storiche, agriturismi e testimonianze memorabili ed artistiche non c’è dubbio che sia un importante volano per l’economia del post-pandemia. Numerosi sono gli agriturismi e le aziende vitivinicole, collocati proprio in queste splendide location. In questo secondo rapporto, nato dalla collaborazione con l’ADSI, la Fondazione Bruno Visentini e Confedilizia, emergono però alcune criticità che vanno assolutamente risolte. Ville, castelli, parchi, giardini e tenute agricole, con il loro charme e la loro bellezza, costituiscono una spinta importante per l’economia, ma conservarli diventa sempre più difficile e costoso, soprattutto se lontani dai centri abitati più importanti. Se, però – ha rimarcato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura – è calata la spesa per la manutenzione di questi edifici storici e, contemporaneamente, come ha evidenziato l’Osservatorio, non è facile reperire figure per restaurarli, mentre si assiste allo spopolamento da parte degli italiani dei piccoli borghi, qualcosa non quadra. E’ necessario correre subito ai ripari, non con interventi spot, ma guardando lontano. Va sostenuto e promosso, attraverso misure dedicate, questo patrimonio che, pur ancora inespresso, già ospita 45 milioni di visitatori. Servono, anche attraverso il PNRR, investimenti ad hoc che realizzino la banda larga e l’ammodernamento delle infrastrutture. Il fascino delle nostre dimore, delle nostre campagne e la bontà dei nostri prodotti, uniti alla facilità di connessione contribuiranno a creare, sul territorio, veri e propri poli di attrazione e di sviluppo”.

“Il Rapporto di quest’anno dimostra, ancora una volta, ciò che in tanti ignorano o fingono di ignorare: e cioè che il patrimonio immobiliare privato muove l’economia, crea sviluppo, fa crescere l’occupazione. A patto, naturalmente, che non venga ostacolato da una legislazione eccessivamente vincolistica e da una tassazione troppo elevata”, ha dichiarato Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. “Ma il Rapporto fornisce altre utili indicazioni. Significativi, ad esempio, sono i dati relativi al crollo degli interventi di manutenzione ordinaria sulle dimore storiche, a maggior ragione preoccupanti in un momento in cui il Governo sembra orientato a una drastica riduzione degli incentivi fiscali per gli interventi edilizi. In questo quadro, la riforma fiscale in via di formalizzazione presenta ulteriori elementi di sfiducia per l’intero comparto immobiliare, sia per via dell’annunciata revisione del catasto in senso patrimoniale sia per un’eccessiva genericità del proposito di ‘riordino’ di deduzioni e detrazioni fiscali. Quanto ai borghi, torniamo a lanciare l’allarme: una tale ricchezza non si preserva con iniziative estemporanee, ma con un’attenzione continua e concreta. Confidiamo, da questo punto di vista, nel Pnrr e rilanciamo anche la nostra proposta di esentare dall’Imu per almeno un triennio gli immobili situati nei piccoli Comuni”.

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