Carosello
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Dagli anni Cinquanta ad oggi c’è stata un’evoluzione nell’espansione televisiva che ha portato ad un cambiamento dei costumi e delle abitudini degli italiani, dagli adulti ai bambini.

Agli albori c’era un unico canale che trasmetteva in bianco e nero e i programmi erano confinati nelle ore serali. E poiché il monopolio dell’informazione e dell’intrattenimento non aveva concorrenti questo poteva permettersi il lusso di mandare in onda anche programmi educativi o dibattiti noiosi senza doversi preoccupare degli indici di ascolto. La pubblicità ebbe per molto tempo, con Carosello, un suo spazio ben definito. Gli spot di Carosello erano piuttosto ingenui, ricorsivi, per lo più umoristici e per questo piacevano molto ai bambini, per i quali questa trasmissione era un programma vero e proprio, una sorta di rito serale che segnava il momento di andare a dormire.

Inoltre i ritmi di Carosello, come di altre trasmissioni, erano lenti rispetto a quelli attuali: uno spot di Carosello, ad esempio, durava circa due minuti, non 12-15 secondi come quelli che vengono mandati in onda oggi nei programmi per ragazzi e si considerava scorretta un’inquadratura che durasse meno di 5 secondi perché il susseguirsi troppo veloce di immagini avrebbe creato, si diceva, il cosiddetto “effetto subliminale”, una raffica di stimoli visivi e sonori che il cervello, non avendo il tempo di decodificare, si limita ad includere. I programmi per l’infanzia di questa tv bambina furono le avventure di Lessie, Rin Tin Tin, Lancillotto, Zorro, Il circolo dei castori, Chissà chi lo sa, lo Zecchino d’Oro, fiabe interpretate da pupazzi come Topo Gigio, film di avventure e buoni sentimenti, più svariate trasmissioni informative e didattiche.

L’impostazione di questi programmi era moraleggiante e l’obiettivo di educare, divertendo, era sempre presente. E’ da quando nasce Carosello, nel febbraio 1957, che la televisione passa da oggetto di consumo occasionale, collettivo e ancora molto limitato, ad un ascolto domestico di massa, ed è per questo che era utile sfruttare la crescente popolarità del mezzo per inserirvi delle pubblicità. Affinché la pubblicità fosse contenuta nelle forme più convenienti per non recare pregiudizio alla bontà dei programmi, la struttura di Carosello rispondeva a delle regole molto rigide.

La prima regola era quella della separazione della parte di spettacolo, detta “spezzone” e la parte propriamente pubblicitaria, il “codino”. Nella parte di spettacolo, che inizialmente durava 1’ e 45’’, non si poteva in nessun modo far riferimento al prodotto reclamizzato; il codino durava 30’’ ed era lì che si doveva concentrare il comunicato pubblicitario. Un’altra regola fondamentale era che nessun pezzo poteva andare in onda per più di una volta. Un’altra serie di norme, di carattere etico, imponeva che fossero escluse opere che includessero la disonestà, il vizio, il delitto in maniera atta a suscitare compiacenza o imitazione, o che risultassero volutamente volgari o truci.

Il fatto che Carosello abbia coinvolto milioni di bambini è uno degli aspetti più interessanti del programma e forse quello che ha avuto effetti più duraturi. La pubblicità televisiva, da sola, non avrebbe avuto la capacità di incidere in modo così profondo sulla cultura giovanile; Carosello ha potuto farlo perché, con il benessere, cambiavano i modelli educativi, aumentavano gli stimoli culturali, si sviluppava una nuova attenzione al mondo dei bambini, visti non più come adulti in miniatura ma come soggetti autonomi.

Lo sviluppo economico e sociale che in altri Paesi si era sviluppato molto tempo prima, in Italia ha coinciso con lo sviluppo della pubblicità televisiva e con quella particolare forma di pubblicità che ha rappresentato Carosello. Attraverso gli spettacoli serali si è sviluppata in quegli anni una cultura comune di giovani, distinta e autonoma da quella degli adulti, proposta ad un’intera generazione attraverso il mezzo televisivo. Carosello, accomunando consumi e slogan cantati in coro dai bambini, ha prodotto un linguaggio generazionale, ha indotto una spinta a chiedere una maggiore libertà di comportamento, una maggiore autonomia intellettuale, il bisogno di cercare nuovi valori di riferimento, più consoni alla dimensione della cultura di massa. Carosello ha anche inaugurato un nuovo modello educativo, un modo di confrontarsi con l’infanzia che probabilmente la maggioranza dei genitori italiani ha più subito che scelto, spesso senza rendersi conto che questo significava lo sviluppo di una prima base culturale interclassista.

La storia della tv dei ragazzi coincide in Italia, quindi, con la storia stessa della televisione. Un’analisi della programmazione per bambini e ragazzi dal 1954 ad oggi induce ad una sistematizzazione per stadi. Si colgono infatti, nel corso degli anni, delle omogeneità sia a livello di contenuti di programmi che di politiche sottese ad essi, che rendono possibile una articolazione per fasi.

Una prima fase comprende la programmazione dall’inizio fino alla riforma del 1975. Quando il 3 Gennaio 1954 iniziò ufficialmente la programmazione televisiva italiana, iniziò anche la tv dei ragazzi. La Rai, nata con lo spirito di educare, informare, divertire, ha dedicato per molti anni un’attenzione particolare al pubblico dei più piccoli. La finalità educativa e formativa trova la sua ragione d’essere nel ruolo sociologizzante delle giovani generazioni. L’impegno in questo senso ha fatto perno su alcuni criteri fondamentali che hanno caratterizzato la programmazione per un ventennio: l’articolazione dei programmi per fasce d’età e per sesso sono i punti chiave di questa politica. Lo scopo era quello di ottenere una consistente aderenza delle trasmissioni rispetto ai bisogni e ai problemi di ogni fase dello sviluppo della personalità.

Il palinsesto della tv dei ragazzi si basava su appuntamenti settimanali e tutta la programmazione era suddivisa in tre grandi blocchi: i programmi di tipo divulgativo didattico, i programmi di fiabe, marionette, burattini, dedicati ai più piccoli, i programmi come i telefilms, documentari, cartoni animati importati dall’estero, rivolti sia ai bambini che alle bambine.
Ai bambini più piccoli veniva proposto un universo fantastico-fiabesco, a quelli più grandi si fornivano nozioni con intenti educativi anche nei programmi di giochi e di intrattenimento. La tv dei ragazzi cominciò a cambiare verso la fine degli anni ’60. Mentre il settore giovani, in tutta la prima fase, era stato equiparato al settore degli adulti, a partire dalla riforma del ’69 fu definita una specificità all’interno della direzione culturale e si delineò subito una programmazione orientata su due grandi binari.

Da un lato la tv per ragazzi continuò nella sua peculiarità soprattutto rivolta al pubblico dei più piccoli. Dall’altra si impose una programmazione finalizzata ad un’audience più vasta: fu l’avvento dei programmi per famiglie. La via prescelta fu quindi quella di impegnarsi su programmi più adatti a tutti rinunciando così più o meno esplicitamente ad assolvere a quella funzione educatrice fino ad allora perseguita.

Agli inizi degli anni ’70 iniziarono le programmazioni di televisioni private via cavo dichiarate incostituzionali nel ’74. Nacquero allora emittenti via etere sia radio che televisive che vissero tra alterne vicende di sequestri e dissequestri fino al ’76, quando vennero dichiarate legittime. La Rai cominciò così a muovere i suoi primi passi nella riforma quando perse il proprio monopolio. Le emittenti private erano animate agli inizi da interessi commerciali ma anche politici. Individuarono subito gli spazi liberi pomeridiani e si proposero di intrattenere il pubblico dei più giovani. All’interno della Rai si assistette ad una tensione creativa ed un conseguente mutamento di programmi. Ma già alla fine degli anni ’70 la concorrenza era un elemento forte e certamente è stato proprio attraverso il pubblico infantile che i network privati si sono impadroniti all’inizio di ampissimi spazi di audience. Negli anni la Rai ha contratto la propria attenzione nei confronti dell’utenza più giovane.

La concorrenza commerciale per definizione considera lo spettatore – adulto o bambino – target della pubblicità, con l’effetto di annullare quella distanza pedagogica che consente di impostare ed elaborare un discorso educativo. L’offerta multirete coincide con l’esplosione dei cartoni americani e giapponesi, prodotti e progettati per la televisione, che introducono la serialità e la stereotipizzazione dei modelli narrativi. A livello di programmazione non vengono più operate, come in passato, scelte organiche ben assortite, perché obiettivo dominante dei programmatori è occupare una fascia oraria con programmi-contenitore. Flusso continuo e complicità sono le strategie comunicativo-produttive adottate, in modo del tutto esplicito e spregiudicato, dalla televisione commerciale, strategie che segue anche la televisione di Stato per cercare di reggere la concorrenza di quelle private.

Bibliografia
D’Amato Marina, Per amore, per gioco, per forza … televisione dei bambini e dei ragazzi: storia e analisi, Roma, 1988, ed. VQPT/ERI.
Dorfles Piero, Carosello, Bologna, 1998, Il Mulino.
Oliviero Ferraris Anna, Tv per un figlio, Bari, 2004, Editori Laterza.

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