Incertezza
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Sono nervoso, non capisco, faccio fatica, mi sento fuori posto. Osservo la carta d’identità, ne leggo i dati… rifletto. M’identifica e realizza all’interno di un contesto conosciuto e riconosciuto, mi dice che sono qualcuno e qualcosa, che ho un significato. Mi hanno detto che sono schedato, etichettato, spiato, prosciugato, grazie a questo pezzo di carta.

Bastano questi pochi dati per sapere tutto di me. Li inseriscono in un computer che si collega ad un computer ancora più grande il quale si collega a tanti altri computer grandi e tirano fuori ogni cosa che mi riguarda. Soldi, debiti, prestiti, proprietà, famiglia, amici, lavoro, reati. Non gli sfugge nulla, tutto incrociato. Mi hanno detto che è il loro modo per tenere chiunque sotto scacco, sotto costante ricatto sotterraneo. Se giri male te la fanno pagare, subito, nei modi e nei tempi che decidono loro. Una carta d’identità e sei schiavo del sistema dicono. Stanno nelle stanze del potere e tirano le fila, fanno quello che vogliono e noi dobbiamo subire. Decidono tutto, sostengono. Conoscono e pilotano i miei gusti, decidono il mercato, cosa deve avere successo e cosa deve finire nelle stanze segrete dell’oblio. La libertà è finta, stabiliscono. Tu stai sotto e subisci. Ti lamenti, questo te lo concedono, la facciata è tutto e nessuno deve permettersi di dire che questo è un regime, perciò ti lasciano urlare, tanto non cambia nulla. Sottoscrivono con espressione sardonica.

Mi sento soffocare, mi si strozza il fiato in gola, una pietra ruvida che si incastra nella bocca dell’esofago, mi sale l’ansia e la testa si fa leggera. Decisamente, mi sento fuori posto.
Attorno a me è tutto un criticare, una valanga di odio misto ad invidia verso questo mostro confuso che è la stanza dei bottoni, una massa fuori fuoco utile a scaricare ogni insoddisfazione. Non ce ne stanno più guadagni decenti, questi ladri si mangiano tutto e a noi non lasciano nemmeno il sangue, così è impossibile lavorare. Se non cambiano non ce la facciamo. Il lavoro non faccio che cercarlo ma non si trova niente in giro, tutti chiudono o tagliano dipendenti, soldi non ce ne stanno più e la gente non spende, come si fa in queste condizioni, non è possibile andare avanti. Non mi fanno prestiti, le banche sono buone solo a fottersi i soldi e a fregarci, hanno preso in mano i destini dei paesi, lo fanno sulla nostra pelle.

Vorrei farmi una famiglia ma come faccio se ancora non ho il titolo, io che ho studiato, che mi sono preso una laurea, che ho fatto il tirocinio ma non mi fanno passare l’esame di stato, è tutto pilotato. Come posso costruirmi un futuro se non ho una prospettiva che supera i tre mesi, precario come sono devo sempre sperare in un rinnovo che difficilmente si protrarrà più di un anno. Non si possono più comprare i cibi locali, sono troppo cari, non lo vogliono proprio capire che è finito il tempo di strapagare prodotti di basso livello, invece lo vedi che alla lidl e all’eurospin si compra bene ed è buono, la devono smettere di lucrare sulle nostre tasche, che ormai sono vuote, e non mi vengano a dire che a loro costa di più perché i cibi locali sono fatti qui, mica in germania o in spagna, quindi nemmeno le spese di trasporto devono affrontare eppure pretendono di vendere al triplo, che falliscano così capiscono che devono applicare i prezzi giusti. Maledetti cinesi, sono ovunque, non si fermano mai, sono più delle formiche e cazzo non muoiono, non dormono, non chiudono mai, non hanno una vita, regalano la roba, non fanno scontrini e pagano affitti carissimi, sono lavatrici, non si spiega diversamente, ah se avessi almeno un appartamento da affittare, oh se avessi almeno un appartamento tutto mio, ma come si fa se non ho nemmeno i soldi per arrivare al venti del mese, come si fa, non si può, no è impossibile.

Pure i romeni sono arrivati, sono peggio dei marocchini questi, lavorano dappertutto, fanno i nostri stessi lavori ma per dieci volte di meno, ma sono zingari sono ladri non ti puoi fidare. Devi vederli come sono cattivi, sporchi, alcolizzati e violenti, c’è da avere paura di questi qua, almeno i cinesi non li vedi, pare siano nascosti come ombre occulte della notte, i negri compaiono la mattina e spariscono la sera, ma i romeni li trovi ad ogni ora, fanno paura. Non ti dico gli albanesi, quelli sono anche peggio, drogati e magnaccia, la peggio criminalità. Per forza andiamo a rotoli, qui bisogna fare piazza pulita, bisogna cambiare tutto, prima si stava bene, questi potenti nella bambagia dei privilegi ci hanno svenduto e ridotto in lacrime e sangue, maledetti. Si fanno forza, si alimentano uno con l’altro, si definiscono popolo, si determinano orgogliosi come il motore del paese. Sbando, cerco un appoggio, sarà perché fumo molto, forse che ho dormito poco, sento la nausea che sale, comincio a percepire minute goccioline di sudore formarsi sulla fronte. Inspiro, profondamente… e mi accendo una sigaretta.

Mi hanno chiesto se ho voglia di entrare in politica, se ho voglia di sporcarmi le mani, di impegnarmi per questo luogo che ha bisogno di gente come me, che hanno letto le cose che penso e che scrivo, pensano che sono una persona adatta da mettere in campo, che posso essere aria fresca e novità in un posto che ha bisogno di cambiare e rinnovarsi, in cui è necessario farsi carico dei problemi e avere le idee chiare per risolverli. Sono la persona giusta, mi hanno detto, pensano che posso prendere un sacco di voti, perché ho i titoli e sono un esempio positivo che porta consenso, che ho le capacità di affrontare le problematiche che premono gravemente sulla comunità. Sì, me l’hanno detto davvero, con convinzione. Le elezioni? Tra un mese, non tra un anno o due, ma tra un mese. Il programma? Già fatto. Le riforme? Già decise. Capisco. Quindi io a che cazzo vi servo? Mi hanno osservato come si osserva uno venuto da Plutone. Quindi vi serve una faccia da spendere alla popolazione gli dico io, non vi servono le mie idee, la mia voglia di fare qualcosa per la comunità, vi serve vendervi la mia faccia sui manifesti e usare il mio nome nei vostri comizi, quindi io al vostro servizio e non al servizio della comunità. Oh sì certo ho capito che mi offrite la poltrona e le conoscenze e una sistemazione a vita di cariche di dirigente e ho capito benissimo che vi dovrò essere debitore per tutta la vita, sì l’ho capito benissimo. Non ho accettato, ovviamente… e naturalmente me l’hanno detto che l’avrei pagata cara, che affronto imperdonabile, che avrei avuto bisogno di loro e allora sì che mi sarei ricordato e avrei davvero capito che cosa ho combinato.

Ho guardato la carta d’identità. Poi ho osservato loro. Gli ho messo di fronte il mio documento e mi hanno classificato pressapoco come un demente di cui ridere sotto i baffi, accennando un’inclinazione delle labbra. Questo pezzo di carta è una certificazione del mio essere nel mondo, forse per voi è solo burocrazia o peggio ancora schedatura tipo tratta del bestiame, ma voi avete poco acume e l’ingordigia tipica degli avidi, altrimenti dovrebbe esservi chiaro che il mio essere cittadino è fare politica attiva, in ogni istante del vivere quotidiano. Voi siete il prodotto naturale dei cittadini nella loro globalità, quegli stessi individui che non fanno altro che lamentarsi e imprecare diritti violati, ma che al tempo stesso non hanno rispetto del bene comune e che invece dovrebbe essere più caro del bene personale in quanto non soltanto del sé ma anche al tempo stesso dell’altro da sé e già solo per questo meritevole di maggiore cura e attenzione, di un rispetto superiore, come dire, elevato. Invece ognuno mira al proprio benessere, al proprio piccolo privilegio, al lucro sulla pelle del prossimo, alla conquista del posto di lavoro come marchetta di un voto, debito che si porterà appresso di generazione in generazione. Inutile poi piangere un paese a rotoli se il cittadino ha perso la sua dimensione e ha misconosciuto la propria essenza ed è diventato un mendicante di elemosine, senza rendersi conto che i servizi che pretende e che non riceve sono frutto di ulteriori marchette che qualcuno ha fatto per occupare una sedia senza il minimo merito. Cittadino è riconoscimento dell’altro e considerarlo proprio pari, rispettarlo e non vederlo come qualcosa di esterno da sé ma parte del proprio essere nel mondo.

Questo mi dice la carta d’identità, che ho un dovere quotidiano nei comportamenti e nell’etica, un rendere servizio comune. Mi hanno detto che magnifica utopia, ma penso alla storia d’Italia recente, quella che ha realizzato la repubblica e constato che è stata capace di costruire, con le menti ed il sudore dei suoi cittadini, un paese di ricchezza e vanto nel mondo, ha portato il proprio nome in mille declinazioni, rendendoci il “bel paese”. E allora come può essere utopia ciò che è stato già realizzato e che da possibile è diventato certezza concreta? Allora forse manca solo questo affinché la politica ritorni ad essere nobile arte, che i cittadini riprendano ad essere cittadini, che la smettano di essere individui avidi, lividi in volto, pigri nel pensiero e decrepiti nei muscoli, solitari ricercatori di benessere personale, obliati della storia e senza una visione comune di futuro. La politica alla fine ha bisogno solo di questo, di cittadini, onesti e carichi di volontà.

E ora comincio a stare bene…

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