Mariano Murru
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Intervista di Gaetano Cataldo a Mariano Murru per il numero di mediterranea Il mondo del vino nel Mediterraneo, su Terroir e dintorni

“Il vino è la poesia della terra”, diceva Soldati e l’enologia, aggiungerei, è la metrica di questa millenaria poesia. E’ forse la scienza più passionale ed appassionata, professata con impegno ed amore: amore per il territorio, per la tradizione e la natura. La storia del vino italiano, purtroppo, non è soltanto una storia d’amore e dedizione: l’86 e il metanolo, il Vinitaly del 2008 e, successivamente, Brunellopoli, i pesticidi e lo smaltimento pirata delle acque da reflui enologici ne sono un drammatico esempio. Ma altrettanto scandaloso in Italia è arrivare a pensare che si possa uscire dalla crisi e promuovere il “made in Italy” con i cosiddetti vitigni “migliorativi”, che il costo della qualità del vino sia troppo alto rispetto al costo delle uve impiegate e che il gusto del vino debba essere suggerito da riviste di settore, dalla moda e dalla globalizzazione. Inaccettabile per un Paese, il nostro, che vanta ben oltre 300 varietà viticole da valorizzare e un’antichissima tradizione enoica trasmessaci dai grandi padri della letteratura naturalistica latina con i loro trattati, Sante Lancerio e Francesco Scacchi con le loro esperienze e il messaggio di quanti, come Luigi Veronelli, hanno saputo e sanno “dialogare” col vino. E Mariano Murru, Enologo delle Cantine Argiolas di Serdiana, è uno di loro. Classe del ’69, Sardo, miglior Enologo sardo nel 2009, ricercatore in ambito regionale, nazionale ed internazionale per progetti scientifici, redige articoli per diversi “magazines” di settore. Elegante, rispettoso dei collaboratori…gli piace circuirsi di persone preparate e adora la buona educazione. Potremmo forse sapere dei suoi ultimi viaggi, dei suoi ricordi di giovane studente a Conegliano, oppure qualche aneddoto che lo riconduce alla memoria del compianto “Tziu Antoneddu”, d’altronde è un uomo d’amore, di amore per la sua terra, per la sua famiglia e dedito agli affetti, però non si sbottona facilmente. Basta chiedergli però dei suoi progetti per il futuro per fargli brillare gli occhi e sentirlo parlare con rapimento e passione del suo lavoro. E’ responsabile del progetto “Vinex”: una ricerca ambiziosa dedicata all’innovazione per valorizzare al massimo le componenti aromatiche delle uve, per il recupero dei principi alimentari attraverso le componenti antiossidanti dai sottoprodotti di lavorazione delle uve e per la caratterizzazione dei vitigni tipici; inoltre si sta occupando di ottenere un vino “no alcool” e col progetto “Sulphree”, in cui sono anche altre aziende europee, si sta impegnando ad individuare additivi naturali capaci di sostituire l’uso di anidride solforosa nel vino. Insomma, Mariano Murru e’ uno dei fautori del rinascimento italiano dell’Enologia ed è per questo che Mediterranea gli ha rivolto alcune domande mirate a conoscere il futuro del settore enologico in Italia:

Restituire centralità a natura e territorio sembra l’unica via di salvezza per riqualificare il nostro settore enologico. Cosa suggerisce?

L’Italia possiede un panorama ampelografico ampio e unico ma ancora non pienamente valorizzato. Lo studio più approfondito di questo patrimonio unito al rispetto e alla riscoperta del territorio e delle tradizioni può costituire il valore aggiunto non eguagliabile dai nuovi paesi produttori.

Si direbbe, oggigiorno, che il tema del territorio sia un argomento inflazionato mentre parlare di “biologico” o “biodinamico” una contraddizione in termini: non si usano i lieviti indigeni, le piogge sono acide e si fa largo impiego di pesticidi. E le acque da reflui enologici dove vanno a finire?

Credo che la centralità della natura e del “Terroir” sia una via fondamentale per riqualificare il Bel Paese. Anche le aziende vinicole che fino ad oggi hanno usato sistemi convenzionali, stanno sperimentando nuovi protocolli da utilizzare in campo viticolo al fine di ridurre al minimo l’impatto ambientale; in ambito enologico l’uso della chimica è stato ridotto drasticamente a favore delle bio tecnologie. Dunque in futuro tutte le aziende vinicole, non solo quelle definite biologiche o biodinamiche, saranno più rispettose dell’ambiente e del territorio, in quanto questo fattore è divenuto di grande importanza per tutti. E il progetto “Magis” ne è un esempio.

Quali valori umani e deontologici, quindi, dovrebbero qualificare un enologo? E un enologo italiano?

L’obiettivo dell’enologo del terzo millennio è senza dubbio quello di ridurre sempre di più l’utilizzo di prodotti chimici sia in campagna che in cantina, utilizzando maggiormente sistemi biologici e biotecnologie più rispettose dell’ambiente e del consumatore. L’enologo italiano come già detto, dovrebbe cercare di valorizzare al meglio il patrimonio viticolo disponibile riscoprendone tutte le potenzialità.

Troppi interessi per troppe categorie coinvolte nell’affare vino e intanto, in nome di chi o cosa, si espiantano vigneti da 50 mila euro all’ettaro? Chi dovrebbe tutelare il nostro patrimonio e tracciare le linee guida per il futuro vitivinicolo italiano?

Alcune proposte della Comunità Europea per limitare l’eccedenza vinicola nei mercati ha creato danni incalcolabili sul patrimonio storico e paesaggistico del nostro paese; purtroppo è mancata la sensibilità delle istituzioni nel capire l’importanza sociale e culturale della preservazione del paesaggio viticolo; la Francia ad esempio ha diverse zone viticole inserite nel patrimonio dell’Unesco. L’Italia in questo senso ha ancora, sopratutto in alcune regioni, tanto da fare. In ambito regionale i consorzi di tutela, in collaborazione con gli enti istituzionali, saranno chiamati a fornire le direttive sul futuro della vitivinicoltura. A livello nazionale il Ministero delle Politiche agricole e i Comitati preposti, dei quali fanno parte le associazioni di categoria, dovrebbero concordare ed attuare nel migliore dei modi le direttive che arrivano dalla Comunità Europea, purtroppo non sempre utili ed applicabili in maniera positiva su tutto il territorio.

Alcuni produttori antepongono il loro stesso marchio al territorio e ciò crea, inequivocabilmente, separazione tra loro. Come accordare l’Italia del vino proponendo l’esempio di chi, all’estero, ostenta coesione, spirito di gruppo e identità vinicola nazionale al fine di conseguire risultati comuni ed evitare l’omologazione del prodotto? A proposito, oltre l’Italia, quale paese produttore di vino vede con ammirazione e perché?

Un ruolo fondamentale dovrebbe essere svolto appunto dai consorzi di tutela, che hanno il compito di preservare e promuovere i vini di un determinato territorio nell’interesse dei produttori e dell’intera comunità. All’estero le istituzioni preposte dovrebbero, in collaborazione con i consorzi, offrire un’immagine migliore dell’Italia e dei suoi prodotti, soprattutto in maniera costante e continuativa negli anni. Il prodotto italiano è ancora molto amato nel mondo, si dovrebbe probabilmente proporlo meglio. Il paese al quale guardo sempre con ammirazione è la Francia, perché fa sempre scuola sul concetto di valorizzazione del territorio e di promozione dei propri prodotti con efficacia.

Esistono tutt’oggi le sfumature che un tempo contraddistinguevano la filosofia della scuola enologica italiana dal modello francese, spagnola e del Nuovo Mondo?

Le tecniche viticole ed enologiche innovative si diffondono oggi con maggior facilità rispetto al passato, ma ciò non toglie che soprattutto le regioni viticole del vecchio mondo mantengano un legame molto forte con il territorio ed un’identità ben distinguibile da regione a regione.

La moda sembra indurre a consultare i “wine advocate” di turno e, di conseguenza, “bere” etichette piuttosto che vino. Si tralascia l’interpretazione oggettiva e di ricordare ciò che il vino dovrebbe evocare. Qualcuno però guarda con sospetto al tannino “disciplinato”, ai colori suadenti, ai profumi che troppo in fretta si rivelano… ai vini troppo perfetti insomma. Quale chiave di lettura dovrebbe suggerire l’enologia etica e come dovremmo valutare il vino?

Credo che una corretta enologia debba esaltare le caratteristiche positive del vitigno e del territorio in cui si trovano vigneti importanti, vale a dire esprimere il concetto di “Terroir” molto utilizzato dai nostri cugini francesi e che non è altro che il risultato delle tre componenti: uomo (viticoltore ed enologo)- vitigno – ambiente. Per quanto riguarda i giornalisti di settore, non hanno un giudizio del tutto oggettivo, in quanto subentra inevitabilmente all’assaggio una parte di soggettività legata anche al gusto personale. In ogni caso ho avuto modo di constatare che alcuni giudizi espressi da un noto giornalista, che dirige una delle riviste chiamate in causa, si sono confermati pienamente a distanza di anni, in particolare in termini di longevità. Il vino rosso da lungo invecchiamento deve essere, tra le altre cose, dotato di un ottimo corredo polifenolico sia in termini di quantità che di qualità come dimostrato ampiamente dall’enologia moderna e questo è già un elemento valutativo di per sé. Risulta assai difficile giudicare perfetto un vino, anche per via della soggettività del giudizio. Esistono vini semplici ma allo stesso tempo godibilissimi e, viceversa, dei vini particolari che hanno bisogno di una degustazione e di un abbinamento più attento per evidenziare al massimo le proprie potenzialità. Direi che il tutto va contestualizzato e in ogni caso mi sentirei di dire che il buon vino debba, pur nelle sue svariate espressioni, sempre appassionare. Infine l’etichetta di un produttore di buona qualità, in genere, infonde fiducia nel consumatore grazie alla costanza qualitativa dimostrata negli anni.

Cambiano certi ideali, i costumi del tempo e anche la concezione del bere. Esiste ancora un’analogia del bere il vino oggi rispetto al passato?

Il filo conduttore tra il vino di ieri e quello di oggi potrebbe essere la tradizione di consumare il vino in abbinamento ai pasti, in particolare con la dieta mediterranea. E’ comprovata l’azione positiva dal punto di vista salutistico, dunque il vino non può essere in nessun modo considerato alla stessa stregua dei superalcolici e di altre bevande di cui si fa un uso non corretto.

Però è dal 2003 che le vendite di vino del nuovo mondo sono aumentate, gusto “piallato” e a buon mercato certo, ma con risultati talvolta migliori dei nostri vini in tetrapak. Agli italiani dovrebbe davvero costare tanto la qualità, persino quella “ordinaire”, del vino? Perché i costi del prodotto finale sono così alti rispetto alla materia prima?

L’Europa non può competere con i paesi del Nuovo Mondo sui prezzi di produzione e sui costi del prodotto finito, a causa sopratutto della diversa estensione delle superfici vitate, della quasi assenza di vincoli e del costo molto basso della manodopera. Per questo motivo è importante legare il vino al nostro territorio così ricco di tradizioni e di storia che costituisce il valore aggiunto più prezioso. Per quanto riguarda il prezzo finale sarebbe davvero auspicabile che diminuisse con una migliore organizzazione della vendita; la quota spesa per la distribuzione va ad incidere fortemente sul prezzo finale creando dei danni al consumatore e non certo dei benefici per il produttore.

Cinquecento e più denominazioni in Italia dovrebbero rappresentare un indotto occupazionale sufficiente per i sommelier e ne andremo a formare 10.000 in Cina. Cosa ne pensa?

L’Associazione italiana sommelier svolge un’importante attività di formazione e di educazione al vino e potrebbe, se adeguatamente supportata dagli enti preposti (consorzi di tutela e associazioni di categoria), svolgere questa azione di promozione del territorio e dei prodotti anche all’estero. La corretta educazione al buon bere il vino, unita alla promozione del territorio, è fondamentale per l’introduzione nei nuovi mercati ma chiaramente va supportata da programmi ben articolati e a lungo termine.

A cosa non rinuncerebbe mai l’uomo Mariano Murru e, a cosa, l’enologo?

Ai miei cari e ad alcuni sani principi che contraddistinguono la mia vita; come Enologo non rinuncerei mai a lavorare senza passione.

Da enologo e buon padre di famiglia che consiglio darebbe a un giovane che voglia intraprendere la sua strada?

Gli direi che per ottenere grandi risultati nella vita come in questo mestiere occorrono tanto impegno e tanta passione.

Un modello esemplare che la ha ispirata e un auspicio a chi, come lei, ama il vino…

Apprezzo moltissimo l’operato di Luigi Veronelli: ha riportato il cibo alla sua dimensione “naturale”, ossia fatto dagli uomini per gli uomini. Una dimensione di pensiero che ha ispirato la rinascita dell’enologia di qualità italiana, legata appunto al ritorno al territorio e alla bellezza come valore culturale piuttosto che puramente estetico.
Il desiderio nonché un augurio è quello che il vino sia sempre strumento di gioia.

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