Nutrigenomica
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Articolo di Milena Fadda

Quando si pensa alle recenti scoperte e mappature del DNA umano, tra le prime cose a venire in mente sono miracoli scientifici, quali la cura di malattie genetiche come l’ Alzheimer, il Parkinson o la schizofrenia, ma anche qualche fantomatico sistema per evitare o ritardare l’invecchiamento. La sconfitta più grande della medicina moderna, però è rappresentata dall’allungamento della terza età, a discapito del periodo aureo della giovinezza.
Se si escludono gli accorgimenti estetici, che spesso non sortiscono gli effetti sperati, specie se intrapresi fuori tempo, ossia a decadimento fisico visibilmente inoltrato, le terapie in grado di prevenire le disfunzioni più comuni cui va incontro un organismo non più giovane, sono pochissime.

Una di queste è la terapia chelante, che ha il compito di drenare dall’organismo sostanze nocive quali depositi di sostanze tossiche (anche dovuti ad alimentazione e stile di vita) e residui vari, tra i quali quelli derivanti da fumo di sigaretta. Che cosa previene? Ictus, infarti e disturbi degenerativi quali l’ arteriosclerosi. Certo, non per tutte le tasche: presente in Italia solo da qualche anno, il costo della terapia chelante va dai 150 ai 180 € a perfusione (flebo), se si conta che in genere di flebo ne servono 20-30 per un solo ciclo di terapia, il totale si aggira in media attorno ai 3.500 €. Per chi non si può permettere terapie in grado di espellere in maniera diretta dall’organismo quanto inutile e nocivo, le ultime trovate in campo scientifico riguardano la dieta anti-invecchiamento. Formulata sulle esigenze del richiedente, promette l’innalzamento dei livelli di ormone dhea, responsabile della mobilizzazione dei grassi di deposito (da cui, l’ appellativo di ormone brucia-grassi).

Il dhea e i suoi derivati, (keto-dhea tra tutti) sono una recente scoperta made in USA, commercializzati negli Stati Uniti al pari di semplici integratori alimentari (reperibili senza bisogno di ricetta medica), negli ultimi tempi sono diventati un vero e proprio must-have.
Il dehidroepiandrosterone (dhea, abbreviato), prodotto dalle ghiandole surrenali, ultimamente costituisce un punto cardine nella ricerca anti-invecchiamento, gli esperti del settore indicano, infatti, tra le origini del decadimento cellulare, una produzione sbilanciata di cortisolo e dhea, quest’ultimo non sembra avere controindicazioni gravi, a parte aritmie cardiache, acne, irsutismo (o, al contrario, perdita di capelli, per il fatto che da ormone “precursore” è responsabile sia della produzione di estrogeni, sia di testosterone), alterazioni dell’umore, aumento di peso e ipersudorazione, mal di testa e irregolarità mestruale; tutto ciò se assunto in dosi massicce.

Su vari blog di stampo medico, è possibile informarsi sugli effetti dell’ormone in questione, benefici che avrebbero del miracoloso. Fra gli effetti del DHEA compaiono: l’aumento del desiderio sessuale, del metabolismo basale, della forza fisica, il miglioramento del sistema immunitario, la capacità di prevenzione di osteoporosi, arteriosclerosi e alcuni tipi di neoplasie, riduzione di radicali liberi.
Sfortunatamente, non ci sono studi condotti sulla somministrazione a lungo-termine, per cui, chi lo assume, a tutti gli effetti può considerarsi facente parte di una sperimentazione ancora in essere. Queste le ragioni per le quali i medici ne sconsigliano l’utilizzo prolungato o in dosi superiori a quelle prescritte.

Il Journal of clinical endocrinology and metabolism di Stanford, riportando vari studi sul caso, non ne consiglia la prescrizione, poiché sui test prodotti, non si rilevano benefici tali da giustificare l’uso del farmaco sulle donne in menopausa.
Neanche affidarsi ai cari vecchi Omega 3 e alle vitamine del gruppo B, pare dare i risultati sperati. Si tratta di antiossidanti presenti in commercio da anni e direttamente consumabili in capsule. Inizialmente, li si è testati come prevenzione per i tumori, ma i risultati sul lungo periodo sono ancora prematuri, come fanno sapere dall’università di Parigi, e gli effetti dell’assunzione potrebbero essere persino dannosi.

Insomma, niente da fare, la ricetta per il prolungamento della giovinezza pare essere ancora fuori dalla portata del genere umano. Possibile che la recente mappatura del genoma dia dei risultati in materia, ma il tutto è ancora in stand-by. Dato confermato dai più recenti studi di nutrigenomica che sono giunti all’inaspettata conclusione che mangiare poco e bene allunghi la vita. La vita, sì, ma in ogni caso non la giovinezza. C’è poco da fare, in definitiva, se persino biologi e medici si arrendono: ci attende una vita lunghissima, e una terza età magari da spendere al meglio, magari in salute, ma pur sempre terza età.

1 thought on “Nutrigenomica e ringiovanimento…

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