Elena e Riccardo
Share

La storia che vogliamo raccontare è quella di Riccardo Pittau e Elena Putzolu, marito e moglie, che hanno lasciato la Sardegna per trasferirsi in Francia. Un lavoro come Systems Administrator lui, come Network Supervisor lei. In principio è stata una fuga, ma non dalla disoccupazione come verrebbe spontaneo pensare. Loro un lavoro dignitoso – almeno per gli standard isolani – qui l’avevano. La vera spinta propulsiva ha avuto origine da quel malessere lieve e insidioso di cui si percepisce la reale portata solo quando non lo si avverte più: l’insoddisfazione. Questo è ciò che traspare dalle parole di Riccardo e Elena mentre raccontano dello “strappo al cuore” nel lasciare la Sardegna e della rinascita professionale e personale nella realtà vivace e cosmopolita dell’Île de France.

Cosa vi ha spinto a trasferirvi in Francia?

Riccardo

– La Francia non è stata una vera scelta, nel senso che io ho cominciato a cercare lavoro all’estero e l’offerta migliore è arrivata da una multinazionale americana che ha la sede principale europea vicino a Parigi. Potrei dire cosa mi ha spinto a cercare lavoro all’estero. È stata la necessità di cambiare ambiente lavorativo, avere maggiori opportunità di crescita, ottenere i giusti riconoscimenti. Mi sono allontanato da un posto molto chiuso, il mio ex lavoro in un ente pubblico, in cerca della libertà di espressione, di qualcosa che mi permettesse di sentirmi davvero soddisfatto.

Elena

– La motivazione più grande è stata l’amore per Riccardo, essendosi trasferito in Francia prima di me, quando ancora non eravamo sposati. Il secondo motivo è stato il tarlo di voler andare via dall’Italia. Quando sono stata a Dublino, quattro anni fa, volevo stare lì, perché la sensazione di poter fare molto di più all’estero che in Sardegna era talmente forte da non farmi desiderare altro. Mi sono chiesta: «Come faccio a migliorarmi?». E la risposta spontanea è stata: «Vado via». Quando si sta in Sardegna, pur avendo un lavoro dignitoso, si diventa un po’ pigri e si accettano cose che in realtà non vanno bene. E il fatto che Riccardo abbia trovato un lavoro in Francia ci ha poi permesso di fare il salto.

La vostra scelta ha comportato delle rinunce. Cosa vi manca di più ora che siete lontani dalla vostra terra?

Riccardo

– Il mare. Sembra strano perché io non sono mai stato un grande fan delle spiagge, però ero abituato a fare ogni giorno i miei 20 km su una litoranea per andare al lavoro.
Un’altra cosa che mi manca moltissimo è la vista dei fenicotteri. Sembrano cose sciocche, ma in Francia, fin dal primo giorno di lavoro, mi sono reso conto di quanto mi mancasse vedere queste cose. Lì la vista dal finestrino mi restituisce solo automobili.
E naturalmente sento la mancanza delle persone care, della famiglia e degli amici.

Elena

– La vicinanza delle persone con cui sono cresciuta e che amo. Sono i punti fermi, sono le persone che ho scelto nel tempo e che poi tutto a un tratto non ci sono più. Le ritrovo solo via telefono o via Skype e questo è un po’ destabilizzante. C’è da dire però che andando via in coppia il sacrificio è più facile da sostenere. Le rinunce riguardano maggiormente la mia famiglia e poi la Sardegna perché, dopo esserci cresciuta, andar via è uno strappo al cuore. Questa è una sensazione che non si può descrivere e la sento ogni volta che torno e poi devo ripartire.

E, al contrario, cosa vi entusiasma di più della vostra nuova situazione lavorativa e personale?

Riccardo

– per quanto riguarda il lavoro direi… tutto. Io sono stato molto fortunato: faccio quello che ho sempre desiderato, l’ambiente è splendido, le persone con cui lavoro sono eccezionali. È difficile trovare qualcosa che, nel mio attuale lavoro, non mi entusiasmi: ho l’opportunità di viaggiare praticamente in tutto il mondo, posso crescere professionalmente, le mie idee vengono ascoltate, prese in considerazione e attuate, apportando spesso un cambiamento significativo. Si cresce tanto e tutti insieme, si riesce a dare un contributo importante al team e all’azienda. Il mio è un caso comunque particolare: io lavoro per un’azienda americana, ci sono standard un po’ diversi, idee diverse rispetto alle aziende francesi. Poi lavorare per una multinazionale mi ha permesso di entrare in contatto con persone provenienti da tutto il mondo. Il mio team, ad esempio, è composto da undici persone di dieci nazionalità diverse e questo implica uno scambio continuo.

Dal punto di vista personale le soddisfazioni sono comunque legate al lavoro. Ho conosciuto tante persone, mi posso confrontare con loro dal punto di vista culturale e linguistico. Una cosa molto divertente e istruttiva è il fatto che quasi ogni settimana, durante le nostre riunioni, cerchiamo di imparare una parola o un modo di dire diverso, regione per regione o nazione per nazione.

Elena

– quello che mi entusiasma di più della situazione lavorativa è che posso scegliere. Se non mi piace un lavoro non ho più quel blocco che avevo quando stavo in Sardegna. Il senso di impotenza che mi attanagliava mi faceva sentire imprigionata dentro una scatola priva di aperture. Invece in Francia so di avere un ampio margine di libertà e posso scegliere di cercare un altro lavoro senza avere dubbi sul fatto che lo troverò. Certo, mi devo rimettere in gioco, è una scommessa, posso trovare di meglio o di peggio, ma non ho paura di affrontare tutto questo. Non mi sento più in gabbia, e dal punto di vista professionale è quello che ho sempre desiderato e non ci rinuncerei per niente al mondo. Tra l’altro in Francia ho avuto l’opportunità di cambiare il mio percorso professionale, riuscendo finalmente ad assecondare il mio desiderio di lavorare nelle telecomunicazioni pur senza avere un’esperienza specifica. Mi sono rimessa in gioco e ho avuto la possibilità di imparare cose nuove con tutte quelle garanzie che in Sardegna vengono negate, in primo luogo un contratto a tempo indeterminato.

Dal punto di vista personale la soddisfazione maggiore invece è quella di poter vivere, nel vero senso della parola. La Sardegna è un’isola e questo comporta sentirsi lontani da tutto, mentre prendere un treno da Parigi significa poter raggiungere agevolmente tante altre città europee. Inoltre Parigi è una città cosmopolita, si incontrano persone che arrivano da tutto il mondo, comunichi con loro; questo ti arricchisce e smetti di avere paura delle cose che fino a un attimo prima non facevano parte del tuo mondo. Sono sicura che se un giorno tornerò in Sardegna sarò comunque una persona migliore rispetto a quando sono partita. Questo non significa rinnegare il mio essere sarda, ma semplicemente avere la consapevolezza che questa esperienza all’estero mi sta arricchendo moltissimo.

Con questa intervista vogliamo mettere in luce il valore, umano e professionale, delle persone, la loro capacità di andare avanti e di lottare per raggiungere i propri obiettivi. Dove si trova la motivazione per decidere di rimettersi in gioco in una terra straniera con tutte le difficoltà che questo può comportare?

Riccardo

– Parto un po’ da lontano. Il mio desiderio più grande, da quando ho sentito parlare per la prima volta del Sardinia Radio Telescope, è stato quello di lavorare a quel progetto e ci sono andato molto vicino perché ho lavorato per tre anni all’Osservatorio Astronomico di Cagliari. Eppure ho deciso di andare a fare il mio lavoro da un’altra parte, con la consapevolezza di poter essere davvero apprezzato, sensazione che qui non ho mai provato.

Eppure in Francia non faccio cose diverse da quelle che facevo in Sardegna. Ho continuato a lavorare con lo stesso impegno, con la differenza che nell’azienda in cui lavoro ora ho avuto dei riconoscimenti che non sono minimamente paragonabili a quello che avrei mai potuto avere in Sardegna. La decisione di rimettermi in gioco è derivata inizialmente dalla desolazione che mi circondava. Con il tempo, invece, questa motivazione quasi me la sono scordata e la spinta viene quotidianamente da quello che faccio ora. Anche quando sono in vacanza, e può sembrare assurdo, non vedo l’ora di tornare al lavoro perché sono entusiasta e ho la possibilità di fare quello che davvero mi appassiona.

Elena

– Nell’amor proprio. Volersi bene significa fare il possibile per vedere riconosciuti i propri meriti sotto ogni punto di vista e la decisione conseguente è quella di non accettare più situazioni che possano sminuire il proprio valore personale e professionale. Siamo partiti con la consapevolezza che avremmo sicuramente trovato condizioni lavorative più consone ai nostri obiettivi. In molti potrebbero pensare che ci è andata bene, però bisogna tenere conto del fatto che per fortuna all’estero è meno probabile trovare nel lavoro persone che non ti gratificano abbastanza come avviene in Italia. È proprio come il tema di questa intervista: io valgo e se vado fuori qualcuno che si accorga di questo lo trovo di sicuro.

Avete qualche rimpianto?

Riccardo

– Non essere partito prima. Non rinnego quello che ho fatto, il mio precedente lavoro all’Osservatorio Astronomico mi ha permesso di imparare tanto e le persone con cui lavoravo mi hanno saputo apprezzare. Il problema però è la mentalità e il modo in cui è strutturato il lavoro in Italia. Mi sentivo bloccato. Forse, se proprio devo parlare di rimpianti, mi spiace non aver completato gli studi universitari, anche se non sento la mancanza di una laurea perché il mio lavoro è assolutamente appagante. Su alcuni aspetti del mio lavoro però ho faticato molto di più di quanto avrei dovuto fare se avessi avuto modo di acquisire un metodo per imparare le cose, metodo che si apprende seguendo un corso di studi specifico. Inoltre, il fatto di non avere una laurea poteva rendere più difficile la ricerca di un lavoro di livello medio-alto. Nel mio caso ho avuto però la fortuna di trovarmi di fronte delle persone che non si sono fermate all’apparenza, ma che sono andate a verificare quali sono le mie effettive competenze, a prescindere dall’avere o meno un titolo di studio.

Elena

– L’unico rimpianto è stato quello di non aver proseguito gli studi per ottenere la Laurea Specialistica. Con un percorso di studi quinquennale ti si aprono ancora più strade. Nell’Île de France si seguono degli schemi, per ogni titolo o qualifica esiste un salario sotto il quale non si può andare e le opportunità per i laureati di trovare un lavoro gratificante e ben pagato sono davvero molte.

Cosa vi ha permesso di avere consapevolezza delle vostre capacità e dire finalmente «Io valgo»?

Riccardo

– Io faccio l’immodesto. Sono sempre stato consapevole delle mie capacità e sapevo di essere in grado di affrontare questa sfida. Mi sono sempre documentato e ho studiato tanto quando stavo in Sardegna, ma dopo il mio trasferimento in Francia l’ho fatto con ancora più determinazione e la mia crescita dal punto di vista delle competenze è stato molto più rapido rispetto alla situazione lavorativa precedente.

Quando lavoravo all’Osservatorio Astronomico, l’apprezzamento da parte degli altri c’è sempre stato. Il problema è che questi riconoscimenti non si trasformavano in qualcosa di concreto. Non sono una persona superficiale, ma tutti abbiamo bisogno anche della gratificazione materiale, di avere uno stipendio degno di questo nome e di vedere le nostre idee messe in pratica. La consapevolezza del proprio valore penso ci sia sempre, quindi la vera scoperta non è quanto si possa valere ma ottenere delle conferme dall’esterno.

Elena

– La maggior parte delle volte una persona sa quanto vale. Si ha quasi sempre la consapevolezza di quel che si è in grado di fare. Una volta che si va via dall’Italia si diventa però davvero coscienti di questo. Stando in Sardegna, la propria autostima è spesso sepolta sotto le paure e il senso di inadeguatezza. Un’altra cosa che ho scoperto in Francia è di riuscire a fare cose che non pensavo rientrassero nelle mie capacità, come imparare velocemente una lingua. È una grande soddisfazione personale. All’improvviso si smette di avere paura, anche quando si sbaglia. Questo fa sì che le persone crescano professionalmente, che diventino davvero protagoniste della loro vita e non siano semplici spettatori passivi. Per persone come me e Riccardo andare a cercare la nostra strada e trovarla è stato molto più soddisfacente rispetto a un qualsiasi colpo di fortuna. Chi ha ambizione ha bisogno di soddisfarla ed è molto triste avere dei rimpianti, desiderare di fare qualcosa e non farla. Spero davvero che questo non mi capiti troppe volte nella vita, perché certe cose te le porti dietro quando invecchi. La cosa più importante è fare quello che davvero dà soddisfazione e non tradire mai se stessi e i propri obiettivi.

2 thoughts on “Nouvelle vie: rinascere a Parigi

Leave a comment.