L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto
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Negli anni del fascismo, sull’onda della rinascita sociale italiana finalizzata alla difesa della razza, per ragioni anche pretestuose si poteva facilmente finire in manicomio. Dato il crescente sovrannumero di internati, si verificò ben presto l’aggravarsi della già storica fatiscenza dei locali, l’insufficienza di laboratori per strumenti e sale mediche, le inadeguate condizioni igieniche. La Legge Giolitti del 1904, modificata tra il 1924 e il 1939 circa da nuove riforme, rafforzando l’idea di funzione curativa dell’internato, permise la realizzazione di nuovi istituti psichiatrici, di cui alcuni al sud Italia: a Reggio Calabria nel 1932; a Siracusa nel 1934; furono chiusi molti anni dopo dalla rivoluzione condotta negli anni Sessanta da Franco Brasaglia e dalla legge 180 per la loro abolizione.

La chiusura definitiva dei manicomi condusse alla creazione dei Servizi psichiatrici ospedalieri, a quelli giudiziari, ai Dipartimenti di Igiene Mentale e alle strutture residenziali come Comunità Terapeutica Riabilitativa. Il passaggio è stato significativo perché dai monumentali edifici pluripiani con la scritta manicomio, caratterizzati da quei lunghi corridoi e stanze anguste ai lati (non dissimile tipologicamente dal carcere) si è passati a strutture architettoniche con dimensioni più ridotte, più a misura d’uomo.

Rientra in questo panorama l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona, sito nella costa tirrenica della provincia di Messina, il secondo dopo quello di Aversa per affollamento. Gli OPG nascono da disposizioni del codice penale Zanardelli del 1889, che esprimendo un regolamento carcerario formava il manicomio giudiziario per i “condannati divenuti pazzi durante la espiazione della pena”, poi confluiti nella legge del 1975.

L’edificio è ubicato in via Vittorio Madia, ai margini del centro storico, sul prolungamento verso nord della via Umberto I nel primo Novecento. Qui la struttura occupa lungo la strada un isolato rettangolare totalmente recintato e chiuso in testata dal corpo di fabbrica principale. Visto dall’esterno, se non fosse per la grande insegna che riporta “Ospedale Psichiatrico Giudiziario Vittorio Madia. Distaccamento di polizia penitenziaria Barcellona P.G.”, per la cortina muraria incombente e per le grate dipinte in azzurro visibili su tutte le finestre, sembrerebbe una normale palazzina bilivelli dall’aspetto eclettico di inizio secolo. L’edificio è stato infatti progettato e realizzato negli anni 1913-1925, come Manicomio Giudiziario maschile del Regno d’Italia, sulla scia di quelle opere create nel post-terremoto, a seguito dell’evento disastroso del 1907 che colpì Messina, Reggio Calabria e buona parte delle province. Vittorio Madia, a cui è intitolata la strada, ne è stato il primo direttore. È stata definita sulla pubblicista locale una costruzione elegante, caratterizzata per l’epoca da ingegnosi sistemi strutturali e scientifici, quali per esempio un meccanismo alle finestre che, mimetizzando opportunamente le sbarre, garantiva una corretta visione dell’esterno. L’attuale direttore è il dottor Nunziante Rosania.

In questo tipo di struttura risiedono persone che hanno commesso un reato nella incapacità di intendere e di volere; per ognuna di esse è previsto un progetto educativo di terapia, di riabilitazione e di reinserimento sociale. Nella prima fase si tratta sempre di una struttura protetta. All’interno ci sono sei reparti indipendenti, uniti da un cortile interno: alcuni reparti sono con stanze singole (96), altri con grandi stanze a più letti, anche nove (47), ed hanno ospitato negli anni da 200 a 300 degenti, spesso di provenienza regionale o limitrofa. La distribuzione dei posti avviene sulla base del criterio clinico, cercando di razionalizzare l’ambiente secondo la necessità. Esistono tre letti di coercizione uno di fianco all’altro in una grande stanza spoglia, i primi ad essere entrati in funzione nel novecento. Utilizzati in passato, ormai si usano raramente.

Gli spazi collettivi permettono lo svolgimento di attività ricreative, teatrali e sportive, svolte in estate anche sotto i portici dei reparti e nei cortili dove c’è un chiosco di rinfresco. I campi di calcetto, di tennis e pallacanestro, la palestra attrezzata, completano il quadro. Il quarto reparto ospita una cappella per funzioni religiose. Un vecchio fabbricato appartenente all’istituto, dentro il complesso, è stato adibito a falegnameria e lavorazione del ferro, creando una sorta di cooperativa sociale.

Gli studi più attuali tendono a porre il paziente in modo più diretto con il contesto ambientale e stimolare quindi un rapporto creativo con il mondo esterno. Questo a Barcellona si è verificato grazie al valido apporto della “Casa di Solidarietà e Accoglienza” e del Centro di Servizio Sociale per Adulti di Messina, di enti professionali alla formazione, di gruppi religiosi aderenti al Convento dei Francescani e altre associazioni di volontariato che hanno ormai regolare accesso all’interno dell’ospedale. Sono già stati svolti diversi corsi di formazione per decoratore, di alfabetizzazione informatica, per addetti agli impianti idraulici e vivaisti e dei corsi di base scolastici in collaborazione con l’Istituto Tecnico Commerciale per Geometri di Barcellona.

Non sono mancate tuttavia storie difficili e casi estremi, anzi. È notizia divulgata che negli anni Ottanta l’OPG ha ospitato finti matti in realtà boss mafiosi in odore di infermità mentale. Vorrei anche ricordare il caso di Giuseppe Contini, 48 anni, nativo di Oristano, che ha trascorso in OPG a Barcellona gli ultimi cinque anni della sua vita. Sette anni prima aveva commesso l’incendio di un capannone a Cabras. Trasferito nel 2007 per una decina di giorni circa nel carcere di Buoncammino a Cagliari per il suo processo, non volendo essere riportato indietro, Contini si è impiccato nella sua cella l’otto giugno, la sera prima del rientro in Sicilia. Dell’evento ne ha dato notizia il quotidiano locale L’Unione Sarda.

In Italia quello degli OPG, chiamati ancora manicomi giudiziari, è un ennesimo problema. Il caso qui ricordato mostra come uno degli effetti più deleteri sia quello dello sradicamento dalle condizioni ambientali ed abitative originarie, sebbene sia uno degli argomenti più dibattuti e le leggi abbiamo mirato in realtà proprio ad eliminare quest’aspetto. Nonostante l’attivismo di operatori e volontari, l’organizzazione razionale dei locali, le numerose iniziative sociali, ho visto che, a seguito di recenti ispezioni pubbliche, alcune osservazioni e blog (da giugno 2010 a gennaio 2011) sono piuttosto dure; le notizie sul resoconto, pubblicate anche in articoli su La Stampa, L’Unità e la Gazzetta del Sud, definiscono l’OPG di Barcellona un ospedale-carcere e alla stregua di un lager. Proprio in gennaio 2011 è stata inaugurata una nuova struttura in contrada Cavaliere, una sezione dedicata alla “custodia attenuata”. Oggi si discute nuovamente sulla chiusura di questi contraddittori “mostri a due teste”.

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