Venus d'Arles
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di Anaïs Maës

«Jouer l’Arlésienne» («Recitare l’Arlesiana») è un’espressione francese che significa “essere il soggetto di tutte le conversazoni senza mostrarsi mai”, può analogamente rinviare ad una persona o ad un’azione que si attende e che non arriva mai, vedesi Godot nell’opera di Samuel Beckett.

Quest’espressione ha come origine “L’Arlésienne”, uno dei racconti di Alphonse Daudet, ricensito all’interno di Les lettres de mon Moulin. Alphonse Daudet, srittore nato a Nîmes (cittadina a sud della Francia), decide di vivere a Parigi per favorire la sua carriera letteraria; lui comunque non nasconde le sue origini provenzali: frequenta i membri del Félibrige[1], e scrive dei racconti e dei romanzi imbevuti di un sapore e di una rudezza fortemente provenzale. Uno di questi racconti, “L’Arlésienne”, pubblicato nel 1866 nel giornale L’Evénement, attira particolarmente l’attenzione dei lettori ed ispira il compositore francese Georges Bizet per la sua opera omonima[2], creata nel 1872 dallo stesso Alphonse Daudet ed Emile Zola.

La particolarità di questo racconto viene dal fatto che l’Arlesiana, giovane seduttrice abitante la città d’Arles, non appare mai, pur stando al centro dell’intrigo. Jan, giovane paesano provenzale, si imbatte in questa ragazza durante una passeggiata sulla Lice d’Arles. Pazzo d’amore, decide di sposarla senza attendere di più. Ma ecco che durante la festa di fidanzamento, un uomo si avvicina al padre di Jan, per avvertirlo che suo figlio è sul punto di sposare un’impostora. Il matrimonio non avrà dunque più luogo, e Jan, oppresso dalla passione e dalla disperazione, si suicida sotto gli occhi della madre.

L’interesse persiste tuttora nel mistero dell’Arlesiana: chi è questa eroina invisibile, chi spinge Daudet a scrivere una storia, un pezzo di teatro in tre atti ed un’Opera? Chi ispira a Daudet il dramma de l’Arlesiana?

L’autore de « L’Arlésienne », dopo aver acquisito un certo nome, diviene amico di Frédéric Mistral (scrittore e lessicografo francese di lingua provenzale) vincitore del primo Nobel alla letteratura nel 1904 grazie al suo poema epico Mireille. Questo si confida e gli racconta la storia del suicidio di suo nipote François Mistral. Il 6 Luglio 1862, domenica di San Eligio, il giovane uomo di 23 anni si è lanciato dalla finestra del Mas du Juge[3], casa natale dei Mistral, e s’è fracassato la testa su una tavola di pietra. Una storia triste d’onore e d’amore per una sconosciuta di Béziers. Ecco l’epilogo raccontato da Mistral in una lettera a Gabriel Azaïs (17 Luglio 1862): «La povera madre, mossa ad un terribile presentimento, si alza cinque minuti dopo lui, corre in soffitta, in camicia, sfonda la porta; non trovando suo figlio, scende, sconvolta; e, sola, impazzita dal dolore, a piedi nudi, in camicia, trova il cadavere di suo figlio e si bagna nel suo sangue. […] da una lega, si sentivano le grida di mia cognata.»

È chiaro che Alphonse Daudet s’è largamente ispirato a questo fatto particolare per redigere il suo racconto. Ma perché ha modificato le origini della ragazza che non è più di Béziers, ma di Arles? Messe da parte le considerazioni “fonetiche” – bisogna certo ammettere che “La Biterroise” (così chiamati le abitante di Béziers) non ha certo un suono piacevole – vi è anche un insieme di miti attorno alla bellezza delle arlesiane.

Dopo la scoperta nel 1651 della statua di Afrodite (comunemente chiamata la Venere di Arles[4]) nel teatro antico di Arles, diviene l’ideale della bellezza delle Arlesiane che ne fanno la loro patrona. La partenza della statua alla volta di Versailles, ed in seguito al Louvre, i suoi numerosi restauri che scatenarono polemica e le copie che ne sono state fatte tendono a magnificare il mito de l’Arlesienne che fiviene un leitmotiv fra le opere provenzali. Come spiega Estelle Mathé-Roquette, studiosa, specialista della celebre statua: «questa statua ha lasciato agli uomini della città un’assenza, e loro ne hanno fatto un mito, e l’assicurazione di una perpetua rinascita attraverso il sangue, che, dalle sue vene immaginarie, è colato in quelle delle Arlesiane».

Così, degli autori come Prosper de Mérimée (La vénus d’Ille), Stendhal (Mémoires d’un touriste III), Frédéric Mistral (Mireille), Aubanel (La Vénus d’Arles) e ovviamente Daudet, si sono ispirati più o meno liberamente al mito de l’Arlésienne.

Questa eroina invisibile avrà avuto una vera esistenza? Daudet si sarà ispirato di un amore passato? Il mistero sussiste, ma bisogna veramente cercar di scoprire l’invisibile, quando è da quello che deriva la bellezza di un’opera?

 


 

[1] Félibrige: associazione per la difesa e la presentazione della lingua provenzale, nata nel 1854, raccoglieva sette poeti (Mistral, Aubanel, Roumanille, Brunet, Giéra, Mathieu e Tavan). Dal 1855 al 1895, la Félibridge pubblica una raccolta annuale di poemi e di racconti: l’Armana Prouvençau.

[2] Estratto dell’opera musicale.

[3] Casa provenzale.

[4] La Venere d’Arles, nella versione originale è esposta al museo del Louvre.

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