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Di seguito la seconda parte dell’articolo ispirato alle riflessioni dell’autore croato scomparso di recente, Predrag Matvejevic, emerse durante l’intervista fattagli da Daniela Melis a Zagabria, nell’Agosto 2014. Il tema oggetto dell’articolo è l’Europa e il ruolo chiave del Mediterraneo per la sua rinascita.

 

 

Che ruolo innovativo potrebbe avere in questo senso la cultura digitale? Le tecnologie e le sue svariate applicazioni conservano l’apparente capacità di sostituire la vecchia cultura e i suoi metodi obsoleti; di essere di per se cultura e non, invece, una sua derivazione. Le cause e le differenze finiscono per invertirsi e non riescono a determinarsi le une rispetto alle altre. Non abbiamo avuto il tempo di pensare il cambiamento dalla cultura classica a quella digitale, vista la celerità con cui si scambiano le informazioni e le relazioni, diventando così vittime di quest’ultima. Abbiamo visto che la globalizzazione è andata avanti serpeggiando lentamente, scontrandosi con una serie di ostacoli e un intreccio di diffidenze. La crisi, invece, si è estesa rapidissimamente e in maniera diretta, coprendo in brevissimo tempo l’intero pianeta. Una volta usciti da essa, come controlleremo il ritmo degli avvenimenti per indirizzarlo nella direzione favorevole alla maggioranza dell’umanità? Nell’epoca che viviamo e con i problemi che ci assillano, le domande sono molto più numerose delle risposte.
L’unico bilancio positivo dell’era tecnologica è che, grazie ad essa, il singolo individuo è meno ingenuo e più critico. Questo vale all’inverso per gli intellettuali, i quali, rispetto al passato, operano sparpagliati, quasi sempre rinchiusi in circoli ristretti, nei propri ambienti ed esclusive competenze. Non partecipano più a movimenti culturali, anche perché non ci sono correnti, nemmeno quelle che l’Europa ha conosciuto. I singoli intellettuali non riescono a unirsi, mentre i detentori del potere per lo più li ignorano o li costringono a dedicarsi a se stessi. Fatte le solite eccezioni, la voce degli intellettuali si fa poco sentire nella società al momento del varo delle decisioni e troppo poco viene rispettata quando riesce a emergere. Il “dissenso” di una volta, che osava rischiare tanto durante i regimi staliniani e post-staliniani, non opera più. L’intellettuale critico è condannato alla solitudine.
Bisognerebbe trovare una strada per andare insieme a livello europeo. Le banche, gli affari e le concorrenze sono tutti elementi divisori. La coscienza comune non esiste in Europa e quindi essa sta crescendo senza basi; ci sono dispersioni ed è difficile entrare in sintonia. Come uscirne?
Il primo passo da compiere per l’Europa sarà l’avvicinarsi alla sua culla, dalla quale è cresciuta separata: il Mediterraneo. Tanto al Nord quanto al Sud l’insieme del bacino del Mediterraneo si lega con difficoltà al continente: la sua riva settentrionale presenta un ritardo rispetto al Nord Europa e altrettanto la sua riva meridionale rispetto a quella europea. Non è possibile considerare questo mare come un “insieme” senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo dilaniano. Ai giorni nostri le rive del Mediterraneo non hanno in comune che le loro insoddisfazioni e il mare stesso assomiglia sempre più a una frontiera che si estende da Levante a Ponente per separare l’Europa dall’Africa e dall’Asia Minore.
Tuttavia, se l’Europa saprà guardare al significato di questo mare e comprenderà davvero i problemi del suo Meridione, riuscirà a cambiare. L’Europa di domani potrebbe così essere meno eurocentrica di quella del passato, più aperta al cosiddetto Terzo Mondo dell’Europa colonialista, meno egoista dell’Europa delle nazioni, più Europa dei cittadini che si danno la mano e meno quella degli Stati che si sono fatti tante guerre tra loro. Un’Europa più consapevole di se stessa e meno soggetta all’americanizzazione. Sarebbe utopistico, ma auspicabile, che diventasse, in un futuro prossimo, più culturale che commerciale, più cosmopolita che comunitaria, più comprensiva che arrogante, più accogliente che orgogliosa e, in fin dei conti, più “socialista dal volto umano” (nel senso che i dissidenti dell’ex Europa dell’est davano a questo termine) e meno capitalista senza volto. L’Europa dei valori non permetterebbe, infatti, che si chiedesse di passare per la NATO per entrare nell’UE: è un tipo di Purgatorio che avrebbe rifiutato. Anche se questa richiesta sta, fortunatamente, perdendo la sua attualità.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, e a distanza di cent’anni da essa, non son state tratte le somme. Tuttavia, anche da conflitti meno importanti bisognava, bisogna e bisognerà trarre conclusioni e metterle in pratica. L’Europa delle nazionalità, quella che si è vista divisa al suo interno, deve percorrere un percorso diverso, più unitario, che si basi su una cultura aperta che comprenda e integri tutte le altre; che le abbracci indistintamente così come fa il suo piccolo, grande mare.

Daniela Melis

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