I rimosauri, di Chicco Gallus
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Cagliari (ITALIA)

 

Di autori per bambini ce ne sono tanti. Di autori che sappiano scrivere libri che piacciono a grandi e piccini ce ne sono pochi. Uno di questi è Chicco Gallus, scrittore esordiente di Cagliari, rubato al mondo della pubblicità dalla bravissima Teresa Porcella, curatrice della collana di poesia per bambina “Il suono della conchiglia” della Motta Junior. Finora Gallus ha scritto solo due raccolte di filastrocche, Rimosauri e Filastrocche di Benvenuto: difficile dire quale sia il più riuscito.

In Rimosauri Gallus dà voce ai dinosauri. Con divertentissimi monologhi in rima i giganti del cretaceo superiore si fanno beffa di chi li considera solo fossili e magari gli ha pure affibbiato un nome che proprio non riescono a digerire. I dinosauri di Gallus sono ironici, altezzosi e in eterna competizione uno con l’altro ma hanno comunque un grande dono, sanno giocare con le rime e così i bambini imparano divertendosi la storia di questi incredibili animali.

Ci sono anche dinosauri alle prese con i problemi più comuni. Il Brontosauro che vorrebbe fare il bagno ma non riesce a trovare un costume da bagno della sua misura, il Parasaurofolo che tra coda e cresta gigante che amplifica e rimbomba attira non volendo gli sguardi di tutti e il Seismosauro che con le sue cento tonnellate è alle prese con una dieta stretta.

Ci sono poi animali orgogliosi come lo Spinosauro che vanta capacità ancora al di fuori della nostra portata infatti, con la sua vela sulla schiena piena spine, ci fa notare che

Senza laurea né incentivi, senza tanto progettare, io utilizzo allegramente vento ed energia solare.

O vanitosi come lo Pterodattilo che sfida le capacità della logica:

Piume niente, penne zero
però volo per davvero,
ma somiglio – questo è il bello –
a un enorme pipistrello.

O puntigliosi e astuti come l’Oviraptor, il rettile gigante che ci tiene a precisare che non rubava le uova come sembrerebbe dal nome scientifico che gli è stato dato:

Questo nome è sbagliato, anzi pure di peggio:
mi insulta, mi calunnia, è un vero e proprio oltraggio.
E pure se ci fosse un indizio, o un testimone,
un reato cretacico sarebbe in prescrizione.

Le piccole grandi filastrocche di Chicco Gallus
Le piccole grandi filastrocche di Chicco Gallus

Le Filastrocche di Benvenuto hanno invece una storia diversa. Inizialmente sono i biglietti di auguri che Gallus ha scritto per accompagnare la nascita dei figli di amici e parenti. Con questo libro sono ora dedicate a tutti i bambini, con la speranza che portino non solo una vita serena ma soprattutto forza, indipendenza e autonomia.

Ad Irene augura che abbia bellezza fatta di ragione, di volare in alto e guardare lontano e un amore forte che accenda e spaventa. Non dimentica infine che l’ultimo verso del suo augurio sia scritto su carta di quaderno perché in quello che è semplice c’è qualcosa di eterno.

Ad Ilaria Gallus augura con versi poeticissimi di essere coccolata, rinfrescata e inebriata da tutti i venti che incontrerà nella sua vita.

Maestrale, da vero signore
ti porta profumo di mare.
Libeccio, antico ed esperto
la calma del suo deserto.
… E Zefiro, senza dir nulla,
ti dondola dolce nella culla.

Ad Asia ricorda che un nome corto corto nasconde un mondo sterminato, ricco di steppe, giungle e deserti. Ma in fondo ricorda Gallus che per descrivere il suo nome:

Non basta un mondo intero, né un enciclopedia
e non basta neppure tutta una libreria.
Eppure ti sta giusto, non sto inventando niente
perché in ogni bambina c’è più di un continente.

Leggeri e spensierati i versi di Gallus commuovono e fanno sorridere. Ma come si diventa un autore per bambini? E come si scrive un libro di filastrocche? Per capirlo abbiamo posto qualche domanda Chicco Gallus.

Chicco Gallus
Chicco Gallus

Cosa leggeva da piccolo?

Da bambino ero un fumetto dipendente, con tendenza al topolinomane: a casa compravamo tutte le settimane Topolino e il Corriere dei Piccoli. Topolino in quegli anni era una specie di continuo esercizio di acrobazia linguistica. Nelle storie i personaggi usavano normalmente parole come palandrana, impaludarsi, cucurbitacea, plantigrado, abulia da contraccolpo e cose così. Nel Corriere dei Piccoli invece pubblicavano autori come Hugo Pratt, Sergio Toppi, Dino Battaglia, Jean Giraud e mi fermo qui perché un elenco completo sarebbe incredibilmente lungo. A casa eravamo anche lettori voraci di libri. Avevamo una meravigliosa edizione dei romanzi di Salgari con note accuratissime e illustrazioni d’epoca, erano incisioni fantastiche tratte da enciclopedie e giornali di viaggi ottocenteschi. Negli stessi anni Mondadori pubblicava una collana chiamata “Classici per la gioventù”. In quella edizione ho letto “All’ovest niente di nuovo”, un sacco di libri di Jules Verne, tantissima fantascienza classica, da “La macchina del tempo” a “Cronache marziane”. Poi, quando avevo forse dieci anni, mia mamma mi ha dato il permesso di leggere “Le meraviglie del possibile, antologia della fantascienza”, avvertendomi che qualche racconto avrebbe potuto farmi un po’ paura. Altro che un po’: alcune storie avevano il potere di terrorizzarmi. Credo di aver letto quella raccolta almeno cento volte, vi dico solo che ci sono Ray Bradbury, Isaac Asimov, Fredric Brown, Arthur C. Clarke.

Se invece devo scegliere un autore proprio per bambini mi sa che il nome giusto è Roald Dahl. Mi piace praticamente ogni sua cosa che letto, dalle storie quasi da favola come “Il Grande Gigante gentile” e “La fabbrica di cioccolato”, fino ai racconti che sarebbero per grandi, come le “Storie Impreviste” e il libro autobiografico “In solitario” dove racconta di quando era pilota di caccia.

Qual è la sua formazione?

Ho fatto il liceo scientifico e poi ho provato Ingegneria, ma dopo due anni ho capito che proprio non eravamo fatti l’uno per l’altra e ho lasciato. Così ho cominciato a lavorare abbastanza presto nel campo della pubblicità. Ho iniziato facendo gli esecutivi per la stampa, ma piano piano ho scoperto che quello che sapevo far meglio era il copy, quello che si occupa delle parole. Poi, dovendo scrivere per lavoro tutto il giorno, giocare con le parole anche nel resto del tempo è diventato inevitabile.

Come sono nati i suoi libri?

A una presentazione dei libri una bambina mi ha chiesto quanto ci avevo messo a scriverli. Ho dovuto rispondere che per scrivere Rimosauri ho impiegato due settimane, mentre per scrivere Filastrocche di benvenuto venti anni. È andata così. Tempo fa avevo scritto forse cinque o sei delle filastrocche sui dinosauri per la comunicazione di una mostra, appunto sui rettili preistorici. Finita la mostra, le avevo fatte leggere a Teresa Porcella, che stava progettando per Giunti Editore “Il suono della conchiglia”, una collana di libri di poesia per i bambini. Lei mi ha detto – Facciamone un libro. Ne serve solo qualcuna in più.- Solo che per “qualcuna in più” intendeva altre venticinque. Così abbiamo concordato quali dinosauri andassero filastroccati, io mi sono documentato sulle caratteristiche più divertenti e tutto è stato molto veloce. Ogni rimosauro si racconta direttamente, in prima persona con la consapevolezza di essere vissuto milioni di anni fa e di parlare a bambini di oggi. È un po’ surreale ma vedo che i bambini trovano il risultato piuttosto divertente.

E Filastrocche di Benvenuto?

Ho scritto Le Filastrocche di Benvenuto proprio per dare il benvenuto a bambini veri. Ho cominciato con il primo figlio di due miei amici, e da allora in pratica per ogni nipotino o figlio di amici, di colleghi, vicini o conoscenti ne ho scritta una. Ho cercato in ognuna di immaginare e augurare un bel futuro, basandomi sul significato del nome o su quello che so dei genitori. Adesso i primi bambini che ho filastroccato sono all’università. Temo che non ci vorrà molto per arrivare, più che a una seconda edizione, a una seconda generazione.

Bisogna anche dire che questi due libretti sono nati come libri da un lavoro di squadra. Non ci sarebbero proprio senza l’idea di Teresa Porcella della collana di poesia dedicata ai bambini (gli altri autori della collana per adesso sono Emily Dickinson e Pablo Neruda, ogni volta che me li vedo accanto nello scaffale mi tremano i polsi). E tutte le filastrocche senza le meravigliose illustrazioni di Francesco Chiacchio e Pia Valentinis non sarebbero per nulla la stessa cosa.

Come si scrive una filastrocca?

A dire la verità non lo so. Io le scrivo a orecchio, sentendo se mi suonano giuste. Mi sembra sempre un gioco bellissimo da fare. So che per funzionare devono essere abbastanza brevi e che ci vuole una conclusione forte. Ci vuole una chiusura che spiazzi, commuova o diverta. Spesso proprio la conclusione, la rima che costituirà la battuta finale, è la prima cosa che penso e da quella nasce tutto il testo.

Perchè le filastrocche piacciono?

Non sono un esperto, ma me lo sono chiesto spesso. La cosa che mi stupisce sempre è come le rime più semplici abbiano un enorme potere, rendono più forte ogni cosa che si dice. Credo che il meccanismo della rima ci faccia abbassare la guardia, e superi in qualche maniera le difese emotive in chi legge o ascolta. Di certo le rime conferiscono alle parole molti poteri diversi: le rendono più facili da ricordare, ci fanno immaginare in anticipo la conclusione di un verso. Sono giunto alla conclusione bambinesca che la rima è come una bicicletta: un meccanismo semplice che moltiplica gli effetti e a parità di sforzo porta molto più lontano. Proprio come una bicicletta, possiamo usare la rima anche senza conoscerne i meccanismi, ma funziona solo se tutto è perfettamente a posto, altrimenti si pianta, come se avesse le ruote bucate.

Secondo lei riusciremo a non considerare più le filastrocche e i libri illustrati solo per bambini?

Io credo di sì. È già successo per i fumetti, che ora sono una forma espressiva che non ha età e serve a raccontare qualunque cosa, anche le più dure e difficili. Anche i libri illustrati, nonostante li vediamo di solito nelle librerie per bambini, spesso sono delle opere con molti livelli di lettura, che hanno moltissimo da comunicare agli adulti. Per le filastrocche non sono obiettivo, ma pensare che le rime siano solo per i più piccoli vorrebbe dire togliere ai grandi il piacere di un meraviglioso mezzo espressivo.

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