Letteratura araba
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Quando sentiamo parlare (poco) di Libia in modo canonico si tendono a descrivere i fatti e gli avvenimenti riferiti alla contemporaneità, con una semplicità istituzionale che appare prevalere su quella di natura più specifica e concernente argomentazioni e questioni più complesse e articolate.

Se l’ambito storico incomincia lentamente (ma non troppo) a svelarsi nella sua drammatica particolarità accomunante il passato coloniale ed il presente dittatoriale, non così si può dire per quel che riguarda la letteratura. Già, ma in Libia si è formata una letteratura? Questa domanda, che appare intrisa di rozza e discrminante banalità, non si è grandemente posta all’ordine del giorno nella ricerca e nell’italico immaginario, ma d’altronde poteva esservi, magari si sarà sostenuto, uno sviluppo critico in un paese nel quale si era insediato un colonialismo “dal volto umano” al quale la propaganda di madrepatria sosteneva di aver donato istruzioni e infrastrutture? Come altre volte sottolineato, questo concetto ha sovrastato per anni ogni possibile ragionamento inverso ed inevitabilmente si è dovuta ristabilire appieno la verità storica prima di procedere ad una ramificazione di studio che prevedesse anche l’aspetto letterario; non è un caso che soltanto nel 2008 sia stato dato alle stampe il primo compendio di letteratura della Libia1.

L’emarginazione e l’analfabetismo femminile nel Paese è uno di quei temi legati indissolubilmente alla presunta missione civilizzatrice dell’Italia nella “quarta sponda” e rappresenta un grave fattore di invisibilità legato ad un mancato diritto di affermazione e di esistenza.

Tra la fine del vilayet ottomano e l’inizio del periodo italiano il sistema di istruzione in Libia era caratterizzato da una tripartizione tra le scuole coraniche, le biblioteche pubbliche e private ed i circoli letterari sorti all’interno delle moschee e delle zawayah, i centri religiosi gestiti dalle confraternite che assumeranno, nel caso della Sanusiyya in Cirenaica, un ruolo di primordine durante la ribellione anticoloniale; si aggiunsero in seguito, durante la fase di “penetrazione pacifica”, le scuole italiane.

Tutta questa apparente ricchezza di possibilità educativa era in realtà funzionale alle esigenze delle comunità straniere presenti nel Paese, in particolare quella turca e poi quella italiana, anche se dobbiamo affermare che nell’ultimo periodo di dominazione ottomana la presenza dei libici nelle scuole pubbliche di ultima istituzione era in aumento. Per la donna araba e berbera di Tripolitania e Cirenaica tuttavia permaneva una diffusa invisibilità, a causa di quello che possiamo definire un duplice oscurantismo ascrivibile al tradizionalismo di provenienza culturale e dalla mancata incisività dell’azione istituzionale, in seguito esclusa dall’agenda prioritaria italo coloniale.

Hamidah al-‘Anizi rappresentò una rottura, una scheggia impazzita che ruppe la consuetudine di sviluppo forzatamente claustrale e ristretto e che diede la possibilità a molte donne di inizio Novecento di affrancarsi dalla consuetudine e di emanciparsi, attraverso la cura delle cure, l’alfabetizzazione, lo studio ed il lavoro. Nacque a Bengasi durante la fine del dominio turco e fu la prima donna mandata all’estero a studiare; si formò infatti a Istambul, dove ottenne il diploma magistrale e quando rientrò in patria, a regime cambiato, decise di istituire una scuola di lingua e cultura araba nella propria abitazione, dando vita, intorno al 1920, alla prima scuola privata femminile in Libia. L’appoggio familiare fu decisivo, e lentamente molte donne di Cirenaica uscirono dalle loro case rivolgendosi alla maestra Hamidah, vista come unico modello verace educativo in opposizione al sistema esistente, sviluppato in epoca coloniale e che verrà quasi del tutto boicottato dai libici, in particolare da quelli provenienti dalle regioni orientali.

Con l’aumento delle allieve e la fine della dominazione italiana, Hamidah al-‘Anizi fondò, assieme ad altre pioniere dell’alfabetizzazione femminile, un’associazione (Gamiyyat al-Nahdah al-Nisa’iyyah al Hayriyyah- l’Associazione Benefica della Rinascita delle donne), attraverso la quale riuscì ad organizzare soggiorni di studio a Tripoli con l’obiettivo di fare specializzare le sue allieve, in particolare nel settore infermieristico, ma anche incitandole ad occupare nel nascente Stato indipendente libico (sorto nel 1951) ruoli di predominanza maschile, come ad esempio il settore dell’informazione giornalistica. Sotto la spinta modernizzatrice del suo operato alcune donne libiche entreranno a far parte della neonata radio pubblica, altre ancora prenderanno coscienza del loro valore e della possibilità di ampliamento del loro bagaglio sociale e culturale. Vi sono infatti esempi di numerose orfane che venivano mandate alla sua scuola e che ricevevano da lei un continuo e costante seguito non solo negli studi, ma anche attraverso il complesso cammino del vivere quotidiano.

Hamidah al-‘Anizi ha lasciato in patria un ricordo “materno”, un riconoscimento di efficacia didattica e pedagogica che ha contribuito a migliorare la condizione della donna in Libia; non ci ha lasciato nulla di scritto, non essendo donna di lettere, ma l’importanza del suo agire in quel particolare periodo ha forgiato una nuova generazione femminile dotata di una maggiore consapevolezza del proprio ruolo nella società; un duplice processo di scoperta invisibile dunque: da un lato l’esistenza e l’azione educativa di un personaggio, uno dei tanti dell’oltremare mediterraneo a noi sconosciuto, che ha ideato e realizzato un progetto di inclusione rivolto ad altre “invisibilità giuridiche e sociali” e che sono emerse grazie al suo operato.

 


 

[1] E. Diana, La letteratura della Libia: dall’epoca coloniale ai giorni nostri, Carocci 2008. Buona parte dei riferimenti utilizzati in questo articolo si ritrovano nel volume.

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