Marocco
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Casablanca (Marocco)

Come vere e proprie case viaggianti verso il ritorno, quello sperato, quello tanto desiderato, quello temporaneo ma intenso di abbracci, quel sentirsi nuovamente a casa lontani dal paese nel quale magari ci si sente una sparuta ed inutile manovalanza marginalizzata.

Il mese di agosto è il mese del ritorno per eccellenza, forse il tempo della gioia ritrovata per chi può permettersi di rivedere l’altra sponda, quella africana, quella che la visione del porto di Tangeri fa risuonare nell’aria grida di giubilo, “siamo arrivati”, o meglio “siamo ritornati”!

Per arrivare nel cuore di questa felicità bisogna però tornare indietro, ripercorrendo le tappe faticose che trasportano queste persone in pullman dall’Italia al Marocco. Ho avuto modo di studiarne i particolari qualche anno fa in quella che si può definire la “carovana dell’entusiasmo” (contrapposta alla “carovana della paura”, quella del ritorno), con partenza in una delle città- serbatoio del ricco e ritmicamente frettoloso settentrione italiano, Bologna ed arrivo in quella che in gergo da informazione statuale viene normalmente definita la Capitale economica del Marocco, ossia Casablanca .

Lo scenario iniziale è quello già ampiamente descritto nel documentario di Giovanna Taviani, “Ritorni”, ti trovi davanti alcune decine di maghrebini, “quelli che ce l’hanno fatta”, quelli che riusciranno a raccontare alle loro famiglie o ai loro compaesani il “sogno” europeo, quelli che in maniera più o meno organizzata accatastano davanti ai pullman moderni elettrodomestici comperati per dimostrare che il “salpo”, quel “salto da una sponda all’altra” del Mediterraneo ha portato con se un risultato economicamente positivo e possono considerarsi un surplus delle rimesse precedentemente inviate nell’arco annuale.

Nonostante le numerose liti per accaparrarsi gli ultimi spazi per l’inserimento sopramenzionato, quasi come se inizialmente fosse la esportazione/esposizione della modernità a valere più della persona umana, il viaggio di andata ha inizio, le persone intorno incominciano un lento chiacchiericcio nei loro rispettivi dialetti ed il pullman diventerà la nostra casa per quasi tre giorni in un susseguirsi di caselli autostradali italiani, francesi e spagnoli, di piazzole e aree di servizio, di foto ricordo e dialoghi sulle relative esperienze, pentoloni di couscous sapientemente conservato e gustato per questo momento festeggiante. Il ritmo del viaggio è sostenuto, ma la Spagna è davvero lunga, si dorme quando si riesce appoggiando la testa al seggiolino davanti per il resto si guarda…Si osserva dal finestrino della nostra casa viaggiante il paesaggio che lentamente diventa sempre più arido mano a mano che si scende verso Algeciras da dove poi ci si imbarcherà per Tàngeri. Qualcuno è già arrivato, gli altri proseguono nel viaggio verso Rabàt ed infine il capolinea.

Ecco dunque che si torna a casa, in quella casa che per un mese diventerà festante, che ti accoglierà come un fratello ritrovato in attesa del nuovo allontanamento e delle nuove ansie, ma anche della nuova sorridente speranza per un futuro migliore.

La casa del ritorno è quella di sempre, con i suoi divani parete per il momento della siesta, del riposo pomeridiano, al termine del lauto pranzo consumato. Il momento del ritorno di un familiare equivale all’arrivo di un’ospite all’interno delle mura casalinghe e va trattato come da storica abitudine con una delle virtù più straordinarie dei popoli arabi, quella caratteristica fondamentale che li accomuna dal Marocco all’’Iraq ossia la generosità e la prodigalità verso parenti, amici e forestieri. Un detto arabo asserisce che un estraneo che giunge alla tua casa ha diritto a tre giorni di ospitalità prima che tu gli chieda addirittura il suo nome.

E’ praticamente impossibile andare in una casa araba senza essere garbatamente costretti a mangiare anche al di la delle proprie capacità. Le donne seguono il costume delle loro mamme – nutri il tuo ospite prima di nutrire te stessa, e nutrilo bene. Questo tipo di gentile insistenza, che e’ possibile sperimentare in tutto il mondo arabo e in pressoché tutte le case arabe, fa parte dell’ospitalità tradizionale. Le iniziali basmala di benedizione divina del momento festante e gli imperativi incitanti a mangiare!, diventano così convenevoli obbligati per chi si sente in dovere di esprimere in un modo che può spiazzare positivamente un continuum verace di una comunità nuovamente unita o la contentezza per la visita, qualunque visita anche casuale.

Il mese trascorre velocemente ed inevitabile giunge la fine della permanenza, ci si prepara a rientrare e a viaggiare per altri tre lunghi giorni per ritornare chi al duro lavoro quotidiano, chi alla ricerca di una sistemazione promessa da qualcuno in Italia ma senza alcuna certezza, chi allo studio per cercare un futuro promettente, tutti accomunati dall’importanza forzata di quel pezzo di carta che il mondo occidentale ti obbliga a possedere per entrare in punta di piedi negli angoli della sua “ospitalità di facciata”, ossia il permesso/carta di soggiorno con i suoi drammatici effetti collaterali e le lungaggini burocratiche per conseguirlo, ottenerlo, modificarlo, rinnovarlo.

Un saluto, un arrivederci all’anno prossimo con la speranza di ottenere denaro per potersi permettere di nuovo questo viaggio. Un altro freddo inverno lontano da casa, per necessità, lontano da quella meravigliosa ospitalità.

La frontiera ispano marocchina, con le sue due diversificate file (europei da una parte, africani dall’altra) ti ricorda che sei tornato in Europa, che qui sei ospite a tempo e sei legato indissolubilmente al lavoro, devi avere tutto in regola, la tua terra è già un ricordo.

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