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di Alessandro Pasi

Non vi sono fonti dirette che descrivano l’origine dei fenici (dal greco phoinos, la porpora alla base dei loro commerci o il rossore della pelle che li distingueva rispetto ai greci). Le uniche informazioni di cui siamo in possesso, ci vengono tramandate dai documenti lasciatici da altri popolazioni. Molto probabilmente questo popolo si è formato in seguito a diversi processi e fasi di migrazioni di popoli nell’area mediorientale a partire dal 2500 a. C.

Baal al Louvre
Baal al Louvre

In realtà non si potrebbe nemmeno parlare di civiltà fenicia in senso proprio in quanto le loro città-stato non si sono mai identificate come appartenenti ad un gruppo comune e per questo non si sono mai realmente unite per formare un’unica entità politica. La loro storia si identifica per cui con quella delle loro città-stato che rimasero, di fatto, sempre indipendenti l’una dall’altra e spesso in rivalità. Circondati da un limitato territorio, gli abitanti di queste città fondarono numerose colonie in tutti i punti strategici del Mediterraneo ed esplorarono alcuni tratti marini ritenuti allora inaccessibili. Ciò li portò a subire invasioni e guerre da parte di tutti i popoli mediterranei che ne decretarono gradualmente la fine.

Per quanto riguarda la religione possiamo dire di non poter fruire di molte notizie, e la gran parte delle nostre conoscenze si basano essenzialmente su riferimenti biblici.

Da una prima fase basata sul culto delle forze della natura si passerà, a partire dal 1° millennio a.C., ad una crescente devozione di divinità locali comuni a molte popolazioni semite, seppur con nomi diversi.

Le figure principali in questo mosaico di divinità erano El, Baalat e Baal, che formavano la trinità cardine del sistema religioso. El, il creatore del mondo, era un Dio lontano dall’uomo, in quanto inafferrabile e imperscrutabile e Baalat ne era la moglie. Quest’ultima veniva considerata una sorta di grande madre, colei che dava calore, fertilità e sicurezza all’uomo ed era anche nota come Ashera.

Conosciuta ai Sumeri come Innin, a Babilonesi ed Assiri come Ishtar ed agli Egiziani come Iside, Ashera era dea della fecondità e dell’amore.

Il più venerato però era Baal, dio della pioggia e della vegetazione, che moriva ogni anno e poi risorgeva per poter richiamare le stagioni. Decedendo e rinascendo per l‘uomo egli era molto amato dal popolo e le sue gesta, importate dai commercianti in Grecia, faranno sorgere il mito di Ercole.

Divinità considerate minori erano Kusor, dio del mare e guardiano delle stagioni; Shadrapa, patrono dei medici, Reshef, dispensatore di tuoni e fulmini; Misor e Sydyk, divinità della giustizia; Hijon, protettore degli artigiani e degli industriali; Dagon, signore del grano e Asterte, dea guerriera della fertilità.

I sacerdoti, vestiti con ornamenti molto semplici e accompagnati da musicanti, compivano le loro funzioni religiose in templi costituiti da un recinto nel cui centro si situava un betilo (in Sardegna chiamate Betile), cioè una pietra creduta dimora del dio. Spesso i riti si svolgevano su altari costruiti in zone elevate all’aperto.

Alle divinità venivano sacrificati prodotti della terra, animali e bambini. Il sacrificio dei bambini, chiamato moloch, per quanto possa sembrare oggi raccapricciante, era un elemento tipico del sistema religioso fenicio. In occasione di guerre, carestie, epidemie o di altri momenti di difficoltà, i primogeniti appena nati venivano immolati nel fuoco, nella convinzione che ciò li trasformasse in esseri protettori della famiglia e della comunità in generale.

Il fuoco era l’elemento ravvivante per Baal, in quanto simbolo di rigenerazione e di resurrezione.

Si credeva inoltre che Baal volesse il sorriso sulle labbra per una madre che sacrificava il figlio e per questo erano vietati pianti e lamenti in queste circostanze. Le urne con le ceneri dei bambini erano quindi seppellite sulle pendici di piccole alture, chiamate tofet, che diventavano poi luoghi di culto.

Presso la cultura fenicia si celebrava anche una cerimonia che si potrebbe definire come prostituzione sacra. Ogni donna, una volta all’anno, ed in occasione di particolari festività, concedeva il proprio corpo al fine di consentire all’uomo che ne avrebbe usufruito di collegarsi direttamente con la divinità.

Sviluppato era anche il culto dei morti. Il defunto veniva interrato in tombe ricavate nelle rocce e custodito all’interno di singolari sarcofagi. Accanto ad esso venivano poi disposti cibo, vestiti e oggetti vari che lo avrebbero aiutato nell’altro mondo.

Una delle necropoli fenicie più grandi del Mediterraneo si trova a Cagliari, in Sardegna, in un colle chiamato Tuvixeddu. Questo patrimonio storico inestimabile rischia ora di venire usurpato dal partito del cemento, che nulla ha a che fare con le pratiche religiose o sovrannaturali, anzi, è tutto umano, “troppo umano” come diceva il filosofo Nietzsche.

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