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Quando si pensa a un confine – naturale o artificiale che sia – la nostra mente è portata ad associare questo termine a una linea di demarcazione che delimita un territorio e lo separa da qualcosa che è “altro”, sia esso uno stato, una regione, una proprietà.

In realtà l’etimologia di questa parola – dal latino “confine, is” sostantivo neutro dell’aggettivo confinis = ciò che confina, fig. ciò che è affine, simile – è in grado di suggerirci anche altro, indicandoci all’occorrenza una somiglianza, un elemento di coesione e di continuità rispetto a qualcosa che è vicino.

Nel Mediterraneo esistono luoghi dove i “confini-limiti” passano in secondo piano per lasciare invece spazio, fra stupore e meraviglia, a “confini-affini”, tanto affini da non essere quasi più confini, all’interno dei quali si sono incontrate in passato – e continuano tuttora a dialogare e a mescolarsi – culture, religioni ed espressioni artistiche apparentemente così diverse tra loro ma in realtà così sintoniche una volta compenetrate le une alle altre. Questa affermazione, che sulla carta potrebbe sembrare l’enunciazione di un ideale utopico in un’epoca in cui l’“altro da noi” genera solo sospetto e intolleranza, trova la sua indubbia traduzione nella pratica in Andalusia, in particolare nella Mezquita di Cordova.

L’Andalusia è uno dei pochi territori al mondo che possono vantare una storia fatta di amalgamazione di culture, la cui stratificazione è ancora facilmente visibile agli occhi di qualsiasi turista. Infatti, questa affascinante regione situata nel sud della Spagna e scoperta in epoca fenicia, nel corso dei tre millenni successivi è stata poi colonizzata da numerose civiltà, ognuna delle quali ha contribuito a lasciare la propria impronta e le ha conferito lo spiccato carattere di tolleranza, che tuttora anima i suoi abitanti.

Dopo la lunga parentesi che dal III secolo a.C. vide l’Andalusia essere una delle province più efficienti dell’Impero Romano e dopo l’occupazione dei Visigoti (VI sec. d.C.) fu quindi la volta, a partire dal 711, dell’invasione dei musulmani della dinastia Omayyde. Questi ultimi si espansero in breve tempo nella penisola iberica riuscendo anche a superare la catena pirenaica, salvo poi essere fermati a Poitiers dall’esercito franco di Carlo Martello. Nel Medioevo l’insieme delle terre spagnole in possesso dei musulmani veniva chiamato “Al Andalus”, nome che venne poi ereditato dalla regione in cui essi rimasero per più tempo (poco meno di otto secoli), mentre il resto della Spagna veniva gradualmente riconquistata dall’avanzata cristiana. Durante l’era musulmana l’Andalusia divenne famosa per la libertà religiosa che permise alle sue tre culture, quella islamica, quella ebraica e quella cristiana, di convivere pacificamente, raggiungendo un livello di civiltà tra i più avanzati d’Europa.

Questa breve premessa storica può aiutare il visitatore a non stupirsi quando, camminando per le strade di Cordova gli capiterà di imbattersi – vicino al quartiere ebraico della città – in un monumento che, oltre ad essere una delle principali testimonianze artistiche islamiche in Europa, è anche un esempio significativo dell’architettura gotica e rinascimentale dell’Andalusia cristiana: la Mezquita, oggi Cattedrale di Santa Maria di Cordova.

L’edificio venne costruito dove in precedenza si trovava la chiesa visigota (cristiana) di San Vincenzo che, all’arrivo dei musulmani in Spagna, in un primo momento venne suddivisa e utilizzata contemporaneamente da entrambi i culti. Più tardi l’edificio cristiano venne fatto demolire per far spazio alla Grande Moschea che, dopo numerosi ampliamenti e modifiche, arrivò ad avere un’estensione di 23.000 metri quadrati, tale da renderla una delle moschee più grandi del mondo. Nel 1236, quando i cristiani riconquistarono Cordova, la Mezquita fu convertita a cattedrale e questo comportò, inevitabilmente, una sua grande trasformazione.

L’impatto visivo che si ha quando si varca l’ingresso è fortissimo per via della spettacolare moltitudine di colonne in fila – circa 850 (si pensi che dopo l’ultimo ampliamento e prima della riconquista dei cristiani le colonne erano addirittura 1293) – di marmo e granito che si ergono di fronte allo sguardo esterrefatto del visitatore, formando una serie di archi di pietra bianca e rossa che ricordano degli alberi di palme. Inoltre, elemento di grande importanza all’interno della moschea è la qibla, il muro che sarebbe orientato verso la Mecca e che indicava il luogo verso cui pregare, e di suggestiva bellezza è anche il mihrab, la nicchia che custodisce il corano.

Ma lo stupore del turista è destinato a crescere appena giunge alla consapevolezza che proprio nel cuore della Mezquita oggi si erge la Cattedrale di Santa Maria, realizzata nel XVI secolo su decisione del Vescovo di Cordova che desiderava per gli abitanti della città un santuario più sontuoso. Il progetto di Hernán Ruiz il Vecchio comportò la demolizione di una parte importante del centro della moschea, rompendo così la prospettiva della foresta di colonne, per far spazio ad una chiesa a pianta a croce latina, di per sé una meraviglia architettonica che fonde pregevolmente numerosi stili, da quello fiammingo, al rinascimentale, fino al barocco.

Una Cattedrale in una Moschea: incredulità e compiacimento, solennità e magnificenza, stupore e riverenza, tolleranza e rispetto si mescolano mentre si passeggia – tra la selva di colonne rosse e bianche, tra crocifissi e simboli musulmani ancora intatti – in un luogo dove il tempo sembra essersi fermato e dove non sembrano esistere confini culturali e religiosi.

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