Libia - resti di un villaggio colonico destinato ai libici
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Il territorio libico ha vissuto in epoca coloniale una continuità spaziale legata ai bruschi movimenti di dominio della potenza occupante, in un sussieguo di eventi di portata drammatica accompagnati da periodi di imposta stabilità, nei quali si è discusso anche del destino delle cosìddette popolazioni sottomesse, colonizzate.

Si è trattato di un inglobamento lento e costante nel processo di occupazione e di concezione eurocentrica teso alla marginalizzazione dell’elemento indigeno, per cercare di coinvolgere il quale si crearono associazioni ed organizzazioni funzionali ad uno scopo apparso di natura separatoria e razzista. Terminata la “riconquista” e la “pacificazione” manu militari del Paese ad opera di Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani e nominato nel 1934 Italo Balbo Governatore unico della Libia (nata artificialmente dall’unione di Tripolitania e Cirenaica), la politica del fascismo si rivolse ai musulmani libici in una veste apparentemente nuova, quasi di rottura con l’appena conclusa fase di brutale occupazione; si trattò infatti di un tentativo di collocamento indigeno all’interno della società, che si stava trasformando in una colonia di popolamento e che puntava ad un ruolo specifico di sudditanza autoctona a supporto di questo progetto egemonico. Si sviluppò pertanto in questa direzione indottrinante l’istituzione della GAL (Gioventù Araba del Littorio), un corpo di preparazione ideologico militare costituito da giovani libici e suddiviso in due sottosezioni: gli “Atfal”, includenti i bambini fino a dodici anni di età, e gli “Shubban”, formato da ragazzi di età compresa tra i tredici ed i diciotto anni1.

L’adesione a questa organizzazione era considerata, così come per gli adulti l’affiliazione all’Associazione Musulmana del Littorio, una sorte di conditio sine qua non ai fini dell’ottenimento della “cittadinanza italiana libica”, un ibrido giuridico creato dal diritto coloniale per affermare la volontà di assimilare il “diverso”, anche se in maniera quasi del tutto a-omologante.

Durante tutto l’arco cronologico coloniale in Libia non sono mai mancate discussioni, tesi e normative sullo status delle popolazioni indigene; i primi decreti recano la data del 1° giugno e del 31 ottobre 1919 e riguardarono il concetto di “cittadinanza italiana per i nativi di Tripolitania e Cirenaica”2: siamo nel pieno delle concessioni statutarie di epoca liberale e l’obiettivo di questi decreti sembrava includere gli interessati nel sistema giuridico della “madrepatria”. Attraverso questa concezione il libico veniva de facto inserito in un sistema che comprendeva anche taluni diritti politici ed elettorali, stante l’opportunità di partecipare alle assisi parlamentari regionali che furono create proprio in questo periodo di transizione, quando si pensava alla necessità di dover scendere a patti con i rappresentanti delle lotte arabo- berbere anti italiane sfociate in guerriglia interna, in particolare nella Cirenaica e nel Gebel Nefousa.

L’avvento del fascismo modificò in parte, e poi del tutto, la situazione sino ad allora vigente: politicamente furono aboliti gli statuti e i parlamenti e venne legiferato (Governatorato De Bono, 1927) un decreto volto alla sostituzione del concetto di cittadinanza italiana libica in una sorta di “cittadinanza coloniale”; i sudditi colonizzati venivano posti in una sorta di equiparazione regionale – ossia tra “Tripolitani” e “Cirenaici”- ma in una posizione di inferiorità rispetto agli occupanti.

La fine forzata delle ostilità e l’arrivo di Balbo segnarono l’inizio di quella politica di italianizzazione dei possedimenti d’Oltremare da compiere ad ogni costo: ciò significò che se da un lato si diede inizio ad un modesto riavvicinamento con il mondo musulmano libico, attraverso lo sdoganamento e l’istituzionalizzazione di una parte dei fedeli e delle confraternite considerate leali, che andò di pari passo con il risanamento e l’edificazione ex novo di alcuni luoghi di culto e la costruzione di villaggi colonici libici per il progetto di colonizzazione demografica, dall’altro, abbiamo detto, si cercò di assimilare ed irregimentare il nativo inglobandolo nel nuovo sistema della “quarta sponda”.

Il progetto del gerarca ferrarese di equiparare questi fedelissimi, considerati avanguardie arabe del fascismo, agli italiani di Libia con la concessione della piena cittadinanza venne affossato dalla netta opposizione del Gran Consiglio e dalle leggi razziali, promulgate nel 1938.

Si giunse dunque all’emanazione di un nuovo Regio Decreto (n. 70 del 09/01/1939) che confermò nell’indottrinamento il “cittadino italiano libico”, distinto e suddito rispetto al colono e istituì, sulla base di criteri di benemerenza, la “cittadinanza italiana speciale”3: una sorta di premio fedeltà che il regime concesse per i libici che si erano particolarmente distinti nella contestualità canonizzata.

Ragionando a posteriori, possiamo certamente affermare che questo processo non riguardò che una minima parte degli “aventi diritto”, tenuto conto che il reclutamento attivo avvenne principalmente nelle quattro province create dal nuovo Governatorato (Tripoli, Misrata, Derna, Benghazi) e ad ogni modo fu largamente boicottato. Molti libici preferirono infatti estraniarsi da questo sistema di ingerenza esterna evitando, ad esempio, di iscrivere i propri figli alle scuole italo-arabe4 e affidandosi al mantenimento del proprio statuto personale, in un certo senso rimasto inalterato durante il periodo coloniale5; un modo, questo, di rifiutare un dominio mal tollerato e imposto con la forza delle armi.

1 Fonte Wikipedia

2 Florence Renucci, La strumentalizzazione del concetto di cittadinanza in Libia negli anni trenta, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2004- 2005, n° 33- 34, pp. 319- 342

3 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Libia, vol. II, p. 240

4 Abbiamo già parlato del ruolo di alcune donne libiche nell’educazione parallela in Cirenaica: https://www.mediterraneaonline.eu/it/08/view.asp?id=1291

5 Claudia Gazzini, “Saranno rispettati come per il passato”: la politica coloniale italiana e le fondazioni pie in Libia, Quaderni Storici n° 132, 2009, pp. 653- 685

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