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Circe
Circe

di Silvia Nebbia

Elena, Circe, Medea, Giunone, Penelope, Cleopatra, Venere. Maghe e dee del nostro dna culturale. Gesù riabilitò Eva e Maddalena, poi vennero tempi in cui un neo sul viso bastava per il rogo. Sante o dannate, le donne sono relegate ancora troppo spesso nel ruolo di “bella e scema” o di “mater” (possibilmente dolorosa). Eppure trabocchiamo di imprenditrici, scienziate e giornaliste al fronte, possiamo fare sesso con chi ci pare, raggiungere serenamente un sano orgasmo, divorziare, dichiarare di essere gay e persino votare (da soli 60anni).

Ma. Guadagniamo meno dei nostri corrispettivi maschili, usciamo dal mercato del lavoro in crisi e, se subiamo violenza, la “colpa” si sa, è del nostro comportamento provocatorio e complice.

L’Italia è (per un pelo) nel G8 ma non ha asili nido, non fa ricerca scientifica, non sostiene la famiglia, non agevola il lavoro femminile. L’Italia ti consiglia di “sposarti uno ricco”, di accettare compromessi, di rinunciare ai figli per pagare l’affitto e di non raccontare che il tuo patrigno ti toccava o che tuo marito ti picchia fino ad ammazzarti: non sta bene. Ma questa è la parte migliore. Ci sono donne che partoriscono sui marciapiedi solo perché sono “straniere”, quindi non umane, ci sono donne che si realizzano nello shopping, ci sono ragazze cui muore il fidanzato in un incendio di fabbrica o in un agguato razzista. E ci sono donne assoggettate a rituali tribali. Come le donne di camorra.
Mai sotto una donna è l’imperativo del maschio a sud di Gomorra. Il San Giorgio, il San Sebastiano del tremila, Roberto Saviano, ci ha raccontato i riti e i codici sessuali delle “famiglie”, tutti basati sul priapismo culturale. La donna non esiste se non come specchio del suo uomo (accade persino nei salotti, se vogliamo).

Se un camorrista è in galera la sua compagna deve essere sciatta, dimessa, struccata: lo si vede ai processi, dove le donne che lanciano baci sembrano più le suocere che le mogli degli accusati. Mettere il rossetto, lo smalto, tingersi, vestirsi con cura è segno di tradimento. Solo quando l’affiliato è libero e comanda la sua donna riprende identità e le è concessa la bellezza: di riflesso e in esclusiva. Non si contano le sentenze di morte per chi ha osato corteggiare una ragazza già promessa. Chi può toccare la moglie di un boss? La donna è come il territorio: proprietà assoluta del maschio. La vedova deve aspettare 7 anni prima di guardare un altro uomo e per risposarsi le occorre il placet dei figli maschi. La cronaca ci offre notizie su troppi omicidi dei trasgressori.

La donna deve stare sotto, a letto come nella vita, può dare sentenze di morte ma non avere un amante o lasciare un uomo, né tanto meno godere di un connilinguo: un “vero uomo” usa la lingua solo per bere, per il sesso c’è il pene, che è come un’arma. Se uccidi la moglie di un boss puoi essere perdonato ma se ci scopi sei morto sicuro. Alla perdita di un congiunto, lutto severo (con un intimo rosso a ricordo del sangue e della vendetta). Le donne di camorra vivono in un burka semantico che grida: il potere è maschio. Persino il lamento funebre deve avvenire attraverso i codici del “Planctus Mariae” ( Stabat mater dolorosa…) un pianto che ha radici lontane: in Grecia, in Egitto.

L’iconografia di Maria si sovrappone a quella della più celebrata divinità femminile del Mediterraneo, Iside. Entrambe hanno tratti delicati e tengono un infante, entrambe guariscono gli infermi e sono inseminate dallo spirito. La via crucis delle donne di camorra (e non), porta al mito di Sisifo: Non sfidate il potere degli dèi o sarete tormentati e poi uccisi.

Nell’aprire il suo nuovo lavoro “La bellezza e l’inferno”, Saviano si appella a Camus e infatti, Sisifo, nel testo di Camus, vince sulla pietra e sugli dei perché è cosciente, quindi padrone del suo destino. Grazie a te l’inferno si allontana Roberto, e tu sei bellissimo.

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