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Maionese
Maionese

di Silvia Bertolla

Poeti, scrittori, pittori, scultori, architetti, musicisti, stilisti, registi… Nel magico stivale c’è proprio tutto: il 70% delle opere d’arte mondiali, secoli di storia su cui si può tranquillamente passeggiare, la torre che pende, la città sull’acqua, il Colosseo, Napoli, Dante… La nostra ricchezza attrae, incuriosisce e affascina viaggiatori provenienti da paesi lontani, da paradisi terrestri, emozionanti e sublimi. Siamo visti nel bene e nel male, possiamo piacere o non piacere, ma una cosa è certa: siamo i re incontrastati dell’arte culinaria.

Credo che sia una consapevolezza che qualunque italiano acquisisca non appena metta il muso fuori dallo stivale. Personalmente ho iniziato a rendermi conto di quanto fossimo speciali tra i fornelli quando avevo tredici anni, nella classica vacanza studio in Inghilterra; prima esperienza in un paese straniero in cui tutto risulta un successo, tranne il cibo!

Da quel momento in poi ho iniziato a prestare più attenzione alle prodezze culinarie di nonne e mamme e nel corso dei venti anni successivi a dichiarare sempre più apertamente che anche in cucina, noi italiani, siamo dei veri artisti. Per noi mangiare è un rito: noi apparecchiamo tavola, prepariamo il cibo dedicandoci ad esso con devozione, dal momento in cui si fa la spesa alla realizzazione vera e propria, richiamiamo all’ordine i tutti i commensali quando i piatti sono serviti, come in un campo di addestramento, con campanelli o tamburelli occasionali (nelle rappresentazioni più classiche sono padelle percosse da enormi cucchiai di legno) e finalmente ci sediamo e incominciamo! In Nuova Zelanda ho vissuto su un furgone per nove mesi, ma non c’è stato giorno in cui anche solo per un insalata, io e la mia compagna, avessimo pensato di mangiare in fretta e furia, o “di strangusciun”, come dicono dalle mie parti.

Rigorosamente sedute, con tanto di tavolino, inventato sul momento, su cui mai potevano mancare olio (italiano, comprato al ristorante “Bella Napoli” in latte da 10 litri perché se l’olio non è buono è inutile cucinare), sale, pepe, pane, posate e tovaglioli. Che fossimo italiane è stato chiaro per tutti fin dal primo momento, perché, anche nell’arrangiarsi in una vita di vacanziere all’avventura, sul cibo, le sane e radicate abitudini, erano degli automatismi consolidati e per noi indiscutibili.
La ricchezza degli italiani a tavola salta all’occhio proprio dall’altra parte del mondo o comunque fuori dall’Italia, dove l’ospitalità ti viene data a braccia aperte in cambio di performance culinarie, dove il nostro bagaglio di esperienze, in mezzo ai degli “hamburger dipendenti”, sfavilla con cene improvvisate in mini cucine inadatte e poco attrezzate, ma che un italiano sa trasformare in meno di due ore per fare tagliatelle a mano e coniglio alla ligure (giuro l’ho fatto, per 15 persone), o su una barca oceanografica di 50 spagnoli che, gasati dall’avere un’italiana a bordo, richiedono a gran voce il Signor Tiramisù (impossibile dire di no e onorata di cotanta tradizione alle spalle, in mezzo ad un equipaggio di affamati, ho fatto il Tiramisù per 50 persone).

Non dimenticherò mai gli occhi esterrefatti di altri giovani (non italiani ovviamente) con cui mi è capitato di imbattermi nelle cucine comuni degli ostelli. Vi posso assicurare che all’opera non vedevano certo Vissani, ma il fatto di essere un’italiana ai fornelli riusciva a creare curiosità e scalpore per qualsiasi soffritto o sughetto bollisse in pentola (come fossi una strega alle prese con pozioni magiche) o per riuscire a creare da un uovo, sale, olio e una punta di aceto la maionese… qualcuno ha persino osato chiedere “ma.. la maionese si fa?”…

Vi risparmio gli intrugli che invece hanno lasciato esterrefatta i miei di occhi in quegli ostelli o le peripezie che ho visto fare ad un caro amico californiano tutto entusiasta nel cucinarci un pesce al forno fresco con una spropositata quantità di ingredienti “sinistri” (come patate fritte a fare da letto al povero pesce già impanato con biscottini di sesamo sbriciolati ad uso pan grattato e ricoperto di spinaci previamente fatti saltare con succo di arancia e limone in padella). Tornando alla ricchezza della tavola italiana che spesso appare esagerata e opulente (mi riferisco agli interminabili pranzi per le occasioni speciali in cui gli occhi si fanno più grandi della bocca e le quantità di cibo che vediamo scorrere sulla tavola le rivediamo anche i giorni seguenti la “grande abbuffata” perché c’è da finire sempre qualcosa), il nostro vero segreto, la nostra più grande ricchezza, appunto, è quella di saper giocare con pochi ingredienti, ma buoni, per allettare palati con gusti semplici, che mantengano l’autenticità dei sapori. Un branzino fresco ha bisogno di un buon olio, aglio, sale e pepe e ci lascia in un’estasi culinaria per ore..

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