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È indiscutibile il fatto che il riso, assieme a mais e frumento, sia una delle colonne portanti dell’alimentazione mondiale per circa la metà degli abitanti del pianeta con un aumento del consumo pro capite globale favorito dalla Rivoluzione Verde e dalle nuove varietà ibride che hanno di molto semplificato la coltivazione del cereale e maggiorato le rese. L’economia che ruota attorno al riso lo porta sulla tavola di tre miliardi di persone quotidianamente, dando vita ad un indotto che coinvolge un miliardo di lavoratori.

I popoli del Mediterraneo conobbero il riso dopo la conquista dell’Asia da parte di Alessandro Magno e Teofrasto, contemporaneo del condottiero, il quale è stato il primo a dare descrizione della pianta nei suoi trattati, parlandone come di un cereale che cresceva in acqua dopo lungo tempo ed i cui semi erano particolarmente idonei ad essere bolliti onde soddisfare il fabbisogno alimentari dei popoli asiatici. Aristobolo, compagno di Alessandro in diverse campagne militari e durante le spedizioni in Asia, ci dà addirittura notizie più dettagliate: il riso era una pianta che poteva raggiungere i quattro piedi di altezza, aveva abbondanti spighe, era ricca di semi, coltivata in aiuole chiuse e ben irrigate. Nei suoi appunti di viaggio annotò che esso si coltivava nelle terre solcate dal Tigri e dall’Eufrate e nella Battriana, corrispondente all’attuale Afghanistan, a dimostrazione che fosse arrivato in questi luoghi prima di Alessandro Magno, raggiungendo il Medio Oriente prima del IV secolo a.C. senza però trovare diffusione nelle regioni limitrofe del Mare di Mezzo.

In una sorta di portolano del primo secolo d.C., il Periplo del Mare Eritreo, vengono riportate anche notizie commerciali da cui trapela che il grano ed il riso erano prodotti scambiati frequentemente lungo le rotte del Golfo Persico e del Mar Rosso ed erano destinati ai mercanti della Penisola Araba… è da questa area che il riso inizierà a diffondersi sulla sponda del Mar Mediterraneo, approdando per la prima volta in Egitto. Per quanto fossero note le consuetudini alimentari degli altri popoli e la dieta basata sul riso, Orazio ci riporta che per gli Antichi Romani era visto più che altro come una spezia per formulare un decotto medicamentoso che i medici del tempo prescrivevano per i pazienti più facoltosi.

È scientificamente provato che il consumo regolare di riso abbia ridotto l’obesità tra la popolazione dei paesi che ne fanno maggior consumo e ciò potrebbe essere associato alla ricchezza di fibre ed alla povertà di grassi contenuti in esso, al fatto che induca il senso di sazietà e, considerando il moderato indice glicemico, che tiene anche sotto controllo la produzione dell’insulina.

Il riso comunque mette tutti d’accordo a tavola, pur con sfumature di sapori e ricette diverse a seconda della nazione e, se per gli orientali esso è un simbolo di purezza, abbondanza e fortuna, tanto vale anche per gli occidentali: infatti il tradizionale lancio del riso sui novelli sposi serve proprio ad attirare su di loro sorte e felicità.

Per Gerardo De Santo, chef e sommelier del riso nonché partecipante alla settima edizione di masterchef, questo cereale è più che un semplice cibo: è una vera e propria passione ed una ragione di vita.

Di origine beneventana, sia da parte di madre che di padre, Gerardo nasce a Novara nel ’65 e, per il suo lavoro da IT Consultant ed Analyst ha trascorso circa 5 anni tra Amburgo, Berlino, Monaco di Baviera, Londra e Parigi, e dopo queste esperienze oltre frontiera si ristabilizza nella sua città piemontese di origine. Il rapporto che Gerardo ha col cibo è totale ed incondizionato e si esprime attraverso una cucina che vuole essere tradizione ed innovazione, ricercatezza ed estetica, prediligendo però la cucina del Sud, i risotti ed i primi in genere. Uno dei tributi a questa grande dedizione per l’arte culinaria e la città di Benevento si traduce in un piatto che costituisce uno dei suoi tanti biglietti da visita: la pastiera beneventana di riso al liquore Strega… e scusate se è poco! Tra le frasi in cui Gerardo, redattore di una rubrica sul riso su Foodclub.it, si riconosce abbiamo “la mente non è un vaso da riempire ma un fuoco da accendere” ed “esiste solo un bene la conoscenza ed un solo male l’ignoranza”.

L’altra attività professionale di Gerardo concerne l’information Technology che lo porta a fare studi di fattibilità ed analisi di mercato: è analista informatico per prestigiose maison dell’alta moda come Zegna, Gucci attualmente e Dolce & Gabbana nel primo lustro degli anni 2000. Da ciò è facile capire il perché Gerardo sia una persona pragmatica, riuscendo ad essere tecnologico ed umanista al tempo stesso. Prende ispirazione dai grandi maestri della filosofia, Socrate, Platone ed Immanuel Kant per citarne alcuni, e non a caso dopo un iter studiorum incentrato sull’economia vira letteralmente di bordo per iniziare dapprima un percorso filosofico da autodidatta, per poi conseguire a Milano un attestato sulla Filosofia Greca e Psicanalisi. Se provaste a chiedergli se “Platone è meglio del Prozac” Gerardo annuirebbe senz’altro ed aggiungerebbe, cogliendo appieno il metodo p.e.a.c.e, che la filosofia non è sapere ma indagine ed introspezione. Inoltre crede nell’educazione diffusa e pertanto al Metodo Montessori, crede nell’importanza della scuola e nel valore dell’insegnamento e reputa fondamentale il ruolo dell’anziano nella società civile. Quando asserisce che il colpo di genio della cristianità sia stato quello di inventare l’anima si evince quanto sia un fervente sincretico, chiaramente non cristiano e con la convinzione che la sindrome di Stendhal esiste e che prima o poi la bellezza trafiggerà tutti.

Libri, Film, Hobbies, Programmi e Sport preferiti…

Il libro che certamente prediligo su tutti è Il Simposio di Platone, sicuramente i libri di filosofia, saggistica in generale e di psicanalisi. Tra i programmi che mi piace vedere sicuramente di sono quelli sulla salute, i documentari sui viaggi e la natura. Mi piacciono i film d’autore con trame di profondità. Partecipo alle e-races e seguo sport come la formula uno, il tennis, lo sci, la pallavolo ed il calcio.

Animali da compagnia o con cui sente affinità?

Avevo una gatta norvegese dal pelo lungo e perlato una volta. Anche se adesso non ho più animali in casa continuo ad avere affezione per i gatti ed un’affinità in generale per i felini in generale e i delfini: hanno in comune eleganza, senso della libertà ed una grande capacità di lettura del linguaggio del corpo.

Un aneddoto che la riguarda personalmente e che l’ha segnata positivamente…

In realtà avrei da raccontarne due. Sono stato militare a Merano come alpino nel IV corpo di armata partecipando ai soccorsi durante la frana in Valtellina dell’87 e quello che ho visto non è stato affatto piacevole ma ho tratto molti insegnamenti da questa esperienza segnante. In termini assolutamente positivi cito la nascita dei miei figli Luigi nel ’94 e di Lara nel ’98.

Il riso è il cereale più importante per l’alimentazione di almeno metà della popolazione del pianeta e viene consumato prevalentemente in Asia. Come si configura storicamente il riso nel contesto mediterraneo e che ruolo ha assunto oggi?

Il riso introdotto in Italia è della specie “Oryza Sativa” e della sottospecie “Japonica” che ha una buona adattabilità alle basse temperature. Di quest’ultima tipologia risicola venne diffusa nella nostra penisola specialmente la varietà dalla forma a granello tondo. Rispetto al riso in generale bisogna ricordare che in origine gli fu affibbiata l’etichetta di medicinale o tutt’al più di ingredienti per dolci e questa tesi continuò ad essere valida fino all’alto Medioevo.

Si tramanda che il riso possa essere stato introdotto in Italia dai Crociati di ritorno dalle battaglie nella Terra Santa, oppure dagli Aragonesi a Napoli, dagli Arabi in Sicilia o dai mercanti di Venezia, i quali avevano rapporti commerciali con l’Oriente. Si sostiene pure che siano stati i monaci cistercensi provenienti dalla Francia e stabilitisi nella zona di Vercelli. Per quanto riguarda invece l’introduzione della coltivazione del riso in Italia, la teoria più accreditata riguarda il suo avviamento nei territori del Ducato di Milano e precisamente all’epoca del duca Galeazzo Maria Sforza. Dalla consultazione degli scritti storici si evince che il duca avviò la coltivazione già nel 1470 presso la sua tenuta di Cassolnovo nei pressi di Vigevano in provincia di Pavia. Oggi l’Italia è il paese mediterraneo che produce oltre la metà del riso di tutta Europa: il cereale viene coltivato per il 95% in Lombardia e Piemonte, mentre il restante 5% è distribuito tra Veneto, Sardegna, Emilia Romagna, Toscana, Calabria e Sicilia.

In quali termini potremmo definire il concetto di terroir per quel che attiene al riso?                                    

Sostanzialmente lo possiamo definire attraverso le stesse condizioni e caratteristiche previste per il vino, ossia clima, territorio e poi ciclo biologico, miglioramento genetico e metodi di coltivazione.

sdr

Il riso italiano è molto rinomato, ci spiegherebbe il perché e quali sono le principali cultivar nel nostro Paese?

Le varietà più rinomate son quelle da risotto anche se all’estero vengono esportate molto poco perché presentano un granello perlato che per gli stranieri è visto come un difetto, mentre per noi è assolutamente un pregio, tanto è vero che la UE nel 1989 ci chiese di produrre dei risi aromatici e comunque cristallini, simili al Basmati ed al Jasmine, in modo da diminuire le importazioni dal Sud Est asiatico di tali varietà e far circolare invece in Europa nuove varietà italiane quali Apollo, Gange, d altre. Pertanto le varietà più coltivate in Italia sono le cultivar da sushi come il Selenio o aromatiche, mentre quelle da risotto non sono ai primi posti come ci si attenderebbe e ciò lo si evince in base alla griglia varietale di cui al decreto legislativo 131/2017.

Un tempo al Sud del nostro Paese c’erano molte più risaie di quante ve ne siano adesso: ad esempio al tempo degli Arechi la diffusione di questo modello agricolo nelle province di Salerno e Benevento, piuttosto che in altre aree del Mezzodì, era piuttosto ampia. Oggi questa parte dell’Italia sta recuperando la coltivazione del cereale?

Si sta recuperando qualcosa soprattutto in Sicilia, precisamente nella zona di Lentini, mentre in Campania non sono molte le informazioni a mia disposizione, a parte quelle storiche già menzionate che fanno riferimento a quel che fu al tempo del Principato di Salerno. Oggi mi pare che vi sia qualche azienda nell’area nolana, a San Paolo Belsito, che si occupa esclusivamente della lavorazione di materia prima proveniente dal Nord.

Sarebbe corretto asserire che, un po’ come per la vite, il riso può essere classificato in varietà aromatiche, semi aromatiche e neutre?

Possiamo certamente dire che ci sono più varietà aromatiche, altre che lo sono un po’ meno ed altre ancora che sono più insapori a livello palatale, ma tutte hanno qualcosa di percepibile a livello gusto olfattivo.

Tipologie di riso e loro impiego. Ce ne parlerebbe?

A parte una prima macro classificazione in riso comune originario, riso semi fino, riso fino e riso superfino che determinano le tipologie nel senso più stretto del termine, sarebbe più opportuno parlare di varietà. Ad esempio abbiamo il Carnaroli, ottimo per il risotto e le insalate di riso assieme al Baldo-Roma che, fino a qualche tempo fa, era il riso tipico per le arancine. L’Arborio è una varietà ancor più eccellente per i risotti e questo perché occorre meno condimento per mantecare, peculiarità che lo accomuna al Sant’Andrea, tra l’altro indicatissimo per i dolci. Il Vialone Nano è una varietà molto versatile e la si usa per risotti, minestre, paella e timballi. Il Riso Ermes ed il Riso Venere, rispettivamente rosso e nero, sono entrambe varietà di riso integrali e quindi piuttosto tenaci in cottura ma vanno benissimo per preparazioni a base di verdure, legumi ed anche col pesce. Il Rinaldo-Bersani, meglio noto come Ribe, è un riso parboiled che in pratica non scuoce mai, quindi eccellente per le minestre ed entro cui rientrano delle sottovarietà davvero vocate per il sushi come il Leonardo. Insomma c’è riso e riso e le varietà asiatiche, incluse quelle che servono per la produzione di sake, meriterebbero una trattazione a parte.

Different types of rice in spoons on wooden table, top view

A proposito di sake giapponese, è vero che le varietà di riso japonica non da tavola siano le più indicate per la produzione del fermentato?

L’affermazione che il riso più adatto per produrre il sake appartenga alla famiglia dei sakamai, appunto la macro famiglia varietale di riso giapponese non da tavola, è un’opinione molto diffusa avendo come caratteristiche granelli più grandi e morbidi al cuore, quindi più facilmente lavorabili anche se più costosi; credo però che ci siano altre varietà come quelle italiane, purché abbiano una bassa percentuale di amilosio, per le quali valga il tempo di fare delle valutazioni ed effettuare dei test mirati.

Pensa possa esserci spazio per un italico fermentato di riso con una sua chiara identità, rispettosa delle varietà risicole, innovativa e che non voglia essere una mera imitazione di un prodotto millenario come il sake giapponese?

Quanto sto per riportare è una notizia esclusiva che credo sorprenderà: è già in sperimentazione una varietà denominata Eu-Sake presso in campi IRES (Italian Rice Experiment Station) del mio amico agronomo ed esperto mondiale di riso, Massimo Biloni, di concerto con la ditta giapponese Yanmar che fabbrica macchinari per campi agricoli, con unica sede europea a Firenze.

Come si contraddistingue il suo stile di cucina e a cosa si ispira?

La mia cucina è basata su prodotti di eccellenza provenienti in particolar modo dal novarese, mia terra natia, sia dal beneventano, mia terra di origine, ma anche da ogni altra parte d’Italia dove primeggiano prodotti di eccelsa qualità. Insomma, nel nostro paese c’è l’imbarazzo della scelta grazie alla grande biodiversità che tutto il mondo ci invidia. Sono soprattutto attento alla sostenibilità ambientale, alla condotta agronomica ed alla filiera per avere sempre un quadro esaustivo sull’origine. Il riso d’altronde è come una grande tela bianca su cui sbizzarrirsi a dipingere ogni piatto ed a me piace spaziare molto dalle tecniche tradizionali a quelle più innovativa purché si valorizzi l’abbinamento tra il riso e la materia prima.

Con Valeria Marini

Da cosa nasce la sua passione per questo cereale e perché ha deciso di diventare un sommelier del riso?

Sono nato in mezzo alle risaie e mi cibo di riso sin dalla più tenera età, si tratta quindi di una passione che è quasi insita nel mio dna.

Ci parlerebbe della sua associazione per cortesia?

Acquaverderiso è l’unica società in Europa ad indire corsi professionalizzanti di analisi sensoriale del riso con annesso attestato valido in tutti i Paesi dell’UE. I due soci di maggior rilievo sono Massimo Piloni, docente agronomo e presidente della strada del riso vercellese, e Davide Gramegna, ossia il panel leader che ha escogitato il metodo particolare per affrontare l’analisi sensoriale del riso e che porta il suo nome. L’associazione è nata nel 2015 per promuovere la conoscenza e la cultura del riso italiano nel mondo con tecniche inedite e scientifiche. Si fanno incontri con corsi e test, didattica, schede di valutazione e feedback con esame finale. Tra visite presso risaie ed aziende, oltre alle lezioni, la durata può variare tra i quattro ed i cinque mesi. È costituita da persone di grande preparazione ed umanità, è inclusiva tanto da creare una piattaforma dove tutti gli attori della filiera si possono incontrare, migliorando costantemente il dialogo sulla cultura del riso.

Perché suggerirebbe un percorso sensoriale sul riso, a chi è rivolto e quali sono gli eventuali sbocchi professionali?

Intanto lo suggerisco per la piacevole atmosfera che si respira e per la possibilità di incontrare persone eccezionali che amano fare gioco di squadra, inoltre il percorso è aperto a tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mondo del riso o anche a coloro che vogliono implementare la loro conoscenza, che siano o meno del settore. Ciò vale naturalmente per gli stessi risicoltori, i sementieri, i collaboratori di aziende di lavorazione diretta del riso e complementari, nonché per i futuri sommelier del sake. È certamente un corso indispensabile tenuto conto che si avvale della professionalità di esperti mondiali del riso, docenti di analisi sensoriale in generale e di tecnologia alimentare.

Ci parlerebbe dei suoi progetti per il futuro?

Continuare a cucinare nelle location dove mi richiedono, proponendo i miei percorsi degustativi in cui il riso è sempre presente, continuare ad insegnare durante i corsi sul riso e risotti, divulgando la conoscenza del riso nelle mie oratorie in eventi. Sono sempre aperto a nuove proposte che potrebbero stuzzicare il mio interesse.

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