Rocce rosse
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Un piccolo gruppo di turisti del finesettimana sceglie come destinazione una spiaggia segnalata solo nelle guide turistiche più voluminose e per raggiungerla si affida alle coordinate GPS trovate nella guida. Quasi a destinazione, lungo la strada litoranea immersa nella macchia mediterranea sparsa tra le rocce di colore rosso ferroso, non trovano cartelli che indichino l’accesso alla spiaggia né, tanto meno, l’indicazione di un’area di sosta.

Una decina di macchine parcheggiate ai lati della strada è interpretato come l’indizio per il punto d’accesso al litorale, quasi come una caccia al tesoro. Nel tentativo di trovare un altro varco, proseguono sulla strada giungendo di fronte ad una struttura turistica abbandonata e dall’aspetto cadente, composta da tanti edifici uguali per forma e tutti di colore bianco, dalle forme del tutto inusuali per quel tratto di territorio selvaggio e, per questo, ancora meraviglioso. Gli edifici sono immersi nella grande area recintata dove, non più di quaranta anni prima, circolavano gli animali selvatici che hanno dato il nome alla spiaggia. La recinzione, che ormai arrugginita si mimetizza quasi perfettamente con la vegetazione, corre sul ciglio della strada per oltre un chilometro su entrambi i lati dell’ingresso impedendo ai vacanzieri l’accesso alla spiaggia.

Individuato quindi l’unico varco per la sospirata meta, quello in corrispondenza delle auto in sosta, il gruppo inizia la passeggiata percorrendo a ritroso una distanza simile a quella già percorsa sull’asfalto, ma questa volta abbarbicandosi su un sentiero fatto di salite e discese ripide e pericolose tra le rocce spigolose o tondeggianti e piccoli ginepri dalle forme scolpite dal vento e le cui radici, levigate dai passi, attraversano il sentiero. Lo spettacolo è goduto in pieno, anche grazie alla splendida giornata che durante la scarpinata mostra squarci di mare azzurro, celeste, turchese e smeraldo in forte contrasto con i rossi faraglioni che vi si tuffano a picco.

Scampati i pericoli della lunga camminata sotto il sole, si giunge a quello che De Andrè aveva definito paradiso: i colori superano le attese, la sabbia rovente e soffice invita a fare il primo bagno, l’acqua cristallina ristora dalle temperature torride. Il grande Mediterraneo trova in piccoli angoli di costa, luoghi di sosta e quieto riposo.

Il gruppo degli ormai bagnanti, guardando verso l’ombrellone vedono, al centro della piccola spiaggia non affollata, l’ingresso al complesso turistico che hanno dovuto aggirare percorrendo alcuni chilometri sotto il sole rovente. Se durante la lunga passeggiata sull’alta scogliera avevano notato che la struttura accedeva alla spiaggia direttamente dalla strada litoranea, dall’acqua vedono che il breve tratto risulta naturalmente agevole e, per di più, che il complesso risulta costruito sul letto del piccolo fiume che un tempo garantiva alla spiaggia il naturale apporto di sedimenti. Il gruppo di amici inizia un dibattito che porta al disgusto unito ad un po’ di rabbia dovuto alla presa di coscienza di ciò che è accaduto nel tempo e nel silenzio.

La struttura è stata realizzata a ridosso della spiaggia o, come dicono i più esperti, su una parte molto importante per la sua conservazione, distruggendo forse irrimediabilmente il suo sistema dunale che aveva la funzione di riserva di sabbia che vento e mareggiate usano, tra una stagione e l’altra, per ricostituire l’arenile eroso dai venti contrari e dalle mareggiate più forti. In nome della legittima proprietà privata, alla collettività è stato sottratto l’altrettanto legittimo diritto d’accesso più agevole al mare ed all’arenile.

Certo non sono mancati i riferimenti alle solite scusanti utilizzate da chi avvalla costruzioni simili, che ormai suonano come luoghi comuni: la popolazione le accetta magari in nome del progresso; oppure per “qualche posto di lavoro”, non rilevando da subito che saranno pochi e di soli due mesi all’anno; per qualche metro cubo di cemento “che rimette in moto l’economia locale con il suo indotto”. I giovani, a cui intanto i piccoli pesci incuriositi nuotano tra i piedi, non risparmiano le forti critiche alle autorità che nel tempo hanno consentito, almeno coi fatti, che il diritto di accesso alla spiaggia fosse impedito al pubblico, se non aggirando proprietà per quasi due chilometri di sentieri pericolanti.

I nostri vacanzieri si rendono conto di fare discorsi che turbano la poesia di quel paradiso che li rinfranca rinfresca e culla con le sue lente onde dall’effetto massaggiante e trasformano per cui la discussione in una gara a chi immagina il modo più bizzarro, ed a tratti truce, di come restituire alla pubblica fruizione, agevole questa volta, la spiaggia, che fino a pochi anni prima era divenuta, di fatto, ad uso pressoché esclusivo della struttura turistica.

I vacanzieri sognano incursioni al chiaro di luna armati di accetta per ripulire i vecchi sentieri ancora distinguibili tra la vegetazione ed i massi rossi e di tronchesi per tagliare in tanti punti la recinzione arrugginita ed abbandonata come l’ecomostro. Invece per le responsabilità delle autorità, ispirati dalla dantesca pena del contrappasso, la gara mirava ad inventare il girone più perverso.

1 thought on “Il mare di tutti e lo sdegno dei turisti

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