Una vecchia tv
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Non ricordo quando è avvenuto l’incontro fra me e la TV, ma sono in grado di datare esattamente il giorno in cui il piccolo schermo è entrato nel mio paese: il 31 dicembre 1956.

Quell’anno il gestore di un piccolo emporio (un magazzino di poco più di 30 metri quadri dove si vendeva un po’ di tutto: piccoli macchinari agricoli, olio lubrificante, macchine per cucire, lampade, bombole di gas, “cucine economiche”, come si usava dire allora) decise il salto di qualità per farlo diventare un punto di riferimento per il paese e per l’hinterland.

Quel commerciante neppure trentenne, orfano di padre, cresciuto da bambino nei campi a raccoglier fieno, nei boschi a tagliar legna, in una fabbrica di laterizi a pressare mattoni di terracotta, si era trovato quasi per caso in quella avventura.

Aveva iniziato a lavorare da qualche tempo come garzone in quell’attività e la sorte gli venne incontro quando riuscì a rilevarla a un prezzo d’occasione (un vero affare!) dopo che il proprietario, travolto economicamente da un avventato tentativo di aprire altre filiali nel capoluogo di provincia, lasciò l’Italia per scappare in Argentina.

Decise che quello doveva essere il suo lavoro, e quel negozietto la vetrina dei nuovi prodigi della tecnologia che si affacciavano sul mercato, resi possibili grazie alla diffusione dell’elettricità anche nelle zone rurali.

La TV fu sicuramente una delle più rilevanti novità, anzi la più importante: un parallelepipedo nel quale magicamente apparivano delle immagini.

L’immediato Dopoguerra aveva già spianato la strada alla diffusione della radio qualche anno prima, ora toccava alla TV.

Che grande innovazione era stata per quei pastori e agricoltori, accompagnati per secoli esclusivamente dai suoni della natura, sentire concerti in diretta, ascoltare voci compite di speaker e venire a conoscenza delle notizie d’oltremare orgogliosi di essere parte di una nazione che ripartiva!

Ora, potere anche vedere concretamente cosa c’era, oltre il mare di Sardegna, in Continente, significava andare oltre, essere quasi testimoni di un miracolo, ospiti privilegiati del Regno d’Italia, anzi della Repubblica Italiana.

Ma erano davvero solo immagini? O dentro c’erano uomini, donne, cose in miniatura? Chissà.

Se ne parlava tanto nel capoluogo, e così quel giovane commerciante ne fece arrivare una, quasi un prototipo.

Alla notizia del nuovo arrivo la curiosità del paese fu incontenibile e lui si rese subito conto che dentro le pareti di quei 30 metri quadri non sarebbe riuscito a saziare lo spazio richiesto da tutti quegli sguardi. Non poteva tenerla per sé, chiusa dentro il negozio. Era troppo.

Così il 31 dicembre 1956, nel tardo pomeriggio, nella strada principale del paese, sistemò su un soppalco il primo apparecchio televisivo appena consegnato dal corriere.

Un piccolo gruppetto di compaesani cominciò subito a radunarsi incuriosito, diventando sempre più nutrito, una piccola folla insomma.

In quella piazza, all’aperto, in una notte di fine anno, le trasmissioni ebbero così inizio.

Quel giorno le telecamere entrarono al Quirinale, nello studio di rappresentanza del presidente Giovanni Gronchi.

Erano le ore 21 del 31 dicembre 1956, il presidente della Repubblica parlò in piedi, salutò “il primo decennio dell’Italia democratica” e, con un linguaggio antico e un po’ aulico, invitò gli italiani a essere “fidenti come sempre nell’aiuto di Dio e nelle virtù native del nostro popolo generoso”.

Silenzio fra gli astanti … incredulità … e poi sorrisi e commenti sul mirabolante dispositivo.

Per almeno un mese l’appuntamento di tutto il paese fu davanti a quel palco.

Arrivavano alla chetichella, con largo anticipo, per conquistare le prime file, e per decine di minuti stavano davanti alla TV accesa, mentre sullo schermo appariva il “monoscopio” della RAI con il suo inconfondibile sibilo, in attesa dell’inizio dei programmi: una annunciatrice, un quiz, un telegiornale, qualsiasi cosa.

Poi cominciarono i primi acquisti e, poco per volta, l’oggetto del desiderio cominciò ad entrare nelle case, fino a diventare un elettrodomestico necessario, tanto che l’arrivo settimanale in paese di un tecnico del capoluogo specializzato in riparazioni equivaleva quasi a quello di un medico salvavita.

Avere la TV fuori uso era come avere un malato in casa affetto da una malattia contagiosa che faceva star male tutti, perché privarsi di quell’elettrodomestico (del quale si era fatto a meno per tanti anni, spesso una vita) era come privarsi di un amore indispensabile.

Si presentavano nel negozio con aria mesta: “Mi si è rotta la televisione, funzionava fino a ieri… non ne avresti uno di riserva da prestarmi nel frattempo prima che venga riparata?” e soprattutto i più anziani si giustificavano: “Mi fa tanta compagnia, soprattutto la sera, prima d’andare a dormire …”

Sembra passato un secolo da quegli sguardi incantati davanti allo schermo a vedere il presidente Gronchi in bianco e nero che, seppur compresso da un cerimoniale rigidissimo, aveva emozionato quelle persone.

Eppure mio padre lo ricorda ancora come fosse ieri, e quando, invitandolo a rievocare quel giorno, gli ho domandato quale modello TV avesse sistemato su quel palco, mi ha detto sicuro: “Un Philips, modello originale olandese!”, esattamente come amava precisare anche allora, con orgoglio, ai suoi compaesani e clienti.

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