Parentela di latte
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Allattare figli non propri era un gesto gratuito della donatrice che lo viveva non già come un obbligo, ma come un dono. Il latte era ricevuto come dono o come una cosa per la quale si sentiva riconoscenza. Non si dava in primo luogo perché fosse restituito; allattare figli non propri, era un dono caritatevole, quindi un modo o una forma diversa del dono vero e proprio. Le motivazioni della “donatrice” erano soprattutto d’ordine morale, quest’ultima riconosceva il bisogno e aveva fiducia che altre madri avrebbero fatto come lei se un giorno si fosse trovata nella stessa situazione. In questi casi emergeva il carattere spontaneo del dono che non obbediva ad alcuna costrizione, esso obbediva piuttosto, come ricorda Mauss nel suo libro “Il saggio sul dono”, a un “moto dell’anima” e si esprimeva con gesti e parole che sottolineavano sempre e ovunque l’idea di una comunione, che il rito stabiliva tra due individui e che, nella forma di un vincolo spirituale, era poi destinata a protrarsi nel tempo. La gratitudine che il dono di latte suscitava, la riconoscenza, erano forme di restituzione importanti per le donatrici.

Veronica Matta, Il latte di mamma, latti de pettus o de titta, 2010

Nella Sardegna tradizionale, tra la gente povera, provvedere all’allattamento, era ritenuto di fondamentale importanza nell’economia, soprattutto se in casa c’erano bambini da crescere ed è proprio in queste occasioni che i rapporti tra vicini stretti si concretizzavano in una serie di scambi e di servizi, regolati dalla reciprocità. In Sardegna assai diffuso era il baliatico chiamato dall’antropologa Gabriella Da Re “comunitario o egualitario” che si effettuava spontaneamente e gratuitamente tra i gruppi meno agiati e non richiedeva un contraccambio necessario e immediato. Le donne del paese si rendevano disponibili ad alimentare i neonati altrui senza chiedere nulla in cambio.

“…Sa cosa no fiat (ra) cummenti a immoi, …sigumenti potamu mera latti mi potant is pippius de su bixinau e mi naranta, mi donas unu zicchéddu de latti Tzia M.?. No mi paganta, deu appu donau mera latti”, e mi naranta “Deu ti du paghiri” (la faccenda non era come adesso, … visto che avevo molto latte, mi portavano i bambini del vicinato e mi dicevano, mi da un centellino di latte Tzìa M.?; non mi pagavano, io ho dato molto latte, e mi dicevano “Dio te lo paghi” (M.P., 82 anni, Uta).

“De sa titta, cancunu si offriat (ra) po’ allattai fillus de atras, chi teniant latti mera, po’ esempiu, du fadiada cun praxeii, si allatada in pubblicu, non ci fiat bregungia, fiat una cosa naturali” (F.S., 85 anni, Lunamatrona). Era un fatto naturale, una carità, che spingeva a porgere aiuto a chi ne aveva bisogno, in questo caso ai bambini, e per il quale non ci si attendeva nessuna ricompensa, d’altronde “…Io il latte lo avevo” esclama con orgoglio un’informatrice.

Aiutare una donna sola in difficoltà equivaleva ad aiutare una sorella. “Difficilmente ci si sarebbe potuti rifiutare, era come quando uno le chiede un bicchiere d’acqua, anzi forse un bicchiere d’acqua è meno grave, perché un bambino ha bisogno del latte materno, il migliore latte che c’è …” (A.B., 76 anni, Assemini). “…..In bidda no ci fiant balias, ma si aggiuramus cun is atras femmias, custas no beniant pagaras, no no! Boccìanta e coxinant una pudda po issas, al massimo, si aggiuramus cummenti fiat (ra) possibili. Meras femmias anti allattau po mera tempus, assumancu cussu podemmus donai, femus poburis mera” (…in paese non c’erano balie, ma ci aiutavamo con le altre donne, queste non erano pagate, no no! Uccidevano e cucinavano una gallina per lei, al massimo, ci aiutavamo come era possibile. Molte donne hanno allattato per molto tempo, almeno questo potevamo donare, eravamo poveri, molto) (G.M., 82 anni, Siddi).

A causa delle frequenti morti di parto, e anche quando quelle madri povere, che per fisiche indisposizioni, non potevano porgere ai loro bambini un nutrimento bastevole e sano, il meccanismo del baliatico prendeva piede. “Aveva la mamma in punta di morte, me la portavano per un paio di giorni, l’allattavo io, a casa mia, e poi la riprendevano” (R.G., 80 anni, Assemini).

Si ricorreva al latte di donna per diverse motivazioni. Dalle testimonianze raccolte risulta che il baliatico, era assai diffuso, talvolta anche solo per il tempo necessario guarire dalle frequenti malattie al seno; altre volte si ricorreva alla “balia”, non per mancanza del latte ma perché non era buono, e il bambino veniva portato nella abitazione della balia per il tempo necessario a svezzarlo.

Lo scambio dei servizi e delle prestazioni avveniva soprattutto in occasioni di emergenza; anche il lavoro talvolta poteva impedire l’allattamento e in quei rari casi, che vedevano stagionalmente le donne nei campi, il neonato veniva spesso affidato ad una vicina, che lo avrebbe cosi accudito e nutrito. In questi casi il vicinato si prestava alla custodia dei bambini. “Ci fianta puru femmias chi traballanta mera in su sattu e chi no potiant allattai poita torranta a sa notti in domu, inzandu is pippius benianta allattaus de una atra femmia”, (c’erano pure donne che lavoravano molto in campagna e che non potevano allattare perché ritornavano la notte in casa, e quindi i bambini venivano allattati da un’altra donna) (A.B., 76 anni, Assemini). “Ricordo che mia cugina allattò una bimba di un mese, la mamma era vedova e madre di altri tre figli; usciva la mattina presto per recarsi nei campi e rientrava la sera tardi” (T.M., 76 anni, Villacidro).

Ma vi erano dei casi in cui il baliatico non rappresentava uno scambio tra eguali. Se il dono tra eguali riproduceva eguaglianza, il dono tra ineguali al contrario riproduceva ineguaglianza. Le signore di un certo ceto per paura di sciuparsi non allattavano i loro figli; un’informatrice ricorda che una donna del suo paese, all’estremo della povertà e madre di tanti figli, era stata assunta come balia presso la casa di una ricca signora, e per guadagnare qualcosa era stata costretta ad abbandonare i propri figli. “Po’ allattai is fillus de su vice direttori de sa miniera, beniat (ra) pagara, sciaraus is fillus de cussa femmia fiant rachiticus!” (per allattare i figli del vicedirettore della miniera, veniva pagata, poverini i figli di quella donna, erano rachitici!)(A.M.S., 58 anni, Iglesias).

Il dono o il compenso in natura obbligatori intervenivano quando la balia apparteneva a un ceto diverso da quello della famiglia destinataria del latte e incominciava a ricevere un compenso camuffato, con dei doni in natura (Da Re, Meloni 2000). “Donus in natura, trigu e casu” (P.L., 80 anni, Desulo). “…Is arriccus da paganta, is atrus, is poburus si aggiuranta a paris. In cambiu si fariat (ra) cancunu regallu” (i ricchi la pagavano, gli altri, i poveri, si aiutavano tra loro) (A.P., 80 anni, Capoterra).

Le donne che non potevano allattare, speravano di trovare qualche mamma disposta a dividere il proprio latte con i suoi bambini, andando alla ricerca di latte di donna; spesso si recavano, su consiglio del medico del paese, in casa della nutrice. “In su bixinau si sciriat (ra) chi una femmia iat parturiu e no tenia latti, fiat unu attu de cortesia de benificienza, de caridadi” (nel vicinato si sapeva se una donna aveva partorito e non aveva latte, era un atto di cortesia, di beneficenza, di carità) (E.C., 65 anni, Cagliari). Sembra assurdo, ma ancora è vivo, il ricordo di una povera donna che disperata faceva l’intero giro del paese per trovare il latte da dare alla sua figlioletta. “…Candu allattanta is fillus de is atras, no fiat issa chi andat (ra) in domu, ma fiant issas cussas chi no du potant, chi potant is fillus in domu mia, po cattru o cincu mesis appu allattau una pippia, po pagus mesis e un’atra po pagu, forzis poita sa mamma chi no teniat latti fariat (ra) su giru de sa bidda po buscai femmias chi podiant allattai is fillus” (quando allattavano i figli delle altre, non era lei che andava in casa, ma erano quelle che non lo avevano che portavano i figli in casa mia, per quattro o cinque mesi ho allattato una bambina, per pochi mesi, e un’altra per poco perché la mamma, che non aveva il latte, faceva il giro del paese per cercare donne che potevano darle il latte) (C.S., 87 anni, Siddi).

È pur vero che un rapporto di dono è in primo luogo un fenomeno di reciprocità, d’altronde nel passato il dono circolava nell’ambito dei rapporti comunitari, e ha certamente consentito lo scambio di merci, viveri e oggi di denaro. Ma le esperienze del dono non sono soltanto una realtà del passato. Il dono non è soltanto qualcosa di residuale o folcloristico come qualcosa che sopravvive; il dono riguarda anche le società moderne, complesse e industriali. Ancora oggi le donne che allattano e che hanno latte in abbondanza possono donare il loro latte ad appositi centri di raccolta: le Banche del latte umano. Che allattare faccia bene sia alla mamma sia al bambino è cosa risaputa, dall’allattamento al seno, entrambi traggono grandi benefici, sia fisici sia psicologici. Molte mamme non lo sanno, ma ormai in molte maternità e ospedali pediatrici funzionano banche del latte che raccolgono, anche a domicilio, il latte delle madri che decidono di diventare donatrici e lo destinano ai neonati che ne hanno bisogno. É provato che i bambini che hanno preso latte materno crescono meglio e hanno molte meno possibilità di contrarre malattie e recentemente è stato scoperto che favorisce lo sviluppo psico-intellettivo, in altre parole, che si diventa più intelligenti. Non a caso il mondo sanitario insiste per promuovere l’allattamento al seno come la migliore risposta alle esigenze alimentari e affettive del neonato. Mettere il latte in banca perché, oltre che al proprio bambino, può servire anche ad altri piccoli: nati prematuri, oppure con problemi al cuore, malattie dell’apparato gastroenterico, con difetti congeniti del metabolismo o affetti da AIDS. Ecco allora l’importanza della banca del latte umano. Abbiamo visto che una volta non era raro che una mamma allattasse anche il figlio della vicina, se questa non poteva farlo. Ora è di nuovo possibile, grazie alle “Banche del Latte Umano” che aiutano i bambini con difficoltà di crescita. La pratica della donazione del latte è iniziata ufficialmente in Italia proprio a Firenze, l/8 marzo 1971, quando per la prima volta gli operatori del Meyer andarono a prendere a casa di una donna un biberon del suo latte per i bambini dell’ospedale. Oggi, quella del Meyer è una delle più grandi banche di latte umano in Italia: in tutto una ventina, ma solo quattro o cinque le più grosse. Arruolamento delle donatrici, modalità di raccolta, stoccaggio, pastorizzazione, manipolazione e distribuzione sono modellate secondo le indicazioni delle associazioni scientifiche internazionali, che hanno tracciato linee guida per il trattamento di quello che, a tutti gli effetti, è un tessuto biologico allo stato liquido. Da allora, sono state 8.000 le donatrici, 2.000 i litri di latte donati ogni anno, e oltre 11.000 i bambini che hanno potuto usufruirne. Ad oggi ci sono diverse banche in Inghilterra, Finlandia, Stati Uniti, Canada, Australia e in Italia attualmente ne esistono alcune attive presso strutture pediatriche e/o neonatali (Firenze, Milano, Torino, Roma, Cagliari). La donazione è spontanea e le donatrici non sono retribuite. Il prelievo può essere effettuato o direttamente presso il lattario, che rimane aperto per 12 ore nei giorni feriali, o a domicilio della donatrice: il latte spremuto nel corso della giornata viene mantenuto nel frigo in contenitori di plastica sterili forniti dal lattario; per conservazioni più lunghe di 24 ore è posto nel freezer. Il latte può essere portato dalla stessa nutrice o dai familiari; oppure ritirato dal personale della banca, con l’automobile attrezzata. In definitiva, le esperienze di donazione sono molto diffuse anche nella nostra società; certo il dono è stato inevitabilmente privato di quei significati, che ne facevano il supporto organizzativo di un sistema di produzione pre-capitalistico, però esso “continua” a livello di rapporti sociali diversi e come uno dei tanti modi di adire alle nuove forme di scambio.

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