Hasna el Becharia ad Ancona
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Ancona (ITALIA)

6 settembre 2008

Ancona non l’avevo mai visitata: una città costiera dove transitano lente navi che vanno e vengono e che collegano le due sponde dell’Adriatico sino alla riva settentrionale mediterranea dello Ionio.

Ci sono dunque intrecci naturali che portano in questa deliziosa meta marchigiana, a volte transitanti a volte rimanenti, decine di persone provenienti da diverse regioni italiane e da Croazia, Montenegro, Albania e Grecia; un ponte ben posizionato, uno dei tanti luoghi di scambio commerciale e turistico intessuto di vitalità chiassosa.

Qui fino all’anno scorso si è tenuto un Festival di musica klezmer[1], espressione di riconoscenza culturale nata dall’importanza che ha assunto nel corso della storia la comunità ebraica della città; questa musica popolare si è originata all’interno delle comunità dell’Europa Orientale ed ha ricevuto una doppia canonizzazione storica, arricchendosi di influenze turche e greche pur mantenendo l’originario sentimento del suo popolo, fatto di drammi, partenze, divieti e orgogliose esistenze. Queste contaminazioni hanno probabilmente spinto gli organizzatori ad espandere l’area geografica del Festival, allargando gli orizzonti ed aggiungendo nuove sonorità strettamente connesse all’idea artistica originale ma che completano il viaggio musicale e culturale rendendoci partecipi di un meraviglioso itinerario composito.

Il I° Festival Internazionale Adriatico Mediterraneo è stato dunque una splendida occasione di dibattito e di ascolto, di incontro e di confronto, di conoscenze e di intense emozioni.

Mediterraneaonline, attraverso l’apporto dello scrivente, era presente nelle due serate conclusive, la notte mediterranea di Sabato 6 e la giornata di Domenica 7 Settembre coincisa con l’annuale Festa del Mare.

“La notte mediterranea – la voce delle donne”, così è stata definita nel programma della manifestazione la magnifica serata e nottata di sabato, ha presentato una serie di eventi dislocati in diversi luoghi cittadini spazianti dai dibattiti alle mostre alle attività musico artistiche ed infine una intera nottata di concerti all’aperto, uno più bello dell’altro; non era possibile per ragioni di tempo seguire tutti gli eventi proposti talmente erano numerosi, quindi vi scrivo qui di seguito il resoconto ed i commenti riferiti agli eventi cui ho preso parte.

Si comincia nella Sala Bianca della Mole Vanvitelliana con l’incontro “Non ho peccato abbastanza – la poesia araba al femminile”, nel quale sono intervenute la docente di Lingua e Letteratura Araba Valentina Colombo e la maestra di musica gnawa[2] Hasna el Becharia.

Il titolo del dibattito è lo stesso dell’ultima antologia di poetesse arabe curate dalla Professoressa, nella quale vengono smentiti ancora una volta i pregiudizi occidentali verso le donne arabe, viste troppo spesso come oggetti non pensanti e sottomesse alla volontà maschile. Esistono invece donne coraggiose che lanciano sfide quotidiane per il miglioramento delle proprie condizioni e che per fare questo innalzano, ciascuna con le proprie diversità ed unicità, inni e lodi che riguardano sensazioni e realtà quotidiane.

Oggi finalmente questo universo, sconosciuto anche a causa della mancanza di traduttori dall’arabo all’italiano e di editori coraggiosi, riesce a trovare il dovuto e meritato spazio vitale e culturale, un riconoscimento “tardivo” ma efficace per conoscere al meglio questa sfaccettata realtà; ad impreziosire questa presentazione non poteva mancare una grande donna, un’artista proveniente dal Sud del Sahara Algerino considerata una delle più famose cantanti del Paese e che ha aiutato a cementificare nella memoria dei presenti la voglia e la volontà di fare. Hasna è una vera e propria figlia del deserto essendo originaria della regione del Bechar dove ha vissuto fino al 1999 allorquando si è trasferita in Francia.

Suona musica gnawa sin dagli albori, in quanto proveniente da una famiglia di musicisti ed è un tipico personaggio dal carattere fiero e forte, uno di quelli che da fastidio insomma. Nelle sue composizioni mischia sacro e profano, in linea con la tradizione da cui proviene, intrisa di elementi che accomunano due diverse credenze religiose come l’Animismo e l’Islamismo ma anche di aggiunte esterne originali e questo può facilmente irritare un paese dove la diffusione delle teorie estremiste rappresenta un facile appiglio in una realtà, specialmente quella periferica, ancora oggi vuota e priva di prospettive future positive.

Sarà lei a concludere “Il canto di Lilith”, un progetto presentato in esclusiva nazionale incentrato sulla libera interpretazione delle voci e dei talenti artistici femminili che spesso non riescono ad esprimersi a causa di una cultura eccessivamente repressiva. Lo scopo dunque è quello di creare un circuito di gruppi di donne provenienti da diversi Paesi del Mediterraneo e far ascoltare in un’unica nottata diverse sonorità musicali dell’area, per apprezzarne comunanze e diversità.

Prima di immergersi nella serata abbiamo il tempo per visitare una mostra balcanico itinerante denominata “Cartoline dalla Serbia”, antologia di opere di Aleksandar Zograf e della nuova generazione di fumettisti serbi (Wostok, Sasa Mihajlovic, Mr. Stocca, Maja Veselinovic, Letac).

Le opere di Zograf e dei suoi più giovani colleghi sono veri e propri capolavori realistici ed ironici, raccontano realtà vissute in prima persona soprattutto durante i bombardamenti “intelligenti” della Nato negli anni ’90, poi perfezionatisi in seguito con resoconti volutamente ingenui riguardanti gli sviluppi politici e culturali di un Paese perennemente in bilico tra vecchi ricordi pericolosamente insanguinati ed un presente ancora pieno di incertezze.

Ma ecco scendere la sera mentre si passeggia lentamente dalla Mole Vanvitelliana verso l’Arco di Traiano, dove inizia il flamenco contaminato delle Las Migas (tradotto dallo spagnolo significa “Le Briciole”), un gruppo dalle origini disparate che suona con disinvoltura ed assoluta assonanza ed affiatamento, spaziando dall’approfondimento del flamenco classico delle origini, con un omaggio a Federico Garçia Lorca, al tango, alla musica circense, al fado, al jazz. La perfetta simbiosi delle quattro componenti trascinano il pubblico in una calorosa e meritata richiesta di repliche, che la Catalana Silvia Pérez Cruz, la francese di Sévres Isabelle Laudenbach, la Sevillana Marta Robles Crespo e la Berlinese Lisa Bausenon esitano a riproporre.

Neanche il tempo di far scrosciare, fragoroso, l’ultimo applauso che già dobbiamo spostarci in Piazza del Teatro dove nel frattempo era da poco iniziato il concerto dei Lingatere, un gruppo di giovani ragazzi provenienti dal Salento che hanno proposto, senza tanti aggiustamenti, la classica melodia della pizzica, della tarantella del Gargano, della pizzica calabrese e della tammurriata, accompagnati dal consueto mix di strumenti quali tamburello, violino ed armonica, bravi nel coinvolgere il pubblico nelle danze e a prolungare il ritmo prorompente della musica.

Il cortile della Mole Vanvitelliana pullula di persone, si sente una musica africana che accende immaginari sognanti a mano a mano che ci si avvicina: è appena iniziato il concerto di una giovane donna del Mediterraneo, l’algerina Souad Asla che grida il suo canto di libertà senza pudori, cantando la tradizionale anima sonora desertica proveniente dal Sud del Paese, la stessa regione di Hasna el Becharia. Le sue melodie restano intessute di queste origini gnawa ma lasciano ampi refoli di scirocco verso una contaminazione con il blues, il rock e il jazz.

L’ultimo concerto di cui vi voglio parlare riguarda un’altra giovane di belle speranze e dalla voce potente e decisa, Esha Tizafy, nata nell’isola africana del Madagascar che lascia giovanissima a causa dell’esilio dei genitori che giungono in Sicilia e a Palermo, dove attualmente vive. La sua particolare ricerca di creare un ponte fra più culture l’ha spinta da un lato a riprendere le tradizioni malgasce attraverso un recupero di fiabe popolari, dall’altro a scrivere, comporre ed interpretare nuovi orizzonti sonori partendo dalle radici, come nel bellissimo Sambatra acoustic.

E’ tempo di coricarsi, la notte è stata davvero lunga e meravigliosa, i luoghi scelti per i concerti ci hanno riportato al tema del porto, del mare, della lontananza, della diversità e degli intrecci che le città mediterranee conservano; a volte, basta fare uno sforzo ed ascoltare, scoprendosi più liberi perché si è appreso della cultura altrui, della molteplicità di esistenze artistiche in seno a questo Adriatico che, una volta di più, si dimostra un degno rappresentante della consuetudine storica del Mediterraneo.


[1] “La parola klezmer viene dalla fusione di due parole ebraiche, kley e zemer, letteralmente strumento musicale. La musica klezmer dunque, volendo definire se stessa, si definisce tautologicamente musica strumentale”. Moni Ovadia, “Introduzione alla musica Klezmer”.

[2] Gli Gnawa costituiscono un gruppo etnico formato dai discendenti di antichi schiavi neri provenienti dai paesi dell’Africa a Sud del Sahara. Tali discendenti hanno fondato una confraternita religiosa, i cui aspetti costituiscono uno dei tanti esempi di sincretismo tra Animismo e Islam. La musica gnawa è figlia della ritualità di questa confraternita, caratterizzata da cadenze ipnotiche e capaci di indurre ad uno stato di trance, grazie a suoni bassi, canti ripetuti, battito di mani e percussioni.

 

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